Quattro alunni del Seminario Arcivescovile di Palermo sono stati ordinati Diaconi per l’imposizione delle mani e la preghiera di Ordinazione dell’Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice sabato 19 ottobre 2024 nella Cattedrale di Palermo. I nuovi Diaconi sono Francesco Causa della Parrocchia S. Gregorio Magno (Palermo), Salvatore Pio Greco della Parrocchia S. Atanasio di Ficarazzi, Giuseppe Giovanni Randazzo della parrocchia SS Annunziata di Caccamo e Giovanni Russo della Parrocchia Maria SS della Lettera (Palermo).
Omelia Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice
- L’Evangelista Giovanni rimarca un termine per introdurre il gesto sconvolgente di Gesù: “sapendo”. Eidós, sapendo: la consapevolezza e la libertà, come anche la coscienza di fede di Gesù, cioè, il suo sapere che è giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre – “prima della festa della sua Pasqua”, del ‘passaggio’ definitivo di Dio nella passione di Gesù – lo porta a una decisione: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”.
Avendo amato, egli ama ancora. Avendo amato prima i suoi discepoli, egli, anche in questo frangente in cui si palesano il tradimento, il rinnegamento, l’incomprensione e l’abbandono dei discepoli – “quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo” –, decide di amare ancora.
Avendo amato prima, durante il suo ministero pubblico, ora che si prospetta la fine della sua vita terrena, egli decide di amare ancora. Con la perseveranza nell’amare Gesù tende il filo rosso della sua vita, dà una continuità e dunque un senso alla sua esistenza, ponendola tutta sotto il segno dell’amore.
Avendo amato, amò fino alla fine, o meglio, fino a un compimento, a un télos, a un senso, a una pienezza. L’espressione fino alla fine, eis télos, può avere un significato sia temporale, “sino alla fine della vita”, sia qualitativo, “sino al massimo”, “sino all’estremo”. E qui le due accezioni arricchiscono il messaggio che ci arriva dal testo evangelico: Gesù amò a tal punto i suoi discepoli – li arriva a chiamare suoi “amici” (cfr Gv 15,14-15) – da donare la sua vita per loro. La lavanda dei piedi altro non è che il segno profetico, un “oracolo in azione” che prefigura il dono totale di Gesù per i suoi che si realizzerà nell’elevazione sulla croce. Più che una fine dunque, quel télos è un compimento che rimanda all’ultima parola di Gesù sulla croce: “È compiuto” (tetélestai: Gv 19,30).
Ecco la perseveranza veramente vitale: continuare ad amare, a cercare di amare. Lì dove il mondo vede la suprema sconfitta, l’evangelista vede il compimento dell’opera per la quale Gesù era venuto nel mondo.
Oggi voi, carissimi Francesco, Giovanni, Giuseppe, Salvatore, cominciate a stendere il filo rosso della matassa della vostra vita dietro al Signore Gesù, diacono fino in fondo, fino al compimento, diacono per sempre. La diaconia urge l’amare come ama Gesù. Gesù vuole i suoi destinatari dell’amore del Padre. Li vuole portare con sé nella casa del Padre, non vi vuole ritornare da solo.
Diaconia dice amicizia degli uomini e delle donne che incontrerete. Così come sono. Come fa Filippo con il funzionario di Candace: si accosta al suo carro per fare strada con lui, sul carro, condividendo l’unica ricchezza che ha, la gioia della comprensione delle Scritture.
Oggi carissimi Francesco, Salvatore, Giuseppe, Giovanni, agganciandovi a Colui che si china sui piedi dei suoi discepoli ponete anche voi il punto fermo da cui partire per dare una continuità alla vostra esistenza ministeriale – dunque un senso ultimo e definitivo – ponendola tutta sotto il segno dell’amore, “di un amore più grande” (Gv 15,13), che ama fino al compimento! Con la lavanda dei piedi Gesù vi propone un progetto di utopia all’interno della comunità dei discepoli: è possibile amare. L’amore può capovolgere ruoli e posizioni sociali e sacrali consolidate. Gesù ama sino al massimo, fino a dare la vita, ecco perché vuole lasciare il testamento dell’amore: “come ho fatto io fate anche voi” e compie il servizio di norma riservato agli schiavi e alle donne. La competizione, i primati, la ricerca di potere non si addicono ai discepoli e alle discepole, tanto meno ai ministri ordinati.
Vorrei concludere con l’immagine che il 16 ottobre scorso ci ha donato Papa Francesco nella prolusione del nuovo Anno Accademico della nostra Facoltà Teologica: come quelle di Gesù, abbiate “mani che narrano l’abbraccio di Dio, mani che offrono tenerezza – non dimenticare questa parola, tenerezza, che è lo stile di Dio –, mani che rialzano chi è caduto e orientano alla speranza. E non dimentichiamo che soltanto una volta è lecito guardare una persona dall’alto in basso: soltanto per aiutarla a sollevarsi”.
Arricchite la nostra Chiesa della vostra diaconia, attingendo all’uomo nascosto nel cuore (1Pt 3,4), al Cristo, Povero e Crocifisso, il Veniente, che vuole continuare a raggiungere gli uomini e le donne delle nostre comunità e delle nostre città perché conoscano l’abbraccio trasfigurante di Dio.