ROSALIA 401° / “Fraternamente insieme, a servizio della pace nella Casa comune”

10 luglio, l’Arcivescovo apre le porte per accogliere i rappresentanti dei popoli e delle religioni presenti a Palermo: “Mai la religione come pretesto per la guerra”. Un incontro organizzato dall’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso / INTERVENTO ARCIVESCOVO / PHOTOGALLERY

Un appuntamento che è diventato, per il decimo anno consecutivo, una consuetudine e un tassello importante del mosaico del Festino in onore di Santa Rosalia Patrona di Palermo: l’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice ha aperto le porte del Palazzo Arcivescovile per accogliere e dialogare con i rappresentanti di tutti i Popoli e religioni presenti in città. “Fraternamente insieme, a servizio della pace nella Casa comune” è stato il tema scelto quest’anno dall’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso. Don Pietro Magro, direttore dell’ufficio, ha sottolineato che il dialogo costante tra tutti i popoli “è uno strumento straordinariamente efficace per sconfiggere l’odio e costruire cammini di pace e di condivisione”. Tra gli interventi, quello degli assessori comunali Maurizio Carta e Fabrizio Ferrandelli. Ha concluso l’incontro il suono di campana tibetana da parte di Emanuele Zimmardi e il flauto di un bimbo ucraino.

Forte, vibrante e diretto è stato l’intervento dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice (che trovate anche in allegato).

 

Festino di S. Rosalia 2025 – “L’Arcivescovo apre le porte di casa sua”

 Incontro con i Rappresentanti delle Religioni presenti a Palermo

10 luglio 2025

Fraternamente insieme a servizio della pace nella Casa comune

 

Care Amiche, Cari Amici, buongiorno a tutte/i voi, che anche quest’anno siete tornati in questa casa! Vi accolgo qui con grande gioia, avvertendo l’importanza di questo nostro convenire. Esso ha infatti un grande valore, perché testimonia la nostra volontà di incontrarci, di perseguire la strada della relazione, dello stare assieme, come via umana all’umano. Siamo fatti per stare con gli altri, non per rimanere individui isolati, magari tristi, rancorosi, aggressivi. Oggi il contesto locale e planetario vorrebbe spingerci verso una lotta di tutti contro tutti, verso un ritorno all’idea che homo homini lupus, che ogni uomo è “lupo” all’altro uomo, che solo nella lotta fratricida risiede il senso ultimo dell’umano. Noi qui stamattina, nel nostro stesso ritrovarci, vogliamo dire il contrario: l’incontro autentico, il dialogo nutriente, la condivisione generosa sono la strada che crea e fa crescere l’umanità nella cornice del Creato tutto, in una integrazione intima e necessaria.

C’è dunque un rilievo umano decisivo nel nostro tornare a incontrarci, oggi, un altro anno ancora. Ma questo incontro rinnovato ha più che mai un valore simbolico. Un valore simbolico enorme. Le tensioni internazionali, gli scenari di guerra, le contrapposizioni frontali, le spinte nazionalistiche ci interpellano profondamente. Le Religioni sono chiamate in un tempo così drammatico a una scelta di campo, difficile ma inevitabile. Di fronte alle tentazioni integraliste, alla pretesa dei politici, dei governi, di rendere le nostre fedi ancelle e vessilli di guerra, di separazione, di odio; di fronte al desiderio di asservirle o di interpretarle come fonte di conflitto, come emblemi di identità mortalmente contrapposte; di fronte al rischio di ridurle – le nostre Religioni – a strumenti dei poteri di questo mondo, noi oggi siamo qui per dire «No!». Siamo qui per ribadire che la Parola di cui siamo indegni portatori, eredi magari non all’altezza ma certamente consapevoli, non è fatta per la guerra, non può essere usata ‘contro’ l’altro. Dobbiamo affermarlo con molta chiarezza. e senza sconti o infingimenti. Guardiamoci attorno con coraggio. La nostra parola, la parola che unisce è proprio ‘pace’.  Disarmare le guerre e gridare la pace. È «fondamentale il contributo che le religioni e il dialogo interreligioso possono svolgere per favorire contesti di pace» (Leone XIV, Discorso al Corpo Diplomatico, 16 maggio 2025)

Mentre siamo qui stamattina la parola del Vangelo della pace è sfigurata e contraffatta negli Stati Uniti d’America da movimenti politico-religiosi che la usano come giustificazione per crimini orribili, per deportazioni illegali, per l’abbattimento dei vincoli reciproci e dei sostegni economici e sociali ai più poveri. Il cristianesimo viene ridotto, anzi viene ribaltato, a vessillo del Make America Great Again. Pensate, ad esempio, che il ritiro degli Stati Uniti dai programmi umanitari internazionali ha provocato e sta provocando la morte e la sofferenza di milioni e milioni di persone. Considerate quante donne, uomini, bambini, sono vittime di una violenza brutale che li espelle dal paese in cui magari vivono da anni solo in ossequio al demone della grandezza, della ‘purezza’ americana. E tutto questo accade sotto un’egida teologica, in nome di Dio, come se fosse in linea con l’idea cristiana della vita.

