Il 9 giugno 2025 ricorre il IV centenario della prima processione delle Reliquie di Santa Rosalia e della liberazione della città di Palermo dalla peste. Sono tre gli appuntamenti previsti col nome “Te Deum Laudamus, 1625-2025” organizzati dall’Arcidiocesi di Palermo, dalla Cattedrale di Palermo e dal Santuario di Santa Rosalia:
DOMENICA 8 GIUGNO, Cattedrale di Palermo alle ore 19.30: concerto della Massimo Kids Orchestra e delle voci della Cantoria dal Teatro Massimo sotto la direzione del M° Michele De Luca. L’evento è a cura dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Palermo.
LUNEDI 9 GIUGNO, Santuario di Santa Rosalia alle ore 10.30: celebrazione della Santa Messa.
DOMENICA 15 GIUGNO, Santuario di Santa Rosalia alle ore 18.00: celebrazione della Santa Messa. A seguire, pellegrinaggio dal Santuario a Pizzo Croce per la benedizione della città con la Reliquia di Santa Rosalia.
9 giugno 1625: quel corpo fragile che salvò la città
di Filippo Sapienza, Storico dell’arte
Rosalia Sinibaldi rappresenta per Palermo molto più di una figura religiosa: è una sintesi potente di storia, fede, immaginario collettivo, rigenerazione e identificazione. Il culto per Rosalia, sebbene ritenuto da alcuni un’espressione nata in epoca moderna, affonda in realtà le sue radici nel XII secolo. Numerosi documenti, tra cui un diploma del 1196 e testimonianze liturgiche del XIV secolo, attestano la presenza di una venerazione costante. Non poche anche le testimonianze di luoghi, icone, fercoli, che attestano un culto antecedente ai fatti del 1624.
Il Monte Pellegrino e la data del 4 settembre — il dies natalis della santa — costituiscono i due poli attorno ai quali si è sviluppato il culto. La grotta, già in epoca bizantina luogo di culto dedicato a Maria, divenne all’indomani della scoperta del corpo della Santuzza simbolo della devozione palermitana.
Le fonti agiografiche raccontano che Rosalia nacque da una nobile famiglia normanna, discendente da Carlo Magno, e visse tra la grotta della Quisquina, presso Agrigento, e il Monte Pellegrino. Sin da giovane, si consacrò alla vita eremitica, rifiutando un matrimonio imposto e scegliendo un’esistenza ascetica ispirata alla spiritualità bizantina e al monachesimo italogreco. L’esperienza spirituale di Rosalia è inscritta in una dimensione solitaria e profonda. Secondo alcune fonti, avrebbe chiesto di essere murata viva all’interno della grotta dove trovò la morte.
La sua figura viene riscoperta e valorizzata nel contesto della Controriforma, assumendo tratti consoni alla nuova sensibilità religiosa: una santa penitente, umile, ascetica, capace di intercedere per il popolo. Nel 1624, Palermo fu colpita da una delle più gravi epidemie della sua storia. Il morbo, probabilmente giunto via mare da un veliero proveniente da Tunisi, si diffuse con rapidità e devastazione. In un contesto di disperazione e impotenza, il popolo e le autorità cercarono nel sacro una via di salvezza. Fu in questo clima che emerse con forza la figura di Santa Rosalia. Le cronache parlano di apparizioni, sogni e guarigioni miracolose attribuite alla santa.
Una donna, Girolama La Gattuta, guarita inspiegabilmente, ricevette in sogno l’indicazione del luogo in cui scavare sul Monte Pellegrino. Il 15 luglio fu effettivamente ritrovato uno scheletro e delle ossa incastonate nella roccia calcarea; la loro particolarità — un naturale processo di “fossilizzazione” dovuto alla composizione della grotta — aumentò l’aura prodigiosa del ritrovamento. Tra le ossa, furono anche ritrovati segni della vita eremitica: un contapreghiere in pietra, una ciotola e due croci.
Le autorità civili e religiose, guidate dal viceré Giannettino Doria, organizzarono processioni, studi medico-anatomici e commissioni teologiche per verificare l’autenticità delle reliquie. Il popolo, nel frattempo, attribuiva alla santa la progressiva scomparsa della peste. Testimonianze scritte, raccolte in processi canonici, narrano di guarigioni miracolose attribuite all’acqua sgorgata dalla grotta, segno tangibile della misericordia divina.
Particolarmente toccante è la vicenda di Vincenzo Bonelli, detto “il saponaro”, che — dopo aver perso moglie e figlia per il contagio — decise di togliersi la vita sul Monte Pellegrino. Lì ebbe una visione di una donna bellissima che si presentò come “Rosolea” e gli indicò il luogo dove visse e di andare dal Cardinale affinché non dubitasse più delle sue ossa. Morì pochi giorni dopo, come la santa aveva preannunciato, e la sua testimonianza contribuì a rafforzare la fede del popolo quella di Giannettino Doria.
