“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia. Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore”: un convegno di spiritualità all’interno del carcere palermitano Lorusso a Pagliarelli

I lavori, promossi dall’Azione Cattolica diocesana insieme ai Frati Minori di Sicilia, si svolti il 21 e 22 febbraio scorsi. Le testimonianze dei detenuti

Interpretando le parole di Papa Francesco (“Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore”), l’Azione Cattolica diocesana di Palermo, insieme alla realtà dei Frati Minori di Sicilia, ha promosso nelle giornate del 21 e 22 febbraio scorsi un convegno rivolto agli ospiti della Casa Circondariale “Antonio Lorusso” (Carcere di Pagliarelli) dal tema “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia”. Il contributo di Stefania Sposito e alcune testimoninza dei detenuti:

 

 

 

Il triennio 2021-2024, nonostante il blocco delle attività imposto dalla pandemia, ha visto noi volontari di Azione Cattolica che svolgiamo servizio al carcere, impegnarci per trovare nuove forme di DIALOGO con i detenuti che maggiormente hanno sofferto la chiusura della pandemia, per naturale strutturazione delle carceri e della pena da scontare. Alle prime timide riaperture non abbiamo tardato a riprendere i nostri cicli di catechesi. I detenuti vivono della Parola ed amano il confronto e la consolazione dei volontari. Ci chiamano: “quelli che portano il Signore”.

I cicli di catechesi, per volontà del cappellano Fra Loris D’Alessandro, hanno riguardato il nostro cammino di Azione Cattolica, incontri di primo annuncio sulle 10 parole mediate dall’analogo testo di Papa Francesco, catechesi sulla santità in cui abbiamo focalizzato due figure importanti per la città di Palermo: Santa Rosalia, patrona molto amata dalla popolazione carcerata e il beato Padre Pino Puglisi, martire, anche lui amato come esempio di legalità e per come ha saputo trasmettere la Parola che salva in determinati ambienti di Palermo esposti alla delinquenza, e infine preparazione di alcune detenute al Sacramento della Cresima, particolare momento di grazia, celebrato dal nostro Arcivescovo e vissuto da tutti quale momento fecondo in cui i semi piantati sono divenuti alberi da frutto.

Siamo anche riusciti a svolgere la prima tappa del cammino Sinodale da cui è emersa da parte della popolazione detenuta la frustrazione di sentirsi soggetti senza voce e il bisogno di sentirsi ascoltati ma soprattutto consolati dalla Chiesa nei suoi rappresentanti sacerdoti, di cui chiedono maggiore presenza in loco. Pertanto volendo dare voce ai fratelli, facendoci compagni di consolazione, abbiamo pensato di rispondere alle loro richieste con l’organizzazione all’interno del carcere di un convegno che è stato svolto il 21 e 22 febbraio.

Esso ha avuto come tema: “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia. Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore.” (Papa Francesco).  Vogliamo davvero la felicità? Questa la domanda di senso e che dà un senso alla nostra storia. Possibile risposta ci viene data dalla Chiesa con il brano delle beatitudini. Riflettere su esso è significato metterci in ascolto e fare una scommessa su noi stessi, sulla nostra conversione ad una mentalità nuova che probabilmente fino ad ora non avevamo ancora acquisito.

Abbiamo preparato i fratelli detenuti con 10 incontri usando le beatitudini come categoria per la ricerca della felicità. Al convegno in prima giornata abbiamo visto dialogare il Teologo frate Ermes Ronchi e il Filosofo Frate Stephane Oppes alla riscoperta del rapporto tra fede e spiritualità. Si sono confrontati su quel Dio che per averci pienamente felici ha donato sè stesso. La bibbia è piena di beatitudini perché Dio si allea con la gioia degli esseri umani e regala vita a chi è capace di comunicare amore in ogni luogo e in ogni momento. I detenuti sono intervenuti con domande a tema. In seconda giornata i medesimi sono stati introdotti sulla differenza dello scegliere una cella per vocazione o finirci dentro per errore, attraverso la lettera loro inviata da suor Cristiana Scandura, clarissa del monastero di Biancavilla (CT), il video messaggio di Suor Virginia Formoso (Abbadessa delle Clarisse del monastero di Alcamo (TP) e la testimonianza di Dom Vittorio Rizzone, Abate del monastero dei Benedettini di San Martino delle Scale. I detenuti sono intervenuti con toccanti testimonianze (di cui alla fine dell’articolo sono allegati stralci) sul loro essere finiti in cella per errore, ma nella piena consapevolezza che la salvezza viene se non escludono Dio.

A conclusione del convegno ci siamo lasciati con questo mandato: scrivere la nostra beatitudine, percorrendo la nuova strada che il Signore ci indica, trasformando le nostre ferite in feritoie da cui entra la luce che illumina e trasforma il nostro limite. Così colmeremo i nostri vuoti e potremo porci davanti a Dio misericordioso, come soggetti liberi da ogni catena e zavorra.

Il convegno è stato accompagnato dalla preghiera dei fedeli e dei soci dell’Ac di Palermo grazie al proficuo impegno dei parroci da noi coinvolti. Anche il Seminario di Palermo che opera in carcere attraverso due seminaristi, ha accolto l’invito alla preghiera per il convegno dedicando l’adorazione settimanale, presieduta per l’occasione da Frate Stephane Oppes e guidata da noi volontari di Azione Cattolica.

Ecco gli stralci delle testimonianze dei detenuti, davanti ai quali dobbiamo porci come stessimo entrando in un Santuario, come ha sottolineato il nostro Arcivescovo nella celebrazione conclusiva al convegno.

ALESSANDRA: “mi sono impegnata a capire che l’amore è l’unica salvezza. Ho cercato di evitare litigi, di mettere chiarezza e pace, di fare capire che in un carcere, anche se è difficile, si deve opprimere la depressione, accettare, cambiare, crescere, anche se si ha 50 anni e affidare tutto a Dio, ma non secondo le nostre volontà, ma secondo la sua”.

GIUSEPPE: “ogni detenuto non è solo un carcerato, ma è un’anima di Dio fatta a sua immagine e somiglianza. Per questi fratelli non occorre l’indifferenza ma amore, non condanna ma considerazione, non odio e cinismo ma fraternità. La misericordia ha sempre la meglio sul giudizio”.

DOMENICO: “oggi mi sento un uomo migliore, anche se in carcere, perché grazie al Vangelo ho ritrovato la mia strada e rafforzato la mia fede. Dio mi ha indicato la luce in fondo al tunnel di questa mia vita e io voglio farmi vicino aiutando chi speranza non ha, a mettersi alla sequela di Dio”.

Stefania Sposito