Inaugurazione dell’Anno Giudiziario, l’Arcivescovo: “Evitare il male e fare il bene, sull’esempio del Beato martire Rosario Livatino”

L'Omelia, nella chiesa della Concezione, dell'Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice che propone un passo della I Lettera di S. Paolo ai Corinti e ricorda gli esempi del "magistero" del Beato Rosario Livatino, del Presidente del Parlamento europeo David Sassoli e del teologo Dietrich Bonhoeffer

Eucaristia per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario, Chiesa della Concezione, 22 gennaio 2022

Omelia

«Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: “È fuori di sé”» (Mc 3,21). Perché Gesù è ritenuto «fuori di sé»? In realtà non è «fuori di sé», ma è “fuori” dal coro, dalla logica e dalla mentalità comune. Dice parole “altre”, si comporta in modo diverso. È un agire inedito, fuori dai canoni usuali. Un agire che desta interrogativi, che scuote dal torpore e provoca molte coscienze.

Egli si ‘com-promette’ e s’immerge nelle gioie e nei dolori degli uomini e delle donne sfigurate nell’originaria somiglianza con Colui che li aveva creati. Condivide la loro vita. La condividerà  fino alla morte ingiusta e ignominiosa. Annunciatore da parte di Dio della beatitudine di chi opera la giustizia e di chi è perseguitato a causa della giustizia (cfr Mt 5,6.10).

Verrà giudicata ‘stoltezza’ quella passione d’amore che giunge fino a donare liberamente e consapevolmente la vita sulla croce. Della croce di Cristo, scrivendo ai Corinti, Paolo dirà: «Ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25).

Stoltezza viene giudicata, oggi al pari di ieri, quella passione d’amore che spinge i discepoli di Gesù di Nazaret – penso in particolare al giudice Rosario Livatino proclamato Beato il 9 maggio 2021– a rispondere alla pazzia d’amore di Dio, a renderla presente là dove vivono, scompigliando e disorientando i sapienti secondo la logica mondana, denunciando l’ingiustizia e le prevaricazioni, svelando l’ipocrisia, compresa quella religiosa, che si maschera ad arte sotto apparenze teatrali, e scegliendo di condividere le sorti degli emarginati, dei piccoli, dei senza volto e senza voce di questo mondo.

Rosanna Virgili martedì 18 gennaio, su Avvenire, riflettendo sull’intervento dei  figli e della moglie di Davide Sassoli durante le esequie, scriveva: «Ci troviamo dinanzi a dei figli ‘grandi’, capaci di essere grati ed eredi fecondi di chi li ha generati nel corpo e specialmente, nell’anima, nell’umanità e nella tensione spirituale, sociale e politica. Son figli cresciuti nell’arte della condivisione, ricordata, con solennità, dalla madre Alessandra. “Ti abbiamo sempre diviso e condiviso con altri, tra famiglia e lavoro, famiglia e politica, famiglia e passioni – ha detto la signora Filippini, riferendosi a suo marito – , ma dividerti e condividerti con altri ha prodotto quella cosa immensa cui stiamo assistendo, nel coro unanime di riconoscimenti…”. Ed ecco il primo pilastro di un’autentica paternità: la testimonianza che la vita, il tempo, i talenti, l’amore, la passione: tutto va condiviso, nulla deve restare nel chiuso di un privato viziato come dentro una serra d’egoismo e d’ignoranza» (p. 3).

È una sfida che riguarda ogni servitore della giustizia in questo nostro Paese, a maggior ragione se attinge la motivazione della sua professione nella confessione della fede cristiana. Lo vorrei esprimere dando la parola al ‘magistero’ di Rosario Livatino che non si limitava al ‘fare’ quotidiano. Egli aveva fatto una scelta di vita cristiana radicale: “evitare il male e fare il bene”. E per il “giudice ragazzino” evitare il male significava rifiutare e resistere con fermezza al peccato: «Il peccato è ombra e per giudicare occorre la luce e nessun uomo è luce assoluta», dirà nella conferenza su Fede e diritto tenuta il 30 aprile 1986 a Canicattì. E nella stessa conferenza affermerà: «Rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio».

Termino con le parole di un altro  martire della giustizia e della fede, D. Bonhoeffer: «Non è nostro compito predire il giorno – ma quel giorno verrà – in cui degli uomini saranno chiamati nuovamente a pronunciare la parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà cambiato e rinnovato. Sarà  un linguaggio nuovo, forse completamente non-religioso, ma capace di liberare e redimere, come il linguaggio di Gesù, tanto che gli uomini ne saranno spaventati e tuttavia vinti dalla sua potenza, il linguaggio di una nuova giustizia e di una nuova verità, il linguaggio che annuncia la pace di Dio con gli uomini e la vicinanza del suo Regno. Fin ad allora la causa dei cristiani sarà silenziosa e nascosta; ma ci saranno uomini che pregheranno, opereranno ciò che è giusto e attenderanno il tempo di Dio» (Resistenza e Resa, p. 370).

(photo ANSA)