«Il nuovo nella società civile nasce e deflagra lì dove ci sono uomini e donne consapevoli e liberi, come Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Lì dove i cuori rimangono retti e onesti, lì dove come professionisti e cittadini si rimane fedeli servitori del bene destinato a tutti […] Ognuno di noi ha il dovere di porre la propria vita al servizio egli altri»: così l’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice in un passaggio dell’omelia pronunciata questa mattina nella Chiesa Cattedrale durante la celebrazione eucaristica in ricordo del Prefetto di Palermo Gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’Agente della Polizia di Stato Domenico Russo uccisi dalla mafia nell’agguato di via Isidoro carini il 3 settembre del 1982.
«Il Prefetto Carlo Alberto della Chiesa – ha proseguito l’Arcivescovo di Palermo – ci testimonia che devono essere rinnovati gli atteggiamenti interiori, si tratta di un totale mutamento di mentalità. Di un lavoro culturale. L’arma che ha individuato Dalla Chiesa è il cambiamento di mentalità a partire dai servitori delle istituzioni, da ogni cittadino: senso di corresponsabilità per la città degli uomini, integerrima e robusta professionalità, onestà umana ed etica (Con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla mafia il suo potere: intervista a Giorgio Bocca, in la Repubblica, 10 agosto 1982). Non si tratta solo di stanare i mafiosi, di combattere direttamente le sempre più camuffate organizzazioni criminali mafiose. Si tratta di assumere la polarità dell’oggi, del nostro oggi, della responsabilità che esso ci chiede, di starci dentro con una vita divenuta ‘parabola del nuovo’, che custodisca anche il vecchio migliore, autentico e non quello taroccato, venduto impunemente per tale. Il problema non è l’assenza di novità, il problema è l’assenza di occhi che la sappiano riconoscere questa novità e la sappiano servire con creativa donazione».
Al termine della celebrazione e nell’ambito della sesta edizione della “Festa dell’Onestà”, l’Arcivescovo di Palermo con il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri Gen. Teo Luzi e il Sindaco di Palermo prof. Leoluca Orlando, ha deposto presso il cippo dedicato alla memoria del Prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, in corso Vittorio Emanuele, una corona di fiori; l’Arcivescovo è stato accompagnato dai bambini del Centro Padre Nostro di Brancaccio e dai commercianti e artigiani del Cassaro Alto.
Di seguito, il testo integrale dell’Omelia dell’Arcivescovo:
Cattedrale di Palermo, 3 settembre 2021, Memoria di S. Gregorio Magno, Papa
Oggi la liturgia ci fa fare memoria di san Gregorio Magno, padre della Chiesa e pastore, già Prefetto di Roma, che una volta eletto papa accettò come unico titolo quello di “servo dei servi di Dio”. Gregorio, monaco sedotto dalle pagine della Bibbia che contengono la parola di Dio, ha potuto scrivere: «Spesso molte cose che nella santa Scrittura da solo non riuscivo a comprendere, le ho capite quando mi sono trovato in mezzo ai miei fratelli […]. Quanti infatti ripieni di fede ci sforziamo di far risuonare Dio, siamo organi della verità; ed è in potere della verità che essa si manifesti per mio mezzo agli altri o che per gli altri giunga a me».
Riconosciamo in queste parole: «è in potere della verità che essa si manifesti per mio mezzo agli altri o che per gli altri giunga a me», come una fulgida intesi della vita del Prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa. Immettere vino nuovo, energia nuova nelle relazioni umane, nello spazio umano – la città, la polis – che abitano e condividono gli uomini e le donne. Lavorare per far deflagrare il nuovo, per individuare il nuovo, spesso soffocato da forze ostili che vogliono conservare stili vecchi e oppressivi. In nome di un potere subdolo e pervasivo.
Ogni potere fine a se stesso, è subdolo, oppressivo, mortifero, mafioso, compreso quello pseudoreligioso! Gesù scandalizza quanti lo considerano un avversario e si pongono come tali: «I farisei e i loro scribi dissero a Gesù: “I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!”».
Lo osteggiano e mormorano perché porta la novità di un Dio che vuole essere riconosciuto nell’unica vera dimora che lo può accogliere, in interiore homine, al centro della vita nel cuore e con tutto il cuore. Gesù è uomo consapevole e libero, perché cosciente di essere Figlio amato da Dio suo Padre. Perché Egli viene nel nome del Signore Dio che vuole essere amato con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze e non attraverso aride e rigide prescrizioni rituali e morali.
