“L’ospite porta Dio tra di noi. Teologia mediterranea dell’accoglienza”

Le riflessioni e le sollecitazioni nel libro di Mons. Corrado Lorefice e Don Vito Impellizzeri (Ed. Il Pozzo di Giacobbe, marzo 2021)

«Il dialogo come ermeneutica teologica presuppone e comporta l’ascolto consapevole. Ciò significa anche ascoltare la storia e il vissuto dei popoli che si affacciano sullo spazio mediterraneo per poterne decifrare le vicende che collegano il passato all’oggi e per poterne cogliere le ferite insieme con le potenzialità. Si tratta in particolare di cogliere il modo in cui le comunità cristiane e singole esistenze profetiche hanno saputo – anche recentemente – incarnare la fede cristiana in contesti talora di conflitto, di minoranza e di convivenza plurale con altre tradizioni religiose. (…) La teologia dopo Veritatis Gaudium è una teologia in rete e, nel contesto del Mediterraneo, in solidarietà con tutti i “naufraghi” della storia».  (dalla Relazione di Papa Francesco a Napoli, 21 giugno 2019)

Questo libro, che affonda le sue radici nella storia contemporanea che ogni uomo osserva e vive, è un contributo a una riflessione attenta sui diversi temi delle migrazioni e dell’accoglienza. L’Arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice – che ne è autore insieme a don Vito Impellizzeri, Direttore dell’Istituto di Scienze Religiose della Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista” – in occasione dell’ultima celebrazione della Giornata mondiale del Migrante, ha usato parole nette: «Nei forestieri c’è la persona di Gesù e i cristiani non sono coloro che con le labbra professano la dottrina della religione o perché con i gesti fanno atti di culto, ma chi lo riconosce nei poveri, nei migranti e nei rifugiati. La Chiesa ha coscienza come mettere in pratica il Vangelo e i cristiani non debbono chiedere la carta di identità a nessuno perché l’altro è sacramento di Gesù che noi accogliamo, soprattutto se è segnato da una sofferenza, da una povertà da un bisogno di libertà e pienezza di vita e riconoscimento di persona umana cristiana i cristiani devono essere li e avere gli stessi sentimenti di Gesù (…) Samo palermitani, filippini, ghanesi, provenienti da diverse culture e lingue che si riconoscono nell’unica cifra della pace, del bene e della giustizia. Se i cristiani dimenticano questo vuol dire che non siamo più cristiani, anche se c’è qualcuno ci sta facendo quasi il lavaggio del cervello dicendo che prima vengono gli italiani, ma questo non ha niente a che fare con il Vangelo e la Fede cristiana perché il cristiano è colui che ha gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Oggi abbiamo bisogno di concordia, carità, comunione, sentimenti di amore, compassione, gioia, unanimità, oggi purtroppo siamo bombardati da parole dure come esclusione, tensione paura. I cristiani debbono essere segno di speranza».