“Palermo sia degna di Santa Rosalia e di Biagio Conte. Se uniremo le forze, protesi a rianimare il volto spirituale della Città, potremo meglio intercettare il futuro già presente in essa”

L'Arcivescovo Corrado Lorefice celebra la Messa di inizo anno con i rappresentanti dell'amministrazione comunale. Il Sindaco Roberto Lagalla: "Grazie per la sua costante azione" / TESTO OMELIA

L’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice ha presieduto la Celebrazione Eucaristica di inizio anno con le autorità cittadine presso l’ex Noviziato dei Crociferi. Nella sua omelia l’Arcivescovo ha voluto ricordare i tanti squilibri e gli ambiti di sofferenza presenti nella città di Palermo; “Che il particolare cammino lungo l’Anno Giubilare Rosaliano per i 400 anni del Festino di Santa Rosalia non sia una sommatoria di eventi ma l’occasione privilegiata per servire la città”, ha sottolineato Mons. Lorefice che, al termine del messaggio di saluto offerto dal Sindaco Roberto Lagalla, ha ricordato le numerose sollecitazioni offerte dal Presidente della Repubblica nel suo Messaggio di fine anno.

 

 

 

Messa d’inizio d’anno Autorità e Cittadini di Palermo, ex Noviziato dei Crociferi, 2 gennaio 2024

Omelia

Carissime, Carissimi, Signor Sindaco, Gentili servitori delle Istituzioni civili e militari, Concittadine, Concittadini, Sorelle e Fratelli in Cristo,

all’inizio del nuovo anno, nel contesto delle feste natalizie, ci ritroviamo ancora insieme, quasi a voler rimarcare che “la via del convenire”, del senso comunitario della vita, è cifra irrinunciabile per abitare e servire questa nostra Città. Segno luminoso, direi stella Cometa che mai deve spegnersi sopra il cielo delle nostre case e delle nostre strade, dei nostri quartieri, del mare e delle montagne che circondano Panormus, la Tutto-porto.

Ci ritroviamo mentre i cristiani che la abitiamo celebriamo le feste epifaniche, della manifestazione del Signore nella nostra condizione umana. Le feste che ci fanno fare memoria della condivisione incondizionata di Dio con noi uomini nel suo Figlio fattosi carne, come noi, per essere uno di noi e con noi, per sempre. Fino alla consumazione dei giorni, quando si accenderà il giorno senza tramonto nei Cieli nuovi e nella Terra nuova.

In mezzo a noi sta uno che è disceso – abbassato, umiliato (ἐκένωσεν), arriva a dire Paolo Apostolo (Fil 2,7) –  a mettere tenda tra noi e che indossa sandali come noi per camminare sulle strade polverose e impervie del mondo, della città degli uomini. A condividere le gioie e le fatiche che conosce la Casa comune che in questo tempo sembra essere senza promessa, visto che ripropone spettri e orrori del passato. A condividere anche le gioie, le fatiche e le trepidazioni della nostra Città.

Con il Figlio donatoci a Natale, nato dalla Vergine Madre, particolarmente venerata nella nostra Città con il titolo di Immacolata, ogni ricominciamento del tempo è in qualche modo soggetto a una scelta di condivisione, di co-rredenzione, unica certa promessa di vita. Ogni nascita segna e imprime di rinascita la storia umana.

«Viene uno dopo di me». Come Giovanni il Battista, i cristiani stanno dentro la città, immersi come ogni uomo e ogni donna nel travaglio della convivenza umana con questo annuncio dal futuro. I cristiani veri non parlano di sé. «Non sono io» risponde ai Giudei Giovanni il Battista. I discepoli di Gesù stanno nel mondo condividendone le gioie e le angosce forti di un oggi gravido di domani, di futuro salvifico. «Oggi, nella città di Davide è nato per voi un Salvatore» (Lc 2,11). Nella città.

La città degli uomini e delle donne ha un’intima vocazione: alla salvezza, alla liberazione. Questo Salvatore venuto nell’umiltà a condividere le nostre vicende umane – sottomesso al potere dell’imperatore di turno che conta i suoi sudditi; che conosce precarietà, esclusione, migrazione, persecuzione, giustizia sommaria, morte infame – immette nel mondo l’unico anticorpo efficace alla sua deriva: una potenza redentiva che agisce innanzitutto come dono di prossimità, di condivisione.

Egli sopraggiunge in un mondo che non è quello che dovrebbe essere. Scartato tra gli scartati. Piccolo tra piccoli, tra persone ordinarie. La condivisione è movimento di discesa, anche agli inferi dei vissuti irredenti, nei meandri della fragilità umana costitutiva o indotta dalla durezza di cuore, dall’insensibilità e dalla bramosia di altri esseri umani. Discesa nelle periferie urbane ed esistenziali. L’Onnipotente, il Salvatore – l’unico! – porta calzature umane, e chi lo serve in spirito e verità sa – come Giovanni il Precursore – di non essere neanche degno di slegargli il laccio del sandalo. Sprovvisto di ogni potere, senza nessuna alterigia.

Il Salvatore venuto in questo nostro mondo ci chiede di abitarlo in tutta la sua bellezza e con tutto il suo travaglio e complessità. Ci chiede di chiamare per nome la sofferenza e le contraddizioni della Casa comune, del mondo e della città che abitiamo. Ci chiede di non aver paura del clamore dei pre-potenti e degli ingannatori che profanano le nostre case e le nostre piazze e che illudono i nostri figli vendendo false felicità. Ci chiede di non abituarci all’indifferenza di chi respinge, in dispregio alla dignità umana e al dovere di accogliere, chi ha bisogno di cura e di giustizia. Ci chiede di saper riconoscere e accogliere la vita, di farle spazio, di prepararle un humus favorevole, di prendercene cura. Di professare il bene, di abiurare il male. Di essere custodi e diffusori di bellezza, di quella bellezza spesso degradata della nostra Città ricca di storia e di arte.

Il male che arriva a ferirci – ne siamo testimoni tutti, nel mondo e in Città – non ci renda ciechi, non ci indurisca il cuore. Questo mondo prostrato e umiliato da conflitti insensati, da relazioni infrante da ferite profonde e da odi autorigeneranti, tartassato da parole violente e stili di vita volgari, ci chiede la responsabilità della condivisione nella solidarietà salvifica e redentiva.

Il Giubileo Rosaliano nel IV Centenario del ritrovamento del corpo della nostra Santuzza «come ho avuto già modo di dire, lungi dall’essere una mera commemorazione o solamente un complesso di manifestazioni civili e religiose, è una preziosa opportunità di rinnovamento spirituale e umano per l’intera Città».

Cogliamo l’urgenza del compito della ricostruzione e della formazione delle coscienze ad un’alta eticità privata e pubblica. Occorre mirare alle coscienze e al loro peso interiore, se vogliamo che, «per intima coerenza e adeguato sviluppo creativo», esprimano «un peso culturale e finalmente sociale e politico» (G. Dossetti, Sentinella, quanto resta della notte?).

Se uniremo le forze, protesi a rianimare il volto spirituale della Città, potremo meglio intercettare il futuro già presente in essa – attraverso uomini e donne responsabili che agiscono con umiltà nella feriale ordinarietà – e gioire della sua rinascita urbana, sociale e culturale. Una Città degna di Rosalia e di Biagio Conte, dei tanti martiri della giustizia e della fede. Una Città che si alza dalla notte delle persone. Una comunità non più sbriciolata nelle solitudini individuali, non più costretta a piangere i suoi figli appena chiamati alla vita.