“Guardare la città dal basso, non per osservarla ma per viverla e farsi prossimo”

A piedi tra le bancarelle del mercato di Ballarò e i vicoli dell’Albergheria: l’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice prosegue il suo cammino nei quartieri periferici e popolari della città

Ancora una volta una congiunzione si fa verbo e così per Monsignor Corrado Lorefice “il Vangelo è la strada”: l’Arcivescovo di Palermo ha scelto lo storico mercato di Ballarò e i vicoli dell’Albergheria per proseguire (dopo i quartieri Danisinni e Brancaccio) il suo viaggio tra le “città invisibili”, un itinerario suggerito dai temi sviluppati nel libro “Il Vangelo e la strada” scritto con la sociologa Anna Staropoli e il teologo don Vito Impellizzeri, una sorta di opera aperta che si arricchisce delle pagine suggerite dall’esperienza dell’incontro lungo la strada, dalle domande che vengono poste, dalle richieste di condivisione della vita quotidiana spesso carica di dolore e di sofferenza.

L’itinerario che l’Arcivescovo ha voluto svolgere oggi è infatti iniziato dalle abitazioni di due famiglie che hanno condiviso difficoltà, dolori, esigenze concrete ma anche speranza: «L’Albergheria è un vero e proprio crocevia non solo di culture e di religioni ma anche di vite – ha detto l’Arcivescovo – un crocevia di uomini e donne che ogni giorno conoscono cosa sia la sfida della vita, con tutti i problemi che questo comporta, soprattutto in questo momento. Lì dove c’è la via ci sono le vite, le vicende, le storie; per me è importante che si riscopra questa dimensione da parte di tutti, quella della via, della strada, della prossimità, del prendere parte alle gioie e alle sofferenze della gente. Da questo punto di vista penso che questo quartiere sia veramente emblematico, anche per i tanti messaggi positivi che offre perché dove c’è gente che vive, che soffre e che spera ogni giorno, dove tante diversità si sforzano di convivere, allora non si va a dare qualche cosa ma a ricevere molto; qui si apprendono alcune cose essenziali di cui abbiamo bisogno, soprattutto in questo momento di guerra, qui si impara che nel segno della condivisione la diversità si fa ricchezza e non ostacolo. Quando si realizzano queste dinamiche si può anche condividere un’azione di riscatto di un intero quartiere, di un intero territorio».

Il viaggio all’interno del quartiere ha avuto un prologo – il momento della memoria – in quella che è stata denominata Piazzetta Mediterraneo (lo slargo liberato dalle macerie del bombardamento del 1943, un punto dove allora trovarono la morte circa venti persone): un momento di preghiera per le vittime di tutte le guerre cui ha preso parte anche il Primo Imam e responsabile della Moschea della Città di Palermo, sceicco Bedri El Medderi. Commovente l’appello per la pace offerto da Marina Sush, ucraina (la bandiera del suo Paese tra le mani), studentessa dell’Istituto di Scienze Religiose della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista”; un richiamo alla fratellanza e alla cooperazione (“mai essere indifferenti nei confronti dell’altro”) è arrivato dall’operatore sociale e vicepresidente di “Giocherenda” Bandiougou Diawara del Mali.

Il secondo momento – quello dell’incontro – è stato caratterizzato dal cammino lungo le bancarelle del mercato di Ballarò e i vicoli dell’Albergheria: l’Arcivescovo si è soffermato a salutare, benedire e a parlare con i tanti operatori commerciali e residenti; ha anche visitato i locali della sede universitaria dell’Ersu e ha raggiunto piazza Colajanni dove ha incontrato le animatrici e gli operatori di “Sbaratto”, il mercato dell’usato dell’Albergheria.

Il terzo momento – quello dell’ascolto delle priorità del quartiere – è stato vissuto all’interno dell’Auditorium del plesso didattico E. Albanese del dipartimento di Giurisprudenza – ex Cinema Edison: lì hanno preso la parola il prof. Aldo Schiavello, docente di Filosofia del Diritto, Massimo Castiglia, presidente della prima Circoscrizione del Comune di Palermo, Cetty  Sauro,  vicepresidente dell’Associazione Sbaratto, Giacomo Terranova, presidente dell’Associazione Mercato Storico di Ballarò, Martina Riina, di Anima Ballarò e del Ballarò Buskers Festival. E poi ancora gli interventi e le proposte avanzate da Karidja Diabate, ivoriana, orientatrice e mediatrice culturale e linguistica, da Balla Moussa Koulibaly, originario della Guinea, ConaKry dello Sportello Sans-Papiers dell’Arci Porco Rosso, da Alfonso Cinquemani, presidente del Centro Astalli Palermo, da Antonella Tirrito, presidente APS “Le Balate”.

L’ultimo momento – quello della riflessione degli autori – ha visto gli interventi di don Vito Impellizzeri e Anna Staropoli: «La dialettica di un quartiere come Ballarò è il grido, l’abbanniata – ha sottolineato don Impellizzeri – e quando la Chiesa si fa grido (Eloì, Eloì, lemà sabactàni? Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?) vuol dire che si pone sotto alla Croce e che ci ricorda, quando camminiamo nelle periferie, che noi non possiamo vivere senza le persone che incontriamo, noi “siamo loro”, non siamo qui per loro. Vorrei dire che le cosiddette “persone invisibili” ci hanno sempre visto, siamo noi che non ce ne siamo accorti». «In realtà il libro che abbiamo scritto si conferma essere uno strumento per conoscere e per arricchirci – ha aggiunto Anna Staropoli – è un’occasione per “farci attraversare” dai luoghi e dalle persone, non per essere dei semplici viaggiatori».

«Se usassimo un drone per osservare il nostro territorio – ha concluso Mons. Corrado Lorefice – ci verrebbe restituita un’immagine dall’alto priva di alcuni elementi essenziali; noi vogliamo invece osservare dal basso per vedere meglio la realtà, per ascoltarla, per annusarla. Dobbiamo camminare lungo le strade».

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