Quando il Vangelo è la strada: gli appunti di viaggio dell’Arcivescovo

Brancaccio, Danisinni, Ballarò e l’Albergheria; e poi i quartieri CEP e ZEN, le tante periferie esistenziali e un libro perennemente “opera aperta” per continuare a camminare e incontrare. Le prospettive per una "città degli uomini in cui Cristo ha il volto dei più piccoli, dei più fragili, di chi non ha voce"

L’occasione è quella tipica del “punto della strada”, una sosta per tirare le somme del cammino e per progettare nuovi itinerari di incontro e di conoscenza. Alla Libreria Paoline, a pochi passi dall’Episcopio, l’Arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice traccia un primo bilancio del cammino che lo ha portato a vivere (“non a visitare”) alcune delle periferie di Palermo attraverso il canovaccio rappresentato da “Il Vangelo e la strada”, libro scritto con la sociologa Anna Staropoli e il teologo Vito Impellizzeri, un libro ancora aperto “perché la dimensione dell’incontro ci restituisce costantemente l’annuncio del Vangelo, la buona notizia da condividere con tutti coloro che si incontrano, coloro che spesso non hanno voce ma che chiedono di essere ascoltati”.

“Quella congiunzione presente nel titolo del libro possiamo e dobbiamo trasformarla in un verbo, perché il Vangelo è la strada – dice l’Arcivescovo conversando con Luigi Perollo, Direttore dell’ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali – e la strada restituisce i corpi, i vissuti, i volti; Cristo è venuto perché ogni volto porta l’immagine di Dio, porta l’identità di figlio. In fondo l’annunzio cristiano è l’annuncio di una pienezza di vita e di libertà, ecco perché Gesù è definito “la Via” ed è per questo che si è messo sulla via degli uomini volendo incontrare i volti di coloro che, essendo sfigurati non restituiscono immediatamente l’immagine di Dio; non per nulla Gesù si è rivisto nell’immagine del servo sfigurato che prende le sofferenze di tutti, ha preferito l’immagine di Isaia per compiere la sua missione. Non dobbiamo dimenticarci (ogni tanto ce ne dimentichiamo) che Cristo significa Messia, il Messia che prende sulle proprie spalle le sofferenze degli uomini. Ecco perché abbiamo pensato che fosse necessario restituire il Vangelo alla strada e la strada al Vangelo. Quella vissuto fino a questo momento è un’esperienza meravigliosa, d’altra parte penso che questo sia anche il compito di un Vescovo, che è l’araldo del Vangelo”.

“Durante il cammino a piedi nelle periferie di Palermo ho sperimentato la sofferenza che si concentra nella città degli uomini che vive in uno spazio e in un tempo; dentro questa città degli uomini si rivela quella che è anche, con un’immagine che prendo in prestito da San Paolo, il travaglio della storia: la città degli uomini è fatta dagli uomini e gli uomini non sempre stanno nella città nel segno della città dell’uomo ma nel segno, invece, di un potere che impone ad altri un peso, che sfigura il volto dell’uomo: questo non dobbiamo dimenticarlo, altrimenti rischiamo di assumere atteggiamenti paternalistici. Se nei quartieri in cui ho camminato c’è gente che vive in pochi metri quadrati, se c’è chi non ha il lavoro ed è costretto ad asservirsi a chi ha tutto l’interesse per far sfigurare le istituzioni e per creare dipendenza, è chiaro che tutto questo porta la cifra di una città umana che non sta crescendo nella giustizia, nella solidarietà, nella destinazione dei beni a tutti. Ecco perché quando arriva il Vangelo, arriva una bella notizia che riguarda tutto l’uomo, che gli annunzia che lui è figlio di Dio; ma il figlio di Dio è colui che ha un corpo, che ha bisogno di relazioni, è colui che ha bisogno di vivere in una città che sia inclusiva, capace di dare a tutti ciò che è necessario per una vita dignitosa. Ecco cosa mi porto dentro: la visita nelle case, la mancanza di lavoro, spesso la mancanza di dignità dei più piccoli e delle donne, mi porto anche il grido, direi l’imprecazione, degli uomini e delle donne che, senza che nessuno si scandalizzi, può diventare anche imprecazione nei confronti di Dio; mi porto anche la mancanza di bellezza delle nostre strade, la mancanza di servizi essenziali, di luoghi di incontro, la dispersione scolastica, l’assenza di attività culturali, mi porto anche l’esperienza di famiglie che permettono che i propri bambini possano spacciare droga”.

“Sono consapevole che il Vescovo non è colui che vuole guadagnare spazi nella città ma, semmai, è colui che può contribuire a dare voce a tutti, a coloro che sono l’asse della storia, cioè i più fragili, i più poveri, i più piccoli, coloro che spesso dimentichiamo perché invece guardiamo la storia a partire dal potere. Finché non accoglieremo una nuova visione della storia (sto parlando della visione di Gesù Cristo, Messia di tutti ma soprattutto Messia dei poveri, dei piccoli, dei semplici), il Vescovo non potrà far altro che dare voce ai più fragili perché non può che essere un araldo del Vangelo che non è un insieme di dottrine ma che è questa bella notizia, che Dio ama gli uomini e che vuole uomini liberi, che pensa alla casa comune che è la Terra, il mondo, come un giardino con al centro l’albero della vita. Bisogna dare voce a chi tutto questo non lo vive, non lo vede, non lo sperimenta”.

“Chi andrà a servire la città non potrà non immaginarsi come un servitore, a maggior ragione di una città che ha visto alcuni dei servitori delle istituzioni (magistrati, preti, giornalisti, operatori delle forze dell’ordine, esponenti della politica e dell’amministrazione pubblica) dare la vita mentre erano impegnati a servire questa città per riscattarla dal male. Quando ho incontrato i candidati a sindaco (lo scorso 27 maggio all’Istituto Don Bosco Ranchibile, ndr) ho voluto all’ultimo ribadire questo concetto: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, il Beato Pino Puglisi, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Piersanti Mattarella chiedono a noi di essere loro soci e di fare una memoria autentica di chi ha amato questa città fino a offrire la propria vita.