Gioia nuziale, vino nuovo, vestito nuovo. Una pagina – quella dell’Evangelo odierno – che descrive la novità del cristiano, la vita nuova del battezzato vivificata dallo Spirito di Dio, animata dall’energia dell’amore. Una vita come quella del Cristo, dell’Unto di Dio, per Dio e per gli uomini amati dal Signore spesa per il bene e per la verità. La vita nuova contenuta nella concreta esistenza di chi si è aperto nella fede alla rinascita battesimale. Una vita vissuta come dono di sé, come servizio a Dio e come spendita di sé perché altri vivano nella libertà dei figli di Dio e nella bellezza della vita fraterna.
La verità della vita è essere liberi. Porre azioni e gesti da persone libere, vivere relazioni libere e liberanti. Non trattenere la propria vita grettamente e morbosamente per sé stessi.
Il nuovo nella società civile nasce e deflagra lì dove ci sono uomini e donne consapevoli e liberi, come Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. Lì dove i cuori rimangono retti e onesti, l’ì dove come professionisti e cittadini si rimane fedeli servitori del bene destinato a tutti; quando «siamo organi della verità» che si vuole manifestare per mio mezzo agli altri o che per gli altri vuole giungere a me. Ognuno di noi ha il dovere di essere uno strumento di verità ed il diritto «che per gli altri – la verità – giunga a me». Ognuno di noi ha il dovere di porre la propria vita al servizio egli altri.
Questa è la novità che deve sgorgare sempre dalla mente del nostro cuore e che deve alimentare la nostra convivenza umana. Questa novità chiede una prospettiva ‘altra’, regole nuove. Chiede ‘artisti del nuovo’, ‘aritigiani di verità’ capaci di cogliere il nuovo. Come i rami spogli dell’autunno che durante l’inverno sperano e attendono con audace resilienza l’esplosione primaverile delle gemme, promessa di frutti abbondanti. «La mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana. Un altro non se ne accorgerebbe, ma io questo mondo lo conosco», riferiva in una intervista il Generale Dalla Chiesa divenuto Prefetto di Palermo (Intervista a Giorgio Bocca, in la Repubblica, 10 agosto 1982).
«Quando lo sposo sarà loro tolto». Gesù verrà eliminato con violenza. Egli accetterà liberamente, consapevolmente e per amore di essere eliminato, di essere ucciso, di essere crocifisso. Il rifiuto comincia nel pensiero, passa nelle parole, cerca coalizioni, termina con i fatti. I fatti del potere: preservare il potere acquisito, consolidarlo, velarlo di insospettabilità, farlo diventare ‘tradizione’ intoccabile. Infangare, criticare, nel nome della ‘tradizione’. Eliminare chi lo ostacola in nome della verità.
Il Prefetto Carlo Alberto della Chiesa ci testimonia che devono essere rinnovati gli atteggiamenti interiori, si tratta di un totale mutamento di mentalità. Di un lavoro culturale. L’arma che ha individuato Dalla Chiesa è il cambiamento di mentalità a partire dai servitori delle istituzioni, da ogni cittadino: senso di corresponsabilità per la città degli uomini, integerrima e robusta professionalità, onestà umana ed etica: «Con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla mafia il suo potere» (Intervista a Giorgio Bocca, in la Repubblica, 10 agosto 1982). Non si tratta solo di stanare i mafiosi, di combattere direttamente le sempre più camuffate organizzazioni criminali mafiose. Si tratta di assumere la polarità dell’oggi, del nostro oggi, della responsabilità che esso ci chiede, di starci dentro con una vita divenuta ‘parabola del nuovo’, che custodisca anche il vecchio migliore, autentico e non quello taroccato, venduto impunemente per tale. Il problema non è l’assenza di novità, il problema è l’assenza di occhi che la sappiano riconoscere questa novità e la sappiano servire con creativa donazione.
La questione decisiva oggi è la mancanza di amore. I cuori rimangono distaccati. Anche nella relazione d’amore per eccellenza, quella sessuale si cerca solo il corpo per la gratificazione immediata e autoreferenziale. Non si incontra e riconosce l’altro per celebrare la bellezza del noi. Si incontrano solo corpi. Si disprezzano i corpi.
Gesù ci consegna la metafora dello sposo. Lo sposo è colui che ama: l’amore ci costituisce, ci riconsegna alla nostra essenza umana, al suo senso ultimo e alla sua dignità che prende corpo nella vita professionale, familiare e civile per la costruzione della convivenza umana nel segno della giustizia, della fraternità e della pace.