Allo stesso modo, nello Stato di Israele – da non identificare con l’intero popolo ebraico –, un’interpretazione integralista della Bibbia, una concezione politica e quasi tribale dell’Israele di Dio, portata avanti da forze politiche che si considerano fondate sulla parola del Libro, sta provocando una delle catastrofi peggiori della storia recente, sta sterminando un popolo, il popolo palestinese – anche qui i bambini, le donne, i civili insomma –, con una determinazione omicida che lascia sbigottiti e che legandosi alla brama di potere del capo del governo non si ferma davanti a nulla e arriva a sparare sui civili in cerca di cibo e di assistenza. E anche qui – mostruosità indiscutibile – Dio viene evocato quale motivo e giustificazione di tutto questo. Come d’altronde è stato in nome di un integralismo islamico che si è consumato l’attacco deprecabile e la terribile strage del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas.

Noi tutti – va ribadito con chiarezza – deploriamo e prendiamo le distanze da ogni forma e manifestazione di antisemitismo di ritorno.

Non ci nascondiamo poi come nei paesi del Golfo la contrapposizione religiosa e le divisioni interne alla famiglia musulmana siano fondamentali quali strumenti di copertura di conflitti e di regimi in cui la libertà delle persone è conculcata, la vita politica è rigidamente controllata, le donne e le minoranze sono oppresse. E potrei continuare, Amiche e Amici, Sorelle e Fratelli, pensando alla chiamata in causa dell’ortodossia nel drammatico conflitto ucraino, pensando al ruolo delle componenti religiose in Africa come nell’Estremo Oriente, pensando insomma a tutti i luoghi del nostro pianeta in cui la religione è asservita al potere, ne diviene complice, ne giustifica gli abomini, ne sostiene le guerre e i conflitti.

Ecco, oggi io voglio gridare con voi, vogliamo gridare assieme il nostro «No!». Vogliamo dirlo a voce alta, a schiena dritta, senza timori: usare Dio per la guerra è un crimine contro l’umanità, è un insulto a Dio e allo spirito dell’uomo, alla sua interiorità, è una negazione dell’essenza stessa della religione, della sua vocazione a re-ligare, a raccogliere i viventi, che non può passare sotto silenzio, un insulto contro il quale dobbiamo gridare senza compromessi. Lo facciamo, lo faccio con voi stamattina ricordando l’uomo che forse più di chiunque altro in questi anni così difficili ha levato la propria voce contro la guerra e le divisioni planetarie, che più di ogni altro ha cercato e voluto con gesti concreti affermare e difendere la vocazione delle Religioni alla pace: Papa Francesco. Nell’anno trascorso ci ha lasciato infatti, almeno visibilmente, colui che con tutto sé stesso ha difeso i diritti dei poveri, la causa degli abbandonati, la vita stessa di miliardi di derelitti della Terra. Colui che ha detto in tutti i modi che le Religioni devono essere le vie della pace e dell’incontro tra i popoli. Mentre ringrazio Dio per la continuità profonda che il magistero di Leone XIV ha subito mostrato con quello di Papa Francesco, per le sue parole così chiare e nitide contro l’ingiustizia e la negazione stessa del diritto alla vita dei poveri, degli invisibili della storia, non posso non invitarvi a un ricordo affettuoso, a una memoria grata di Jorge Mario Bergoglio. Voglio ricordarlo così, questo uomo di Dio che ancora sul limitare della vita ha trovato la forza di scrivere ai vescovi americani per invitarli a contrastare con ogni mezzo e senza sconti le deportazioni di massa dei migranti previste nel programma di governo dell’amministrazione Trump. Perché, amiche e amici, è tempo di coraggio, di esposizione, non di equilibrismi o di mezze parole. Abbiamo questa responsabilità e ce la assumiamo tutta oggi, insieme. Una responsabilità verso la verità e verso il mondo a cui non possiamo e non vogliamo sfuggire. Mi accompagnano sempre, adesso più che mai, le parole del card. Giacomo Lercaro pronunciate per la Prima Giornata della pace, voluta da Paolo VI, l’1 gennaio 1968, per la richiesta di cessazione dei bombardamenti americani in Vietnam: «[…] la Chiesa non può essere neutrale, di fronte al male da qualunque parte venga: la sua via non è la neutralità, ma la profezia; cioè il parlare in nome di Dio, la parola di Dio. Pertanto, nell’umiltà più sincera, nella consapevolezza degli errori commessi nella sua politica temporale del passato, nella solidarietà più amante e più sofferta con tutte le nazioni del mondo, la Chiesa deve tuttavia portare su di esse il suo giudizio, deve – secondo le parole di Isaia riprese dall’Evangelista san Matteo (12,18) – “annunziare il giudizio alle nazioni”. […] È meglio rischiare la critica immediata di alcuni che valutano imprudente ogni atto conforme all’Evangelo, piuttosto che essere alla fine rimproverati da tutti di non aver saputo – quando c’era ancora il tempo di farlo – contribuire ad evitare le decisioni più tragiche o almeno ad illuminare le coscienze con la luce della parola di Dio».

