Sono 17 i Catecumeni che durante la solenne Veglia Pasquale hanno ricevuto i Sacramenti dell’Iniziazione Cristiana a conclusione del cammino offerto dal Servizio Diocesano per il Catecumenato: Luana, Carlo, Aurora, Clementina, Hasna, Marco, Theivendran, Jessica, Victoria, Maris Otekpen, Tracy, Hope, Ivana, Happy Gospel, Emanuele, Teresa, Samuel.
«I nostri catecumeni – afferma don Daniele Comito, del Servizio Diocesano per il Catecumenato – ci ricordano che Dio continua a chiamare donne e uomini per una vita nuova, permeata dalla Grazia e terreno fertile perché in questo nostro tempo, difficile ma promettente, il Regno di Dio cresca e si edifichi. Come Comunità diocesana siamo grati al Signore per il dono di queste sorelle e fratelli che renderanno più bella la nostra Chiesa, desiderosa, ieri come oggi, di spandere il buon profumo di Cristo».
Veglia pasquale nella Notte Santa
30 marzo 2024
Omelia Arcivescovo di Palermo
Mons. Corrado Lorefice
Carissime, Carissimi,
l’evangelista Marco ci pone dinnanzi al duello sempre in atto tra morte e vita, tra disperazione e speranza, tra abisso di tenebra e abisso di luce. Ma anche di fronte ad un ossimoro, ad una contraddizione in termini, e anche di fatto: quella delle donne che vanno ad ungere un morto, sovrastato da un masso tombale, al levare del sole, avendo il cuore immerso nel buio più tetro.
Gesù è morto appeso sulla croce. Ne sono convintissime. La loro scelta di andare ad ungere il corpo di «Gesù Nazareno, il crocifisso» (Mc 16,6), già posto nel sepolcro, ne è la conferma. Era veramente morto. Mentre osservavano da lontano, avevano sentito il rimbombo del rantolo finale, del «grande grido (fonèn megálen)» (Mc 15,37) che aveva preceduto l’ultimo respiro di Gesù. Non rimaneva che fare l’unica cosa umanamente sensata per la loro cultura religiosa: attendere la fine del sabato e andare a compare l’occorrente per ungere un morto.
I loro occhi erano prostrati dalla pesantezza del cuore e dal crepuscolo che le lambiva. Eppure osano ancora alzare lo sguardo, spinte da un sobbalzo interiore, a motivo di un fatto imprevisto: «Osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande» (Mc 16,4). Sono spinte ad entrare. Chi le ha spinte? L’impeto dello sconforto e della disperazione o l’audacia dell’amore di chi ha vissuto consapevolmente dietro a Gesù, nutrito dalle sue parole accolte e praticate: «Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre»? (Mc 3,35). Di tutti coloro che servivano e seguivano Gesù quando era in Galilea, erano rimaste solo loro.
Entrano nel sepolcro e constatano l’assenza di Gesù nella tomba, confermata dal giovane seduto vestito di bianco che le attende, latore di un messaggio celeste che rende ragione della luce del sole ormai sorto in quel primo giorno della settimana: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui» (Mc 16,6). Il sepolcro è vuoto. Gesù non è prigioniero della morte. Non è l’ennesimo estinto della storia. Si è avverata la Parola: «Perché non abbandonerai l’anima mia negli inferi, né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione» (At 2,27).
L’appuntamento che devono recapitare ai discepoli e a Pietro da parte del giovane biancovestito, memoria di quanto Gesù stesso aveva detto loro, è la conferma dell’alba della potenza e della forza della risurrezione di Cristo: «Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto» (Mc 16,7). Ma anche la conferma del perché la terra non è stata capace di ingoiare Gesù. La Galilea delle genti, la regione della contaminazione culturale, religiosa e morale, è il punto di partenza di quell’amore più grande, dell’amore di Dio che lo ha animato sempre, che lo ha sorretto in ogni sua azione, che lo ha portato ad annunziare e rendere presente il Regno di Dio in ogni cuore, in ogni vita proprio a partire da quella periferia geografica ed esistenziale, come Maria di Magdala, Pietro, i discepoli, Levi, l’Emorroissa e tanti altri che erano prigionieri del male che avevano sperimentato. La resurrezione è la deflagrazione dell’amore di Dio sul suo Figlio e su di noi amati da Dio Padre nell’Amato che si è umiliato «facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,8-11).
