Giovedì Santo – In Coena Domini
Cattedrale – 6 aprile 2023
Omelia dell’Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice
Sorelle, Fratelli, il Triduo pasquale, “La Pasqua che cominciamo a celebrare questa sera, sia davvero, per ciascuno di noi, una svolta decisiva nella nostra vita, una grande crescita di fede, di speranza e di amore” (G. Dossetti, Omelia, Giovedì santo, 1972).
Il IV Vangelo si sofferma su un gesto avvenuto a Betania: “Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli” (Gv 12,3). I segni comunicano i sentimenti più profondi che germogliano dal cuore. In questo caso rivelano una grande fede e un amore smisurato.
Maria percepisce l’eccesso dell’amore di Dio che Gesù, andando incontro alla sua “ora” di glorificazione nella passione, sta per riversare su di lei, sui suoi discepoli, sulle “moltitudini” come precisa l’evangelista Mt (26,28). Ma intuisce anche che, come afferma Mazzolari, “non è detto che l’Amore non abbia bisogno d’amore” (La parola che non passa, 132). Il gesto di Maria esprime ‘l’amore grande’ per Gesù, testimone di ‘un Amore più grande’. Per lei non è sufficiente lavare i piedi del Maestro, ormai pronti a salire il Calvario, con la sola acqua, ma li cosparge con una sproporzionata quantità di profumo prezioso. Offre a Gesù con profondo affetto e devozione quanto ha di più prezioso. Uno spreco di almeno trecento denari, inutile e irrispettoso dei poveri, come contesterà lo scandalizzato Giuda. Ma all’eccesso della “divina Carità” (P. Mazzolari), corrisponde l’incontenibile amore di Maria. L’amore non calcola, non soppesa e non bada a spese, non pone limiti, ma sa donare con gioia, desidera solo il bene dell’altro, vince la meschinità, la grettezza, l’avarizia, i risentimenti, sblocca i lucchetti che serrano i cuori.
Maria non unge – secondo l’usanza – il capo di Gesù, bensì i piedi. Come ha fatto tutte le volte che lo ha ospitato a Betania (cfr Lc 10,39), si pone ai suoi piedi per amore, in umile postura discepolare e di servizio. Gesù rimane colpito da questo gesto che narra e ‘rappresenta’ tutto l’amore di Maria per lui. Si imprime nella sua coscienza e nella sua memoria. A tal punto che il Maestro, nell’ultima cena – di sicuro ispirandosi a lei e all’altra donna che lo “ha molto amato” (Lc 7,47) lavandogli con le lacrime i piedi nella casa di Simone il Lebbroso –, lo fa suo; assume questo gesto per veicolare ai suoi il suo ‘eccesso d’amore’. Annota infatti il IV Vangelo: “Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (εἰς τέλος). […] Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli” (Gv 13,1.4-5), perché – disse – “anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15). Il comandamento che Gesù promulga è quello di raggiungere l’altro, tutto l’altro, tutto dell’altro; di amarlo e di servirlo fino al dono della vita: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 15,34). Chi comincia dai piedi, dal basso, ha veramente a cuore tutta la persona, non scarta nulla di colui o colei su cui si china. Accoglie tutto dell’altro, anche ciò che umanamente ripugna, che lo rende distante.
Fare Pasqua significa “entrare in questo circuito d’amore” (Benedetto XVI, Omelia, 29.3.2010). Mettersi alla sua sequela, come Maria, fino a sentire in noi la Pasqua di Gesù, a farla insieme a lui. Il Signore è ‘eccesso d’Amore’. Ama per primo, offre la sua vita sulla croce per noi. Il Maestro introduce al comandamento dell’amore prostrandosi sui nostri piedi, donandosi a noi fino a tanto, amando anche il fango che accumuliamo nei polverosi sentieri della vita. Egli ci rende partecipi della forza irresistibile dell’amore che si ‘china’ sull’altro, via maestra per ritrovare la nostra vocazione originaria: essere di fronte, non contro l’altro; riconoscersi sempre e in ogni circostanza e situazione nell’altro; riconoscerlo come l’immagine stessa di Dio. Amarlo con tutto il cuore come sé stessi (cfr Mc 12,33).
Il gesto di Gesù che lava i piedi dei discepoli, visto dalla prospettiva di Maria di Betania, imprime una forza interpretativa decisiva al dono immenso che ha fatto alla sua fraternità, alla sua Chiesa, nella notte in cui fu tradito: la Fractio, il segno del Pane spezzato, l’Eucaristia, memoriale della sua Pasqua, Sacramento del suo corpo donato e del suo sangue versato sulla croce che sostenta e motiva la vita e la convivialità fraterna dei suoi discepoli. Maria di Betania è icona della Chiesa che riconosce e ama il suo Signore. Che sceglie di seguirlo sempre e solo nell’amore e nel potere trasfigurante del servizio.
Ma Maria di Betania è anche icona di una Chiesa che, alimentata dalla consuetudine e dalla familiarità con il Signore Gesù, è intuitiva e creativa nell’amore. Audace come lei nel “potere dei segni” (Tonino Bello, Stola e grembiule). Una Chiesa generata e radunata in unità dall’Eucaristia, provocata dalla lavanda dei piedi, animata dall’amore del Signore.
Celebrare e vivere l’Eucaristia significa immettere nel nostro mondo, nei nostri mondi vitali la forza trasfigurante dell’amore e del sevizio. A maggior ragione in questo tempo in cui l’amore sembra raffreddarsi (cfr Mt 24,12) e venir meno l’anelito e l’impegno per il bene comune e l’edificazione della città degli uomini. L’esistenza del cristiano nella luce dell’Eucaristia è, come Gesù, un’esistenza ‘proesistenziale’, un vivere e morire per altri nell’attesa della nuova creazione nella parusia del Signore Gesù. “La Fractio, che oggi viene particolarmente commemorata, insegna all’uomo come si spartiscono i doni di Dio: non con spada o con frode ma con sola carità, poiché ‘dove c’è carità e amore, lì c’è Dio’. […] Chi s’appropria e tiene unicamente per se, oscura in ogni cosa quel senso eucaristico che Gesù raccoglie e fa splendere nel mistero del Pane ” (La parola che non passa, 136.137).
Gesù, anche in questa sua e nostra Pasqua, vuole essere sorretto e amato in quanti oggi continuano a camminare spossati e soli sulla via del Calvario. Ha bisogno di mani che lavino e ungano i suoi piedi. Di servi dell’amore. Per questo Gesù disse: “I poveri li avete sempre con voi” (Gv 12,8). Scrive Agostino nel Commento al Vangelo di Giovanni: “Ogni anima che voglia essere fedele, si unisce a Maria per ungere con prezioso profumo i piedi del Signore […]. Ungi i piedi di Gesù: segui le orme del Signore conducendo una vita degna. Asciugagli i piedi con i capelli: se hai del superfluo dallo ai poveri, e avrai asciugato i piedi del Signore […]: per te è superfluo, ma per i piedi del Signore è necessario. Accade che sulla terra i piedi del Signore siano bisognosi. A chi, se non alle sue membra, si riferisce la parola che egli pronuncerà alla fine del mondo: Ogni volta che l’avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt 25,40)?” (Omelia, 50, 6).
Leggiamo spesso, meditiamo sempre e immedesimiamoci nella “lavanda dei piedi e il Signore, fatto servo, servirà gli altri in noi in quel momento, non tanto per la forza del suo insegnamento, quanto per l’attuazione reale, effettiva, del suo stesso atto che si compirà in noi” (G. Dossetti, Istruzione a mattutino, Giovedì Santo 1974).