“Il lavoro per la partecipazione e la democrazia”

Messaggio dei Vescovi per la Festa dei Lavoratori, 1° maggio 2024 / OMELIA ARCIVESCOVO DI PALERMO (S. Giuseppe, Patrono della Chiesa universale e degli artigiani)

Messaggio dei Vescovi per la Festa dei Lavoratori

1° maggio 2024

“Il lavoro per la partecipazione e la democrazia”

 

Lavorare è fare “con” e “per”

«Il Padre mio opera sempre e anch’io opero» (Gv 5,17). Queste parole di Cristo aiutano a vedere che con il lavoro si esprime «una linea particolare della somiglianza dell’uomo con Dio, Creatore e Padre» (Laborem exercens, 26). Ognuno partecipa con il proprio lavoro alla grande opera divina del prendersi cura dell’umanità e del Creato. Lavorare quindi non è solo un “fare qualcosa”, ma è sempre agire “con” e “per” gli altri, quasi nutriti da una radice di gratuità che libera il lavoro dall’alienazione ed edifica comunità: «È alienata la società che, nelle sue forme di organizzazione sociale, di produzione e di consumo, rende più difficile la realizzazione di questo dono ed il costituirsi di questa solidarietà interumana» (Centesimus annus, 41).

In questa stessa prospettiva, l’articolo 1 della Costituzione italiana assume una luce che merita di essere evidenziata: la “cosa pubblica” è frutto del lavoro di uomini e di donne che hanno contribuito e continuano ogni giorno a costruire un Paese democratico. È particolarmente significativo che le Chiese in Italia siano incamminate verso la 50ª Settimana Sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3-7 luglio), sul tema “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”. Senza l’esercizio di questo diritto, senza che sia assicurata la possibilità che tutti possano esercitarlo, non si può realizzare il sogno della democrazia.

Il “noi” del bene comune: la priorità del lavoro

Come ricorda Papa Francesco in Fratelli tutti, per una migliore politica «il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze» (n.162). Le politiche del lavoro da assumere a ogni livello della pubblica amministrazione devono tener presente che «non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro» (ivi). Occorre aprirsi a politiche sociali concepite non solo a vantaggio dei poveri, ma progettate insieme a loro, con dei “pensatori” che permettano alla democrazia di non atrofizzarsi ma di includere davvero tutti (cfr. Fratelli tutti, 169). Investire in progettualità, in formazione e innovazione, aprendosi anche alle tecnologie che la transizione ecologica sta prospettando, significa creare condizioni di equità sociale. È necessario inoltre guardare agli scenari di cambiamento che l’intelligenza artificiale sta aprendo nel mondo del lavoro, in modo da guidare responsabilmente questa trasformazione ineludibile.

Prenderci cura del lavoro è atto di carità politica e di democrazia

“A ciascuno il suo” è questione elementare di giustizia: a chiunque lavora spetta il riconoscimento della sua altissima dignità. Senza tale riconoscimento, non c’è democrazia economica sostanziale. Per questo, è determinante assumere responsabilmente il “sogno” della partecipazione, per la crescita democratica del Paese.

