XXXV anniversario di Ordinazione presbiterale di Mons. Corrado Lorefice: “Ciò che il Signore ha voluto per me, è ciò che il mio cuore continua a desiderare”

Durante la Celebrazione nella Chiesa Cattedrale due alunni del Seminario arcivescovile sono stati ammessi tra i candidati agli Ordini sacri. Prima della Celebrazione in cattedrale, insieme al card. Paolo Romeo, l’abbraccio a Biagio Conte alla Missione Speranza e Carità

Un XXXV anniversario di ordinazione presbiterale intenso quello dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice (ordinato presbitero il 30 dicembre del 1987 dal Vescovo di Noto Mons. Salvatore Nicolosi nella chiesa della Santissima Annunziata di Ispica), che ha voluto far precedere la celebrazione eucaristica in Cattedrale da una visita a Biagio Conte, ricoverato in una struttura appositamente allestita all’interno della Missione Speranza e carità. Mons. Lorefice, che ha rinnovato a Biagio Conte l’abbraccio di tutta la Chiesa di Palermo, è stato accompagnato dal l’Arcivescovo Emerito il cardinale Paolo Romeo.

In Cattedrale Mons. Lorefice ha accolto i due alunni del Seminario Arcivescovile che da questa sera sono ammessi tra i candidati agli Ordini sacri del Diaconato e del Presbiterato: si tratta di Giuseppe Notte della Parrocchia Santa Maria Maddalena di Ciminna e di Sergio Scozzaro della Parrocchia San Francesco d’Assisi di Misilmeri.

“Oggi è più facile poter entrare nel sogno di Giuseppe, lo sposo di Maria, padre amorevole di Gesù, perché tra di noi c’è chi continua a cogliere nella propria vita il passaggio di Dio che entra dentro i sogni degli uomini – ho sottolineato l’Arcivescovo, rivolgendosi ai due candidati agli Ordini sacri, durante l’omelia –  ed è ciòche accade a voi, carissimi Sergio e Giuseppe: questo sogno è la conferma che Dio stesso entra dentro la famiglia umana. Dio entra nella concretezza della nostra vita a partire dalla nascita di Gesù in mezzo agli uomini, assume addirittura una famiglia irregolare, profuga, di “rifugiati”, egli sceglie di iniziare ad amarci dalla complessità della vicenda umana, non sta lontano ma entra dentro quella che addirittura potremmo definire una periferia esistenziale. Carissimi Sergio e Giuseppe, anche se provenite da vicende di vita e da luoghi differenti condividete la stessa esperienza, quella di Dio che entra nella vostra concreta vita, così come entra nella concretezza della vita di ogni uomo e di ogni donna. Dio non ci pone dinanzi a una famiglia che ha i contorni della perfezione (Maria ha rischiato di essere lapidata, Giuseppe ha dovuto elaborare un evento che ha chiesto di essere genitore nello spirito e non nella carne; il bambino Gesù è nato in una situazione di somma precarietà e addirittura quanti esercitavano il potere in quel tempo cercavano di eliminarlo. Giuseppe invece si sintonizza con colui che entra nella storia umana e la assume perché intende redimerla, intende fecondarla di salvezza, la nostra salvezza. Oggi risalgo con la memoria a quasi quarant’anni fa, al giorno della mia ammissione agli Ordini sacri: quarant’anni di vita sono quarant’anni di sogni che vengono intercettati da Dio che si serve di noi, esseri imperfetti, così come si è servito di quella famiglia irregolare, la prima famiglia di profughi dell’era cristiana. La via di Dio è così diversa da quella umana! Cari Sergio e Giuseppe, impegniamoci nella nostra vita e nel travaglio delle nostre esistenze personali, familiari, civili a intercettare questa fedeltà di Dio che vuole fecondare comunque la nostra concreta vita della sua presenza e che ci permette di essere famiglia in un contesto più allargato (in parrocchia, nelle nostre città, in questa casa comune che ci appartiene e che è il mondo). Un altro elemento è che Dio comprende che ogni essere vivente, ognuno di noi, vive l’attesa di arrivare alla terra promessa da abitare, “egli si alzò ed entrò nella terra di Israele”: volutamente l’evangelista Matteo vuole portarci di nuovo indietro, perché da lì parte la vicenda della storia della salvezza, da quell’Egitto dove Dio ha chiamato il suo popolo. Senza nessuna idealizzazione, questa terra promessa la dobbiamo scorgere in un villaggio che non viene mai nominato nell’Antico Testamento, un villaggio che si chiama Nazareth, il villaggio della Galilea da dove proviene la Vergine Maria: da qui, da questa periferia, nasce il compimento delle attese dell’intera umanità, il compimento di cui noi dobbiamo essere testimoni perché da cristiani siamo parte integrante di questa vita di travaglio, di attesa della terra promessa. Dio continua a servirsi di noi uomini e donne impegnati a decodificare nella nostra esistenza la sua parola. Dio oggi, cari Sergio e Giuseppe, si serve di voi così come si sta servendo del vostro Vescovo (con tutti i sui limiti) che ringrazia il Signore per il dono del ministero sacerdotale: è ciò che il Signore ha voluto per me e, ancora oggi, è ciò che il mio cuore desidera. Anche il vostro cuore desidera che si compia in voi, in tutti noi, questo volere salvifico di Dio, che non disdegna il travaglio dell’uomo. Vi auguro di prendere parte alla realizzazione del desiderio di Dio che è il desiderio di salvezza per l’intera famiglia umana”.