La voce ferma dell’Arcivescovo scuote le nostre coscienze contro le “pesti” di questo tempo: guerra e nuove povertà, il mare come un cimitero di uomini e donne, la droga che dilaga nei quartieri

Nella V Domenica di Quaresima, guardando al cammino che porta alla Pasqua di Ressurezione, l'Arcivescovo esorta a non voltarsi di fornte a ciò che esprime dolore e morte. "E' l'amore che genera la fede e la fede genera l'amore, la vita"

Come nel cuore del mercato storico di Ballarò, come tra i vicoli del quartiere Albergheria alcuni mesi fa, per gridare contro i mercanti di morte, contro le organizzazioni mafiose che vendono le dosi di droga per pochi euro a giovani e giovanissimi, alla luce del giorno, davanti alle scuole: ancora una volta, l’Arcivescovo Corrado Lorefice si fa interprete della fatica collettiva di liberarsi dalle “pesti” di questo tempo e lo fa attraverso l’omelia offerta durante la V Domenica di Quaresima ai rappresentanti delle realtà confraternali dell’Arcidiocesi di Palermo. Un grido, quello dell’Arcivescovo, che è anche un’esortazione a vivere pienamente il commano verso la Pasqua di Resurrezione: “Siamo chiamati a celebrare nella nostra carne, cioè nella nostra vita, la Pasqua di Cristo. Le nostre processioni e i nostri riti pasquali che ci fanno fare il ricordo e il memoriale della Pasqua di Gesù, del compimento del suo amore che vince la morte, dei sentimenti del Signore Gesù e della sua Madre Addolorata, siano alimento ed espressione del nostro cammino di fede che genera in noi gli stessi sentimenti di Cristo e della Madre, la forza dell’amore che è più forte della morte, che vince il male con il bene, l’odio con il perdono, la cultura della morte con la promozione della vita, l’indifferenza con la solidarietà, la logica dell’interesse con la gratuità. Da dove le guerre dei nostri giorni, le nuove povertà delle nostre famiglie, i naufragi e i respingimenti dei migranti, la morsa insopportabile delle organizzazioni mafiose che impongono il loro potere nelle nostre città, inquinano le istituzioni, illudono e uccidono i nostri figli trattati da meri consumatori di droghe sempre più devastanti? Da dove le competizioni violente nei nostri ambienti di lavoro, le divisioni e le violenze nelle nostre famiglie, la ricerca di spazi di potere e di prestigio anche nelle nostre comunità cristiane e nelle nostre stesse confraternite? Dove c’è Gesù non può regnare la morte. L’amore genera la fede e la fede genera l’amore, e l’amore genera la vita. Esplode la Vita. La passione, la morte e la resurrezione di Gesù rappresentate nelle nostre processioni e celebrate nelle liturgie della Settimana Santa ci chiedono di verificare la nostra vita. Se corrisponde ed è vivificata dalla fede pasquale. Se è al sevizio dell’amore che suscita rigenerazione umana e sociale. “Disse Gesù: «Togliete la pietra!»” (Gv 11,39). “Anche oggi Gesù ci ripete: ‘Togliete la pietra’. Dio non ci ha creati per la tomba, ci ha creati per la vita, bella, buona, gioiosa. […] Dunque, siamo chiamati a togliere le pietre di tutto ciò che sa di morte […]” (Francesco, Angelus, 29 marzo 2020)”.

 

Di seguito, il testo completo dell’Omelia dell’Arcivescovo pronunciata nella V Domenica di Quaresima

Chiesa Cattedrale, 26 marzo 2023. Celebrazione eucaristica per la Pasqua del Confrate (in collaborazione con il Centro Diocesano Confraternite)

Il Vangelo di questa V Domenica di Quaresima ci pone dinnanzi alla risurrezione di Lazzaro. Papa Francesco la considera un “segno anche della rigenerazione che si attua nel credente mediante il Battesimo, con il pieno inserimento nel Mistero Pasquale di Cristo. Per l’azione e la forza dello Spirito Santo, il cristiano è una persona che cammina nella vita come una nuova creatura: una creatura per la vita e che va verso la vita” (Angelus, 29 marzo 2020).

“Gesù allora quando vide piangere Maria e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò … Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!»” (Gv 11,33.35-36). Questo vangelo ci mette dinnanzi ai sentimenti che albergano nel cuore di Gesù.  È già nel cuore di Gesù che risorge Lazzaro. Un cuore che neanche l’incomprensione dei discepoli e l’opposizione omicida dei capi dei Giudei sono riusciti a pietrificare, a bloccare.

