Memoria di S. Antonio di Padova, presbitero e dottore della Chiesa
Omelia dell’Arcivescovo di Palermo, MOns. Corrado Lorefice, Parrocchia S. Antonio di Padova
13 giugno 2023
Omelia
Sant’Antonio è un nome di umiltà, di pace, di amore per i poveri, di vicinanza agli ultimi, di guarigione, di speranza, di pazienza. È un nome che parla di Vangelo, di una fede operante, della passione per la predicazione dell’amore e della misericordia di Dio per ogni uomo e ogni donna, ed è bello riunirsi, insieme nel suo nome.
S. Antonio diceva che «Credere vuol dire dare il cuore». La stessa etimologia la troviamo in Baldovino di Canterbury [un altro medievale]. Fede è “Deo concordare, et cor nostrum Deo dare” [avere sintonia con Dio, e consegnargli il nostro cuore](Tract. DiversiIII: PL 204, 422). E lo stesso Santo spiegava: «Chi dà il cuore dà tutto. Perciò crede colui che con la devozione del suo cuore si sottomette totalmente a Dio» (Sermone per l’Ascensione del Signore §5).
Quando si diventa credenti, quando si dà il cuore a Gesù Cristo, quando si accoglie nella propria vita il Verbo/Figlio di Dio fattosi carne, quando, stringendolo al nostro cuore lo abbracciamo, uniti a lui per sempre, fino alla morte – S. Antonio ad Ispica, la mia città di origine, viene raffigurato con in mano la Bibbia aperta che regge, nell’abbraccio, il bambino Gesù – tutto è possibile perché Cristo stesso accompagna e conferma le parole con i prodigi del suo amore. Si predica “il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15), anche ai pesci, se gli uomini non ascoltano, come è stato capace di fare S. Antonio a Rimini.
Amante della divina sapienza contenuta nelle Sacre Scritture e ricercata nello studio della teologia, viene affascinato dal Vangelo vissuto fino al martirio da cinque frati di Francesco d’Assisi, decapitati in Marocco dove si erano recati a predicare. Sedotto dal Vangelo incarnato fedelmente e senza aggiunte – sine glossa – da Francesco d’Assisi, il somigliantissimo a Cristo fino a portare nel suo corpo i segni della passione del Signore. Professore di teologia, fu addetto in convento a lavori umili e faceva tutto con amore, senza pensare ad altro perché sapeva che qualsiasi cosa si fa, se fatta con umiltà, fa crescere, edifica, genera vita, rigenera.
Per questo amore a Cristo, alla sua persona di Figlio di Dio, Parola eterna fattasi carne per amore di noi uomini, incontrato assiduamente nella Santa Eucaristia e nelle Sacre Scritture lette, studiate, contemplate e assimilate nella mente del cuore, il nostro Santo è diventato “patrono dei poveri e dei sofferenti” e operatore di giustizia. Poiché un cristiano così, un discepolo del Signore che vive questa profonda personale comunione con il Signore Gesù, diventa capace di spendere la vita per coloro che Dio ama. Per gli scarti confinati nelle periferie esistenziali delle nostre città. Antonio è diventato “amico e avvocato dei poveri” soprattutto della città di Padova! Una città dove l’usura praticata dai ricchi idolatri del denaro prolificava e generava sempre più poveri. Un vero cristiano si interessa sempre, ha cura della città. Come ha fatto a Palermo il nostro Fratel Biagio Conte.
“Vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo” ci dice l’Apostolo (Ef 4,15). Vivere secondo la verità è vivere nella carità! “La nostra testimonianza sarebbe insopportabilmente povera, sei noi per primi non fossimo contemplatori del volto di Gesù” (Novo millennio ineunte, 16). “Solo il continuo e rinnovato ascolto del Verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo volto, permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Dio vivo e vero ma anche chi è l’uomo” (Comunicare il vangelo in un mondo che cambia, 10).
Ecco che cos’è stato S. Antonio e che cos’è ancora oggi per tanti, per tutti coloro che si avvicinano a lui per chiedere la sua intercessione presso Dio e ricevere una grazia. Egli prima di tutto ci dice: “ama Dio, lasciati trasformare la vita dalla sua Parola, poiché la prima cosa di cui hai bisogno – l’unum necessarium, indispensabile – è la comunione con Dio, è amarlo con tutto il cuore, con tutta l’energia intellettuale, con tutte le forze”.
Ciò che è necessario è vivere secondo la forma del santo Vangelo, attuando nella vita gli insegnamenti e gli esempi del Signore, vivendo nella vita il segno eucaristico del pane spezzato, della vita donata, amando il prossimo come noi stessi, come Cristo ama, secondo un amore più grande, vivendo secondo le Beatitudini nell’attesa della venuta del Signore nella gloria, praticando le opere di misericordia: sfamare e dissetare, accogliere e visitare, vestire i fratelli più piccoli e bisognosi. Avere parole di perdono e gesti di riconciliazione per chi ci fa del male; lacrime di dolore per le vittime dell’ingiustizia e dell’indifferenza, per gli scarti che produce la pandemia imperante della sclerocardia. Non riusciamo più a piangere neanche dinnanzi all’ennesima immagine – di questi giorni – di una infante africana che galleggia annegata nel Nostro Mare.
“Senza frode imparai e senza invidia io dono, non nascondo le sue ricchezze” (Sap 7,13). È questo, fratelli e sorelle, ciò che S. Antonio ci dice mentre noi siamo qui a far festa intorno a lui; ed è questo che ci ripete ogni giorno, ogni volta che ci rivolgiamo a lui con fiducia: «La fede – egli diceva – opera per mezzo dell’amore. L’anima della fede è la carità, perciò, venendo meno la carità la fede muore» (Sermone per la Dom. X dopo Pent., §6). Non è certo un caso che, a seguito di un ben noto miracolo dovuto all’intercessione del Santo che restituì alla sua mamma il figlio Tommasino, ormai dato per morto, ella decise di offrire al convento tanto frumento quanto pesava il suo bambino perché potesse essere ‘ri-donato’ come pane alle mamme povere. Da qui deriva il segno della devozione verso S. Antonio poi divenuto il «pane dei poveri».
Divenire pane per altri. Per tutti. Per i prediletti dal cuore di Dio Padre: i suoi figli più piccoli e fragili. La vocazione di noi cristiani è amare Dio con tutte le forze e amarlo, riconoscerlo e servirlo negli uomini e nelle donne, sua immagine. E per questo scegliamo come unico principio di vita il servizio e non il potere o il comando. Amare come ha amato il Signore che ha dato la vita, è morto per noi, avendo scelto di essere un Messia-Servo. Nel regno di Dio il più grande è colui che ama, colui che serve! “Non vale ciò che facciamo, ma vale l’amore con cui lo facciamo! Anche il gesto più umile fa crescere, se fatto con amore” (Giovanni Salonia). Ricordiamolo sempre! S. Antonio è grande perché la sua sapienza e scienza si è incarnata e si incarna nei libri della vita delle persone che lo hanno incontrato e che ancor oggi lo invocano. Chiediamo questa grazia a S. Antonio di amare Dio e gli altri come ha fatto lui. Per contribuire a costruire una città capace di uno “sguardo dal basso”, di ripartire sempre dagli ultimi, dagli scarti che produce per l’indifferenza e la brama di potere e di denaro.