Nella Chiesa Cattedrale la Celebrazione Eucaristica per la XXVI Giornata per la vita consacrata presieduta dall’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice

Chiamati a partecipare al viaggio della Chiesa lungo il cammino sinodale con una partecipazione che assume lo stile di una corresponsabilità da riferirsi alla sua stessa natura, la comunione, e al suo senso ultimo: il sogno missionario di arrivare a tutti, di avere cura di tutti, di sentirsi tutti fratelli e sorelle, insieme nella vita e nella storia della salvezza

«Nella Chiesa noi consacrati siamo chiamati ad essere le sentinelle che conoscono il peso della notte ma che sanno che la notte dà il posto alla nuova alba – ha esortato l’Arcivescovi di Palermo Mons. Corrado Lorefice nella sua omelia – siamo dunque una Chiesa che intravede la presenza di Dio che sopraggiunge dentro questa storia. Siamo una Chiesa fedele a questa storia, a questa terra segnata, arida, forse imbrattata da cuori induriti; in questa terra che Dio ama ci siamo anche noi che scorgiamo la presenza fedele di Dio, il Dio che si è incarnato e che riconosciamo nel bambino che porta il nome di Gesù. Dobbiamo riconoscere la presenza divina dentro la storia custodendo questo desiderio per tutta la Chiesa e per l’umanità intera. Siamo fatti per questo, per intravedere, con occhi capaci di riconoscere; e noi dobbiamo riconoscere anche per altri, per quelli che ci sono affidati. Noi addirittura dobbiamo scorgere ciò che altri non riescono a vedere non perché siamo più bravi ma perché custodiamo il desiderio di colui che sopraggiunge, custodiamo soprattutto il cuore nutrito dalla sua parola, dalla scrittura che è testimonianza della venuta di Dio. Noi prendiamo parte al travaglio della storia umana – ha proseguito l’Arcivescovo – ne siamo coinvolti, non ne siamo esenti, anche noi consacrati conosciamo il travaglio del mondo, il travaglio della fede, il travaglio della fiducia di Dio. Anche noi a volte recuperiamo la logica umana e anche noi ci consegniamo a una presenza nel mondo senza speranza, magari leccando le nostre ferite. Siamo dentro giorni difficili, dentro le nostre vite, dentro alle nostre comunità. Ma attenzione, condividere la fatica nel comune cammino significa realizzare una comunità sinodale: le nostre comunità religiose, i nostri istituti, le nostre realtà comunitarie hanno la grazia di una fatica condivisa e di un comune cammino. Il Signore distolga da noi la tentazione di vivere nelle fraternità con “battitori liberi”, intraprendendo cammino che nascono esclusivamente dalla nostra fragilità non accettata, non riconosciuta, non elaborata attraverso l’ascolto di colui che sopraggiunge come fuoco che dà forma e come lisciva che purifica. La fatica condivisa nelle nostre fraternità deve essere trasformata dalla speranza che noi vogliamo custodire perché a noi è data la grazia di ascoltare ancora il Verbo della vita che sopraggiunge. Siamo tutti dentro la Chiesa, questa Chiesa locale, mossi anche noi dallo Spirito perché possiamo contribuire a una Chiesa sinodale, capace di camminare insieme, una Chiesa “degli altri”, una Chiesa che testimonia la speranza fino alla resilienza».

 

La Giornata per la vita consacrata – ci ricorda Amedeo Lomonaco su Vatican News – è “un’opportunità d’incontro segnato dalla fedeltà di Dio che si manifesta nella perseveranza gioiosa di tanti uomini e donne, consacrate e consacrati”: è quanto scrivono, in una lettera, il cardinale João Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, e il Segretario del dicastero, monsignor José Rodríguez Carballo. Nel documento si sottolinea che il cammino sinodale, da poco intrapreso e incentrato sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, interpella ogni comunità vocazionale “nel suo essere espressione visibile di una comunione d’amore”. Riflettendo sulla parola “partecipazione”, il cardinale João Braz de Aviz e monsignor José Rodríguez Carballo invitano a chiedersi: “chi sono le sorelle, i fratelli che ascoltiamo e, prima ancora, perché li ascoltiamo?”. “Una domanda – scrivono – che siamo chiamati a farci tutte e tutti, perché non possiamo dirci comunità vocazionale e ancor meno comunità di vita, se manca la partecipazione di qualcuna o di qualcuno”. L’invito è quello di entrare in nel “viaggio” di tutta la Chiesa sulla sinodalità, “con la ricchezza dei carismi e delle nostre vite, senza nascondere fatiche e ferite”. “La partecipazione diventa allora responsabilità: non possiamo mancare, non possiamo non essere tra gli altri e con gli altri, mai e ancor più in questa chiamata a diventare una Chiesa sinodale”.