Ho parlato nei miei interventi precedenti di questi anni dell’Alzheimer dei potenti, che dimenticano il volto e la vita dei piccoli, che non riconoscono l’altro, la sua realtà, il suo diritto a esserci. Ecco, l’Alzheimer avanza, insieme alla sclerocardia dei grandi. Noi non possiamo essere spettatori passivi di tutto questo, bensì dobbiamo provare a essere la terapia, ad agire per guarire, portando in cuore una speranza che sembra contro ogni speranza.

Ogni religione ha un’immagine per dire la propria vocazione di pace. Oggi, insieme a voi, per parte mia, voglio ancora una volta evocare e condividere la parola di Isaia: «Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte del Signore sarà eretto sulla vetta dei monti e sarà elevato al di sopra dei colli, e ad esso affluiranno tutte le genti. […] Egli sarà giudice fra le nazioni e arbitro fra molti popoli; spaccheranno le loro spade per farne aratri, e le loro lance in falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, e non impareranno più la guerra» (Is 2, 2-4).

Miei Cari.  mie Care, ricordo stamattina con voi tutti i testimoni di pace che nelle nostre confessioni religiose lavorano, nell’oscurità o in pubblico, perché venga un mondo nuovo. Ognuno di voi, ognuno di noi, ne ha qualcuno davanti: penso ai 233 sacerdoti e teologi ortodossi che hanno dichiarato la loro contrarietà alla guerra, a ogni forma di guerra; ai musulmani e agli ebrei che appena alcune settimane fa hanno manifestato insieme per la fine della guerra a Gaza e per il rilascio degli ostaggi, nel nome di Vivian Silver, e hanno detto parole chiarissime contro la follia del conflitto; penso ai testimoni di pace in Africa, in Congo, di fronte a una guerra disumana, come Padre Mbara o come il mio grande amico Padre Giovanni Piumatti; a quanti ancora operano per la pace in Sudan, nella peggiore e nella più dimenticata delle crisi internazionali; penso a figure luminose del buddhismo come Daisaku Ikeda, alla cui memoria rivolgo un pensiero affettuoso; mi riferisco insomma a quanti difendono nella loro stessa carne la speranza di un tempo nuovo di gioia e di pace per tutti i popoli.

Care Amiche, Cari Amici, oggi sappiamo che certo siamo nel mondo, ma siamo anche a Palermo. E non possiamo ignorare nel nostro incontro il contesto socio-politico della nostra Isola. Sta soffrendo. Questo è sotto gli occhi di tutti. Soffre perché la politica sembra faccia fatica a scrollarsi dalla logica del clientelismo e degli affari, degli interessi privati o di parte, ben lungi da quella del servizio. Soffre perché noi, come società civile, come Chiese e Religioni, non siamo abbastanza vivi, non reagiamo abbastanza: siamo apatici, fermi, incapaci di creare un movimento dal basso teso a cambiare le cose. Soffre perché il rifugio nelle sostanze tossiche, l’evasione nei paradisi artificiali delle nuove e vecchie droghe sembra accomunare sia i cittadini più abbienti sia quelli poveri, e soprattutto i giovani, magari disperati, in balia delle loro fragilità e paure. Privi di adulti credibili di riferimento. Soffre perché il disagio aumenta e il tessuto sociale pare sfaldarsi. Aumenta la violenza di strada, fino a questi giorni. Soffre per la crisi della sanità e la precarietà e insufficienza delle strutture ospedaliere; per il mancato diritto di tutti alla salute.

Questo vuol dire che adesso Palermo ci chiama. Palermo ci chiede, in nome della sua storia di bellezza, di grandezza, di accoglienza, di non rassegnarci ma di rendere l’esperienza religiosa delle nostre comunità un luogo di consapevolezza e di desiderio collettivo di cambiamento. Perché è la coscienza che dobbiamo risvegliare, la nostra coscienza addormentata o sepolta. Siamo apparentemente vivi, attivi sui social, pronti a reagire sulle piazze mediatiche, ma tutto è troppo istantaneo, tutto troppo emotivo, legato all’attimo. È il grande tema del nostro tempo: a una piena di emozioni corrisponde con fatica la formazione e la crescita autentica di sentimenti duraturi. Ed è solo su questa base si può costruire un impegno autentico, di lunga portata. Rendiamo le nostre comunità spazi di formazione di una coscienza diffusa della Città, delle sue necessità, delle sue chiamate. Sentiamo la responsabilità che si traduce in cura e in impegno quotidiano. Senza parole e gesti quotidiani il cambiamento vero è impossibile. Imbocchiamo insieme la strada di quella che Isacco di Ninive chiamava «un’umile speranza» e spargiamone i semi nelle nostre comunità e per le strade della nostra Città. Facciamolo insieme, come sempre, da sentinelle in attesa di un’alba che non può tardare a venire. Non stanchiamoci di pregare fiduciosi «per il nostro mondo in pericolo, perché custodisca la vita e rigetti la guerra, si prenda cura di chi soffre, dei poveri, degli indifesi, degli ammalati e degli afflitti, e protegga la nostra Casa Comune» (Francesco, Preghiera per invocare la pace, 6 ottobre 2024). Benvenute, benvenuti!