Natale del Signore 2022
Chiesa Cattedrale, Messa del giorno
Omelia di Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo
Oggi, come allora, il centro del mondo è questo fatto marginale – rispetto alla subordinazione della storia e del mondo sottoposti a Cesare Augusto (signore, kyrios, soter) –, un accadimento non degno degli onori della cronaca, conseguenza dell’intersecazione dell’indifferenza umana e del cuore emarginate dei potentati di turno: la carne infreddolita di Dio tra le braccia di Maria di Nazaret, di questa giovanissima ragazza, sposa irregolare e migrante. Non c’è spazio per Dio, tanto meno per un Dio così irrilevante.
Lei ce lo porge. Vuole che lo tocchiamo. Non è un’idea, neanche una favola. È la verità fondamentale della nostra fede che si nutre al seno del Vangelo. È il fatto serio dinnanzi al quale ci colloca la fede cristiana: l’Infinito, il Totalmente altro, l’Innominabile, il Dio di Abramo di Isacco, di Giacobbe, di Simeone, di Anna, di Maria, di Giuseppe, è tra le nostre braccia: “Il Verbo si fece carne (sarx) e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14). La Parola creatrice ha preso carne, un corpo umano, il Figlio di Dio si è fatto figlio dell’uomo, segnato dalla limitazione del tempo e dello spazio, “piegato dalla sua misericordia a prendersi cura della nostra infermità” (Efrem il Siro, Inno III del Natale), di noi sempre più soli, senza Dio, senza gli altri, sempre più antagonisti e nemici degli altri.
La Lettera agli Ebrei annuncia: “Dio, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (1,1a-2b). È lui la narrazione definitiva e compiuta del mistero dell’amore di Dio per noi uomini e donne, che tutto realizza pur di raggiungerci come suoi amati. Umiltà di Dio. Farsi terra di Dio, humus di Dio! In questo figlio, Dio si ‘in-terra’: dalla grotta di Betlemme a quella di Gerusalemme. Qui deposto sul legno della greppia, lì sul legno della croce; all’inizio avvolto in fasce, alla fine in una sindone. Presepio e croce si corrispondono come i due poli dell’unico mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio.
Il Natale non è fatto per suscitare un’emotività passeggera. Vuole suscitare la nostra passione perché rivela il carattere passionale della Natività di Gesù: Dio è amore, è accoglienza, è incontro, è abbraccio, è ricerca e dono d’amore. Dio si annienta, pur di accogliere, si abbassa pur di elevare, muore pur di dare vita.
A differenza degli uomini dotti e potenti, le creature umili, i poveri e i disprezzati lo riconoscono unico Signore (Kyrios, Soter) qui sulla terra, i pastori detestati e gli animali fetidi da essi accuditi. I primi che hanno accolto e creduto alla Parola, dopo Maria, sono i pastori con i loro greggi e armenti.
I pastori, poiché stanno a guardia del gregge e vegliano anche durante la notte, sono un’icona del credente, che vigila sempre, notte giorno in attesa della venuta del Signore. Essi si mettono in cammino, come era stato detto loro, trovano il bambino e riconoscono il Segno predetto dall’Angelo: è lui il Salvatore – è questa la professione di fede cristiana: Gesù è il Signore (cfr Rm 10,9) – che è stato partorito per loro, per la loro grande gioia (cfr Lc 2,10).
“Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini della benevolenza” (Lc 2,14). Quanta sete di “allegrezza messianica”, di gioia del tempo della salvezza hanno questi nostri travagliati tempi! “L’annunzio solenne dell’angelo ha esaltato il neonato come re messianico; il canto degli angeli lo esalta come principe di pace, salvatore, sacerdote, che concilia e unisce cielo e terra” (A. Stöger, Vangelo di Luca, I, 81). La terra è fatta per essere riflesso della gloria e della beatitudine del cielo. Pacem in terris.
I pastori si muovono per andare “a vedere questa parola che è accaduta”, che “il Signore ha notificato” (Lc 2,16) loro. E lo fanno “in fretta”, la stessa fretta che troviamo sui piedi di Maria, dopo l’annuncio dell’angelo, diretta verso i monti della Giudea incontro alla cugina Elisabetta che portava già in grembo il Precursore.
In questi pastori quali primi ascoltatori dell’annuncio, divenuti, a loro volta, annunziatori e “primi testimoni dell’essenziale” (Francesco, Lettera Apostolica Admirabile signum, 5), viene tratteggiato il volto della Chiesa. Samo noi questi pastori, la Chiesa che ha creduto alla parola dell’Evangelo. Noi che abbiamo accolto la Bella Notizia e siamo stati rigenerati dalle acque battesimali. Una Chiesa che continua a fidarsi e a credere alla Parola. L’atto della fede presuppone povertà e umiltà di spirito. Minorità, semplicità, vigilanza, attesa, rendono capaci di fiducia, in sintonia con l’annuncio del Vangelo stesso che non è mai eclatante, anzi è umanamente illogico, impotente.