  • Le istituzioni devono assicurare condizioni di lavoro dignitoso per tutti, affinché sia riconosciuta la dignità di ogni persona, si permetta alle famiglie di formarsi e di vivere serenamente, si creino le condizioni perché tutti i territori nazionali godano delle medesime possibilità di sviluppo, soprattutto le aree dove persistono elevati tassi di disoccupazione e di emigrazione. Tra le condizioni di lavoro quelle che prevengono situazioni di insicurezza si rivelano ancora le più urgenti da attenzionare, dato l’elevato numero di incidenti che non accenna a diminuire. Inoltre, quando la persona perde il suo lavoro o ha bisogno di riqualificare le sue competenze, occorre attivare tutte le risorse affinché sia scongiurato ogni rischio di esclusione sociale, soprattutto di chi appartiene ai nuclei familiari economicamente più fragili, perché non dipenda esclusivamente dai pur necessari sussidi statali.
  • Un lavoro dignitoso esige anche un giusto salario e un adeguato sistema previdenziale, che sono i concreti segnali di giustizia di tutto il sistema socioeconomico (cfr. Laborem exercens, 19). Bisogna colmare i divari economici fra le generazioni e i generi, senza dimenticare le gravi questioni del precariato e dello sfruttamento dei lavoratori immigrati. Fino a quando non saranno riconosciuti i diritti di tutti i lavoratori, non si potrà parlare di una democrazia compiuta nel nostro Paese. A questo compito di giustizia sono chiamati anche gli imprenditori, che hanno la specifica responsabilità di generare occupazione e di assicurare contratti equi e condizioni di impiego sicuro e dignitoso.
  • I lavoratori, consapevoli dei propri doveri, si sentano corresponsabili del buon andamento dell’attività produttiva e della crescita del Paese, partecipando con tutti gli strumenti propri della democrazia ad assicurare, non solo per sé ma anche per la collettività e per le future generazioni, migliori condizioni di vita. La dimensione partecipativa è garantita anche dalle associazioni dei lavoratori, dai movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e con gli uomini del lavoro che, perseguendo il fine della salvaguardia dei diritti di tutti, devono contribuire all’inclusione di ciascuno, a partire dai più fragili, soprattutto nelle aziende.
  • Le Chiese in Italia, impegnate nel Cammino sinodale, continuano nell’ascolto dei lavoratori e nel discernimento sulle questioni sociali più urgenti: ogni comunità è chiamata a manifestare vicinanza e attenzione verso le lavoratrici e i lavoratori il cui contributo al bene comune non è adeguatamente riconosciuto, come anche a tenere vivo il senso della partecipazione. In questa prospettiva, gli Uffici diocesani di pastorale sociale e gli operatori, quali i cappellani del lavoro, promuovano e mettano a disposizione adeguati strumenti formativi. Ciascuno deve essere segno di speranza, soprattutto nei territori che rischiano di essere abbandonati e lasciati senza prospettive di lavoro in futuro, oltre che mettersi in ascolto di quei fratelli e sorelle che chiedono inclusione nella vita democratica del nostro Paese.

Roma, 24 gennaio 2024

LA COMMISSIONE EPISCOPALE PER I PROBLEMI SOCIALI E IL LAVORO, LA GIUSTIZIA E LA PACE

 

Si ripropone il testo dell’omelia pronunciata dall’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice in occasione della solennità di San Giuseppe, patrono della Chiesa universale e degli artigiani. In occasione della solenne Celebrazione Eucaristica nella chiesa di San Giuseppe dei Teatini, tra i fedeli, i rappresentanti dell’Ufficio diocesano per la Pastorale Sociale e del Lavoro, i rappresentanti di CNA Sicilia, Casartigiani, Confartigianato e Claai e i responsabili del Progetto Policoro che hanno celebrato la “giornata dei lavoratori” per sottolineare l’importanza dei tradizionali mestieri del saper fare che rappresentano un patrimonio – anche identitario – irrinunciabile sotto il profilo economico, sociale e culturale.

 

 

Omelia Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice

Giuseppe, in questa pagina dell’Evangelista Matteo, è un figlio di Dio, perché discendenza di Abramo, membro di una lunga storia di generazione di vita che dice la cura paterna di Dio per il suo popolo: la fedeltà di Dio si estende di generazione in generazione (cfr Lc 1,50).

Ma di lui – di Giuseppe – il testo evangelico non dice, a differenza di tutti i suoi padri, che a sua volta Giuseppe “generò”. Egli è solo “generato”. Eppure la sua vita non è votata alla sterilità.

Egli diventa padre secondo il disegno del cuore di Dio. “Patris corde”. Vive con cuore di padre. Non si spezza la catena della discendenza in lui. Anzi per suo tramite Dio la porta a compimento. È lui che custodisce e accompagna il mistero dell’incarnazione; si fa strumento docile dell’irruzione di Dio in mezzo al suo popolo: la sua promessa sposa, da lui amata, anche nel travaglio dell’accoglienza dello stravolgimento del suo progetto di vita, sarà grembo, fecondato dallo Spirto, della realizzazione della promessa Isaiana: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi” (Mt 1,23; Is 7,14). Non agisce di impulso e riesce a coniugare il proprio diritto con il rispetto del sacrario della coscienza dell’altro, dall’altra che ha disposto della sua vita perché si compissero in lei le parole del messaggero divino, l’Angelo Gabriele, e prendesse carne il Verbo della vita, il Figlio di Dio. Papa Francesco nella Lettera Apostolica Patris corde ha scritto: “La sua risposta [di Giuseppe] fu immediata: «Quando si destò dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo» (Mt 1,24). Con l’obbedienza egli superò il suo dramma e salvò Maria” (n. 3). Contribuì anche lui in maniera decisiva alla realizzazione del disegno di Dio.