Cari catecumeni, stanotte voi siete annunzio e testimonianza della resurrezione di Gesù. Se chiedete il battesimo, se desiderate essere immersi nelle acque della rigenerazione pasquale, se volete celebrare con noi la Pasqua di Gesù Cristo così da «camminare in una vita nuova» (Rm 6,4), è la riprova che “Gesù Nazareno, il Crocifisso” è veramente risorto e continua a dare appuntamento agli uomini e alle donne di questo tempo. Ma anche che ci sono discepoli e discepole – la Chiesa, la sua fraternità – che onorano con gioia l’appuntamento del Risorto, ammaestrai dal suo Evangelo e compresi dei suoi sentimenti. Staffette della corsa del Vangelo.
Entriamo nel mistero che stiamo celebrando, facciamo nostri i sentimenti del Crocifisso risorto, i suoi atteggiamenti, come ci invita a fare l’apostolo Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù» (Fil 2,5). Noi già battezzati, discepoli del Signore, stanotte, insieme a voi, facciamo memoria della Pasqua del Signore certi che «questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo, […] e li consacra all’amore del Padre». Fiduciosi che «il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace».
Stanotte il Cristo risorto ci consacra e riconsacra all’amore del Padre. Faccio mie le parole di Giovanni xxiii: «Surrexit Christus, spes nostra! Non est in alio aliquo salus, Cristo, nostra speranza, è risorto; in nessun altro c’è salvezza (cfr. Act. 4,12). Siamo con Gesù risorto; rimaniamo con lui. Da questa certezza saldissima, che si irradia dal mistero della Risurrezione, scaturiscono indicazioni di grande incoraggiamento. […] Surrexit Christus, alleluia! Il saluto dice radioso programma: non morte, ma vita; non divisioni, ma pace; non egoismi, ma carità; non menzogna, ma verità; non quel che deprime, ma il trionfo della luce, della purezza, del mutuo rispetto. E poiché ciò costituisce la salvezza, il servizio, l’onore del cristiano, questa sia la vostra testimonianza, ora e sempre, diletti figli» (Messaggio Urbi et Orbi, Pasqua 1963).
Attraversiamo il buio del presente e non lasciamoci contaminare dal male. Lui ci precede anche in questa notte, e ci consente di sprigionare energie di risurrezione e di riscatto dentro la Casa comune e le città in cui viviamo sempre più sopraffatte da paure e da macigni di morte. L’amore e la mitezza sono l’antidoto agli stili e alle parole violente della mentalità dominante, alle guerre sempre più irrazionali come quelle che si stanno consumando in questi giorni, all’inequità prodotta da menti sempre più avide asservite all’idolo del profitto e che induce interi popoli a migrare pur di tentare di sopravvivere, alle barriere mentali che preparano lager e scavano fosse comuni nei deserti africani, nelle frontiere europee e nel Mediterraneo. «Non abbiate paura» è la parola che dobbiamo risentire perché è ormai deflagrata l’energia della risurrezione di Cristo. «La nostra vita non finisce davanti alla pietra di un sepolcro, la nostra vita va oltre con la speranza in Cristo che è risorto proprio da quel sepolcro» (Francesco, Discorso Udienza Generale, 1 aprile 2015).
Per questo vorrei concludere con una stupenda poesia di P. Davide Maria Montagna «Questa non è notte, se donne in segreto preparano aromi, se le piante mettono gemme di luce. Questa non è notte, se sale la luna al colmo, se mondato è il cuore. Questa non è notte, se profuma l’azzurro appena percosso dal vento di primavera, se desti vegliano i sensi, come uccelli non appisolati sul ramo. Questa non è notte, se gonfia è la terra di luce sepolta, in attesa dell’alba, se, chino, l’orecchio ode un rotolio profondo di pietre smosse. Questa non è notte, se rosseggia in letizia la sacra brace crepitante, se, nel buio ardente, partorisce il silenzio i freschi vagiti dell’alleluia questa non è notte» (Dalla Raccolta Stupore).