Una Chiesa, dunque, umile che non confida nelle sue forze. Che non conta su potenti mezzi umani. Che non attira e non riscuote successo, audience. Una Chiesa povera, dei poveri e per i poveri, capace di una fede accolta, obbedita, praticata e annunciata. Una Chiesa che conosce solamente il potere apparso nell’umile Principe della pace preannunciato da Isaia (cfr 9,5). Una Chiesa capace di scelte coerenti, canto di lode al Dio rivelatosi nell’impotenza di Gesù, nell’irrilevanza di Betlemme e nella stoltezza del legno del Golgota.
Questo Bambino – come ha assicurato stanotte l’angelo – è il Figlio che solo Dio può darci. Non corrisponde a nessuna propaganda, criterio o pianificazione umana, neanche ai codificati criteri sacrali. Si è dinnanzi all’onnipiccolezza di Dio: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio” (1Cor 1,28-29). Il “pastore grande delle pecore” (Eb 13,20) è questo “piccolo agnello” riconosciuto da cuori e occhi esperti: i pastori emarginati e disprezzati; gli irreligiosi per antonomasia, perché illetterati e impossibilitati a frequentare la sinagoga e il tempio, assorbiti com’erano tra pascoli e ovili.
Ad essi è stato dato di entrare nell’oggi eterno di Dio. Solamente l’annuncio accolto con la fede dei cuori umili introduce nell’oggi salvifico di Dio. Non induriamo oggi il cuore, carissimi fratelli e sorelle, non andiamo alla ricerca di alienanti e fugaci emozioni religiose. Accogliamo l’oggi della salvezza di Dio per noi, per me, per voi, qui e ora, in questo giorno carico della presenza di Dio. Oggi è stato partorito per noi il Salvatore, il Messia Gesù. Ciascuno di noi si immedesimi nei pastori, ritrovi l’appartenenza alla Chiesa dei pastori, alla Chiesa che crede con il cuore, che si fida della parola di Dio.
Il Natale non ci vuole più buoni ma più credenti, obbedienti all’annunzio di questo oggi. L’obbedienza della fede. La fede dei poveri pastori nell’umile Bimbo che nasce nella precarietà e nella marginalità rispetto all’Impero romano e al culto di Gerusalemme. È lui il Re Messia, il Salvatore. È lui il tempio dove ormai Dio stesso incontra gli uomini come figli amati, amanti e liturghi del Padre celeste. Chi nasce oggi è Dio stesso: a Natale noi cristiani crediamo che nasce il Figlio di Dio. Questo piccolo cucciolo d’uomo è Dio: “il più piccolo tra voi, questi è il più grande” (Lc 9,48). Se accogliamo l’annuncio della nascita di Gesù, accogliamo Dio nella nostra vita, così da essere ora e sempre ospitati da lui e in lui. In una preghiera, don Primo Mazzolari così effondeva il suo cuore: “Alla notte manca la luce: /nel mio male manchi tu, Signore. /Sono vuoto. /Tutto fuori, /ma se tu entri, io ritorno. /E così finisce l’angoscia del non essere, /sofferto da chi non può fare senza di te” (Preghiere, La Locusta, Vicenza 1978, 19)
Questi pastori sopraggiunti a contemplare il segno indicato dall’angelo sono anche l’emblema della Chiesa missionaria, audace e gioiosa nell’evangelizzare. Ora, in questo nostro tempo. Chi ha ascoltato, visto e creduto, diventa a sua volta angelo annunciatore, missionario. Artigiano del cantiere del Vangelo che lievita di futuro il mondo.
Come Maria conserviamo la Parola nel cuore – perché sia alimentato come cuore che ama Dio e gli uomini da lui adorati nella fedeltà e costanza –, e facciamola arrivare ai fratelli con le labbra e, soprattutto, con la vita. Il Natale ci porti in dono “piedi di messaggero che annuncia la pace, di messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio»” (Is 52,7). Come ha ricordato Papa Francesco durante l’Udienza alla Curia Romana in occasione degli auguri natalizi, “Mentre soffriamo per l’imperversare di guerre e violenze, possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo alla pace cercando di estirpare dal nostro cuore ogni radice di odio e risentimento nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vivono accanto a noi” (Bisognosi di conversione, in L’Osservatore Romano, 22 dicembre 2022, 3).
Felice Natale del Signore nostro Gesù Cristo a voi tutti, a tutte le vostre famiglie e comunità di provenienza. Auguri vivissimi.