“Palermo, città dalle tante ferite da sanare insieme, sull’esempio di don Puglisi e di Biagio Conte”

L’intervento dell’Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice a L'isola di Robinson nell’ambito della manifestazione La via dei Librai. Le domande dei giornalisti Claudia Brunetto e Fabrizio Lentini

(di Marta Occhipinti/Repubblica) – “Palermo ha tante ferite”. Una di queste è la mafia. E oggi, nella giornata del 25 aprile, Corrado Lorefice non usa giri di parole: “Il fascismo è una forma di mafia. Quando qualcuno attenta alla libertà dell’altro perché vuole schiavizzarlo, quella è mafia”, dice l’arcivescovo. Ieri, sul palco della Cattedrale, Lorefice, ospite dell’Isola Robinson all’interno del festival La via dei librai, ha risposto alle domande di Claudia Brunetto e Fabrizio Lentini ricordando gli eroi civili di Palermo, che con le loro battaglie “disobbedienti” per gli ultimi hanno cercato di sanare le ferite della città: padre Pino Puglisi, ucciso trent’anni fa dalla mafia, e Biagio Conte, il missionario laico morto tre mesi fa.

Il beato Puglisi e fratel Biagio sono stati due “santi di strada”. Cosa hanno dato a Palermo?

“Hanno messo in gioco la loro vita, per vie diverse, testimoniando un senso di appartenenza alla città. Ci hanno insegnato che ogni volto umano ci appartiene. Hanno professato l’umanità dentro una città che ha bisogno del loro sguardo dal basso, che significa pensarsi collocati dentro le cose, vicini alle persone”.

Delegare il bene a santi ed eroi, veri o presunti, però ha dei rischi. L’arresto della preside dello Zen 2 ha dato un duro colpo alle speranze dei ragazzi. Cosa fare perché la fiducia nelle istituzioni non muoia per le colpe di un singolo?

“Dobbiamo indignarci davanti all’antimafia ostentata: Pino Puglisi non andava in tv né in giro con il megafono. Ogni giorno allo Zen, in silenzio e senza proclami, ci sono persone che operano per il bene comune. E da lì bisogna ripartire. Andrò allo Zen a sostenere il nuovo preside e il quartiere”.

Di cosa hanno bisogno i quartieri di Palermo?

“Palermo è una città umana. Ma ricordiamoci che anche l’ingiustizia nasce dal cuore umano e si struttura in modo perverso. Penso al lucro attorno alla droga che sta uccidendo i nostri giovani. Una città che produce una struttura di peccato va abitata da persone che la riscattino dal male. La città deve sollecitare le istituzioni, deve essere un pungolo critico perché la politica tocchi con mano di cosa ha bisogno questa città”.

Le istituzioni possono fare di più contro la droga?

“Devono farlo. Bisogna dare una risposta ai giovani che vivono una città del Sud Italia, che è sempre di più soggetta, a mio avviso, allo strapotere di predatori che vogliono solo lucrare e avere potere”.

Pensa che l’emergenza sia collegata anche a una “normalizzazione” della droga? La droga dei ricchi, cioè la cocaina, sembra avere lambito anche i palazzi del potere…

“La crisi è di noi adulti, di noi educatori. Abbiamo grosse responsabilità. Palermo porta sempre alla ribalta la sfida educativa e formativa: noi adulti per primi abbiamo smarrito la via e creiamo attorno a noi il vuoto che può essere humus prezioso per i predatori”.

La crisi degli adulti è anche la crisi della politica?

“È sotto gli occhi di tutti. Se ci sono morti nel Mediterraneo e la politica non capisce l’evidenza di quel problema, significa che siamo in decadenza”.

Da arcivescovo lei ha visto cambiare Palermo tante volte. Quali sono le nuove sfide che attendono la città?

“Le ferite di Palermo, così come le sue potenzialità, sono sotto gli occhi di tutti. Palermo ha tante sfide davanti a sé, una fra tutte il Pnrr. C’è l’emergenza abitativa che richiede grande lucidità: la Chiesa ha fatto per anni da ammortizzatore sociale al Villaggio Ruffini, occupato da 50 famiglie. Il diritto alla casa è di tutti, ma è un’emergenza che va affrontata nella legalità e con grande progettualità e coscienza. E c’è il problema rifiuti: Palermo è una città meravigliosa, ma dilaniata dalla sporcizia. La vera sfida che riguarda il Sud Italia rimane però il lavoro. Chi si assume la responsabilità politica di questa città ha un’unica misura, quella di amarla, in nome dei martiri che hanno effuso sangue per sanare le sue ferite”.