Betania ci aiuta a capire Gerusalemme. La morte di Lazzaro, quella di Gesù. La pietra tolta dal sepolcro di Betania, quella ribaltata dal sepolcro del Golgota. Il morto uscito vivo dalla tomba, il Risorto vittorioso sulla morte che alita lo Spirito e ricrea la faccia della terra, il Kyrios che dona ai suoi e al modo la gioia e lo Shalom, la pace messianica.

Giovanni ci vuole fare entrare dentro l’effluvio d’amore di cui è capace e di cui è testimone Gesù. Ci vuole introdurre nella pasqua di Gesù, nell’ora di Gesù, nel compimento glorioso dell’amore di Gesù. Nell’amore massimo e traboccante che vince la morte e fa deflagrare la vita. Al capitolo 12 infatti l’evangelista annota: “Gesù rispose: È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo.  In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà” (Gv 12,23-26). E al capitolo 13 il IV evangelista espliciterà l’intenzione che da sempre sospinge Gesù verso la sua ora, la sua gloria: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1), cioè fino al compimento dell’amore: ama fino a donare la vita, perché noi abbiamo la vita. D’altra parte Gesù, come si legge al capitolo 10 dello stesso Vangelo, aveva utilizzato la metafora del pastore buono: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore” (Gv 10,10-11). Potenza dell’energia dell’amore che può tutto. L’amore più forte della morte, come canta il Cantico dei Cantici: “perché forte come la morte è l’amore […]. Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio” (Ct 8,6-7).

“Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene” (Rm 8,9). Questa deve essere la nostra Pasqua: seguire e contemplare il Cristo che liberamente e per amore nostro a Gerusalemme si consegna alla sua ora perché noi possiamo uscire fuori dal sepolcro della morte che ci imprigiona, che pietrifica i nostri cuori, li rende insensibili, li consegna a false sicurezze che illudono di immortalità e che invece schiavizzano e fanno calare le ombre delle tenebre nei nostri vissuti personali e relazionali. Noi siamo fatti per avere una amicizia d’amore con Gesù. La certezza che lui ci considera suoi amici come Marta, Maria, Lazzaro, ci assicura che anche in noi si impianteranno gli stessi suoi sentimenti, che prevarrà la potenza dell’amore e dunque la vita. Che saremo addirittura eredi della Vita eterna, vittoriosi anche sulla morte corporale: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Gv 11,25-26).

La Pasqua di Gesù ci permette di essere rigenerati, di tornare ad essere autenticamente cristiani, protesi a risorgere dalla morte e dalle nostre morti, per essere riscattati definitivamente da una vita soggetta al “dominio della carne” (cfr Rm 8,8) che semina divisioni, sofferenze, morte. Ci libera dall’insensibilità e dall’individualismo imperante, dalla violenza di parole e di gesti che interrompono le relazioni, feriscono l’anima e uccidono i corpi.

Siamo chiamati a celebrare nella nostra carne, cioè nella nostra vita, la Pasqua di Cristo. Le nostre processioni e i nostri riti pasquali che ci fanno fare il ricordo e il memoriale della Pasqua di Gesù, del compimento del suo amore che vince la morte, dei sentimenti del Signore Gesù e della sua Madre Addolorata, siano alimento ed espressione del nostro cammino di fede che genera in noi gli stessi sentimenti di Cristo e della Madre, la forza dell’amore che è più forte della morte, che vince il male con il bene, l’odio con il perdono, la cultura della morte con la promozione della vita, l’indifferenza con la solidarietà, la logica dell’interesse con la gratuità. Da dove le guerre dei nostri giorni, le nuove povertà delle nostre famiglie, i naufragi e i respingimenti dei migranti, la morsa insopportabile delle organizzazioni mafiose che impongono il loro potere nelle nostre città, inquinano le istituzioni, illudono e uccidono i nostri figli trattati da meri consumatori di droghe sempre più devastanti? Da dove le competizioni violente nei nostri ambienti di lavoro, le divisioni e le violenze nelle nostre famiglie, la ricerca di spazi di potere e di prestigio anche nelle nostre comunità cristiane e nelle nostre stesse confraternite? Dove c’è Gesù non può regnare la morte. L’amore genera la fede e la fede genera l’amore, e l’amore genera la vita. Esplode la Vita.

La passione, la morte e la resurrezione di Gesù rappresentate nelle nostre processioni e celebrate nelle liturgie della Settimana Santa ci chiedono di verificare la nostra vita. Se corrisponde ed è vivificata dalla fede pasquale. Se è al sevizio dell’amore che suscita rigenerazione umana e sociale.

“Disse Gesù: «Togliete la pietra!»” (Gv 11,39). “Anche oggi Gesù ci ripete: ‘Togliete la pietra’. Dio non ci ha creati per la tomba, ci ha creati per la vita, bella, buona, gioiosa. […] Dunque, siamo chiamati a togliere le pietre di tutto ciò che sa di morte […]” (Francesco, Angelus, 29 marzo 2020).