Il 27 luglio 1624 la città fece voto a Santa Rosalia e la proclamò sua patrona principale, soppiantando un santorale cittadino costituito da illustri santi martiri e religiosi. La solenne processione del 9 giugno 1625, che segnò il primo vero “Festino” in onore di Santa Rosalia, rappresenta un evento centrale nella storia religiosa e culturale di Palermo. Fu un momento di fondazione simbolica: non solo un atto devozionale, ma anche una dichiarazione di identità civica, una risposta pubblica alla tragedia della peste che aveva devastato la città. La processione fu organizzata per rendere grazie a Dio e alla Santa per la cessazione dell’epidemia, che il popolo attribuiva alla sua intercessione. L’imponente corteo prese avvio dalla Cattedrale e attraversò le principali vie della città, coinvolgendo l’intera società palermitana: autorità civili, ecclesiastiche, ordini religiosi, confraternite, corporazioni e popolani. La sacra urna contenente le ossa di Santa Rosalia, realizzata in cristallo e argento, fu portata a spalla da nobili cavalieri sotto un baldacchino d’argento ricamato con gigli, rose e le insegne del Senato palermitano. Questo corteo, che sfilava in un’atmosfera carica di simbolismo, apparati allegorici e musica sacra, fu l’emblema di un popolo che, uscito dalla morte, tornava alla speranza.
L’intento didattico e morale era chiaro: la città si mostrava pentita e desiderosa di purificazione. Le allegorie, splendidamente abbigliate e accompagnate da insegne e simboli, costituivano un catechismo visivo rivolto al popolo. Ogni confraternita era associata a una Virtù rappresentativa del proprio carisma o missione spirituale. La sfilata includeva oltre cinquanta compagnie laicali, ognuna con fercoli, stendardi e motivi iconografici che celebravano il potere salvifico della santa. Straordinaria fu anche la partecipazione degli ordini religiosi, i quali portarono in processione vare artisticamente elaborate, con scene della vita della santa o immagini di santi guaritori come San Rocco o San Sebastiano. Il percorso era costellato da altari effimeri, costruiti davanti a chiese, conventi e palazzi nobiliari: vere e proprie opere di architettura barocca in miniatura, ricche di lampade, candelieri, stoffe preziose, reliquiari, simboli araldici e dipinti allegorici. Tutto ciò si svolgeva in un contesto urbano completamente trasformato: archi trionfali eretti dalle Nazioni residenti (come i Genovesi, i Fiorentini e i Catalani), decorati con iscrizioni latine, statue e dipinti, celebravano la vittoria della Vergine eremita su mali terreni e peccati spirituali. Alcuni apparati, come quello dei Gesuiti o della Nazione Genovese, colpivano per la sofisticazione iconografica e la teatralità scenica. La città era diventata un palcoscenico catechetico e festivo, in cui sacro e spettacolo si fondevano senza soluzione di continuità. Il clero e il capitolo della Cattedrale chiudevano la processione insieme al Cardinale Giannettino Doria e a illustri dignitari. L’intera Palermo, invitata a dismettere i segni esteriori del lutto, si riversò nelle strade per accompagnare le reliquie e onorare la santa. La solennità dell’evento è documentata dalle cronache coeve, che descrivono una partecipazione popolare vastissima e un’intensa emozione collettiva. L’allestimento scenografico e la presenza di elementi allegorici non devono essere interpretati solo come spettacolo: essi riflettono un modello pedagogico tridentino, che attraverso la bellezza e l’immediatezza sensoriale educava il fedele ai misteri della fede, all’etica cristiana e alla funzione mediatrice dei santi. La processione del 1625 fu quindi un atto di rifondazione spirituale e politica: Palermo, minacciata dalla peste e dal peccato, si consacrava a una santa giovane, penitente, vergine ed eremita, immagine visibile di un’alleanza con il trascendente. Quella giornata segnò l’inizio di una tradizione che avrebbe continuato per secoli a definire l’identità spirituale di Palermo. La città non solo onorava Rosalia come liberatrice dal morbo, ma la adottava come nuova Santa protettrice. Il primo Festino, nella sua ricchezza iconografica, teatrale e religiosa, fu molto più di una celebrazione: fu un nuovo patto di alleanza tra cielo e terra, tra una comunità ferita e la sua nuova patrona. Attraverso l’arte barocca, le allegorie e la magnificenza dei riti, Palermo si ridefiniva come “città salvata”, rigenerata dalla santità di Rosalia, da quel fragile corpo di una donna che aveva lasciato la corte e divenne la protettrice del capoluogo del regno di Sicilia.
(nella foto, la prima urna contenente le reliquie di Santa Rosalia)