Il suo progetto di vita, spinto dalla fede in Dio, era essere sposo, lavoratore, padre responsabile della sua discendenza ma anche partecipe della vita del villaggio che abitava: amare una donna, sposarla, custodire con il suo onesto lavoro di artigiano, di piccolo imprenditore, la sua famiglia, la sua discendenza. Amare ed essere amato dalla sua sposa. Amare ed essere amato dai suoi figli per consegnarli alla vita, loro pure generatori di vita e di amore, artigiani di bene e di un senso comunitario e solidale della vita. Gioiosi e orgogliosi come lui, come Giuseppe, – umanamente realizzati! – per la creatività del loro lavoro competente e onesto. Adoratori solo di Dio, non asserviti all’“idolo denaro” che schiavizza l’uomo, spegne nel cuore l’amore, semina indifferenza, divisione e spietata concorrenza; che fa considerare gli altri, soprattutto se diversi da noi, nemici e invasori e non fratelli e compagni; che arma le mani e sparge distruzione e morte, opera respingimenti, innalza barriere, scatena guerre. Costruttori, come Giuseppe, del villaggio umano, della Casa comune. Seminatori di giustizia, ricchi di intelligenza interiore, irrorati da un cuore che intercetta la sofferenza degli altri e la fa sua.

Con la fedeltà agli impegni umani, familiari, professionali si contribuisce alla realizzazione del progetto salvifico di Dio per l’umanità.  La fede ci libera dal ripiegamento in noi stessi, da una comprensione della vita volta solamente alla ricerca del proprio benessere o peggio ancora del profitto ad ogni costo. Le nostre città subiscono drammaticamente le conseguenze di tale nefasta logica. La fede invece allarga gli orizzonti e ci rende collaboratori di Dio. Bene-fattori della Casa comune, la città e il pianeta che abitiamo.

Questo era il sogno umano di Giuseppe, che Dio non infrange ma apre al suo più grande progetto salvifico. Giuseppe è un uomo di fede, obbediente a Dio, che sogna di realizzare il sogno di Dio iscritto nel Nome che è al di sopra di ogni altro nome: Emmanuele, Dio-con-noi, giammai contro di noi. Dio che esalta la libertà dell’uomo e non la limita. Dio che vuole portare a compimento il suo progetto iniziale sull’intera umanità: la convivialità fraterna vissuta nella Casa comune, nella Terra giardino paradisiaco con al centro l’albero della vita (cfr Gn 2,9), irrorato da sorgenti che zampillano acqua per la vita eterna.

Il figlio nato da Maria e che Giuseppe chiamerà Gesù, Dio salva, è colui che libera il suo popolo facendo germogliare l’albero della Croce. Colui che incide, per mezzo del dono pasquale dello Spirito, la legge dell’amore nel cuore degli uomini. Colui che irrora in noi l’energia di risurrezione che è l’amore di Dio effuso nei cuori per mezzo dello Spirito (cfr Rm 5,5).

La fede in Gesù, il Verbo di Dio incarnato nel seno di Maria, custodito da Giuseppe con amore di padre, torturato, crocifisso, sepolto e risorto, non farà avanzare l’iniquità nella Casa comune, perché custodirà l’amore nei cuori di molti (cfr Mt 24,12). In noi e in quanti con noi nel mondo intero, dietro a Gesù, portiamo avanti il sogno di Dio sull’umanità: la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10).

L’Anno Giubilare Teatino e l’Anno Giubilare Rosaliano ci confermino nella fede della Chiesa, sulle orme di S. Giuseppe, di S. Gaetano di Thiene e degli altri Santi fondatori dell’Ordine dei Chierici regolari, e di S. Rosalia.

La Vergine Maria, la credente per eccellenza, ci aiuti a fare quello che Gesù suo Figlio ci dirà. Sempre pronti a eseguire la volontà di Dio, unica fonte della vera libertà di noi umani e del futuro del mondo.