La strage di via D’Amelio, “un martirio che non ha ancora ricevuto la verità”

L’Omelia dell’Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice nel XXXII anniversario della strage. La celebrazione Eucaristica presso la Caserma della Polizia di Stato "Pietro Lungaro". Il ricordo delle parole di Paolo Borselino su Giovanni Falcone

32° Anniversario della strage di via d’Amelio

19 luglio 2024

Omelia Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice

È provvidenziale questa pagina della Bibbia, del Libro per eccellenza, tratta dal profeta Isaia (38,1–6.21–22.7–80). Proprio oggi, trentaduesimo anniversario della strage di via D’Amelio, costata la vita a Paolo Borsellino e agli agenti Emanuela Loi, Eddie Cosina, Agostino Catalano, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli, martiri per la giustizia, martiri «per amore», direbbe lo stesso Giudice Borsellino, come ebbe a dire allora, in quel 20 giugno 1992, commemorando l’amico e collega Giovanni Falcone: «Perché – si domandava Paolo – non è fuggito; perché ha accettato questa tremenda situazione; perché non si è turbato; perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? PER AMORE».

Quanti re avevano fatto il male agli occhi di Dio. Corrotti. Idolatri. Inebriati di potere. Malvagi. Ezechia, Re di Giuda (715-686 a.C.), aveva appena vent’anni, quando «si ammalò mortalmente». Ma egli, invece, aveva fatto ciò che è giusto agli occhi del Signore e non aveva mai cessato di seguirlo con una vita retta e indefettibile, «con fedeltà e con cuore integro». Aveva amato Dio con tutto il cuore e amava il popolo come amava Dio, con tutte le sue forze giovanili. E il Signore fu con lui (cfr 2Re 16,20; 18,1-8; 20,21), il Dio di Davide suo padre udì la sua preghiera e gli promise: «Ho visto le tue lacrime; ecco, io aggiungerò ai tuoi giorni quindici anni. Libererò te e questa città dalla mano del re d’Assiria; proteggerò questa città». Quindici  anni in più di regno, sicurezza per lui e per la città. Con la consegna del segno dell’orologio a sole che simboleggia l’allontanarsi dalla morte e il prolungarsi della luce della vita: «E il sole retrocesse di dieci gradi sulla scala che aveva disceso».

Il sole deve retrocedere anche oggi. Chiediamo questo segno al Signore. Insieme, oggi. Deve, non può non prolungarsi, la luce della verità e dunque della vita. Per noi, per questa città che ha visto scorrere il sangue di questi martiri. Il loro sangue ancora grida. Per questo la nostra terra non può essere ancora liberata dalla “perversa piovra”. Il loro martirio non ha ancora ricevuto verità. Siamo noi che lo dobbiamo riscattare. Lo vediamo ancora all’opera il grande male, continua con i suoi tentacoli. Il 22 luglio 1992 il  Vicepresidente del CSM, Prof. Giovanni Galloni, ebbe a dire: «La mafia non è una delle tante forme di criminalità organizzata nate e sviluppatesi nella civiltà industriale e nell’eccesso di consumismo di livello europeo ed extraeuropeo; essa, anche quando si è evoluta e imbarbarita nel passaggio dal tessuto agrario a quello edilizio, degli appalti e della droga, all’espansione dei racket, conserva sempre nella organizzazione delle cosche e dalle famiglie ed anche nei suoi collegamenti diffusi sull’intero territorio nazionale e a livello internazionale, il carattere storico originario consistente nella forza del potere. La mafia è essenzialmente potere, un potere che ha come unico fine l’accrescimento del potere e come regola il rapporto di forza e l’obbedienza assoluta sanzionata dalla forza, una regola che si esprime in violenza sia nei rapporti interni sia verso chi crea ostacoli all’esterno, ma che sa garantire neutralità o anche appoggio o protezione a chi non ostacola o anche indirettamente favorisce la crescita del potere». Se vogliamo contribuire realmente, concretamente, a una Palermo, a una Sicilia, a una nazione riscattata dalla mafia, urge un reale impegno civile ma, soprattutto, la dedizione dello Stato, in tutte le sue variegate Istituzioni, di individuare le precise responsabilità, i depistamenti e le collusioni che ancora pesano su questa strage.

‘Fare verità’ significa anche scelta degli uomini della Stato e delle Istituzioni a deporre lo scettro del potere. Perché il potere seduce, logora. L’Amore corrobora e libera. Il potere – di qualsiasi colore politico di ieri e di oggi –  pur di sopravvivere copre, ammicca. Semina disperazione e morte.

Siamo tutti coinvolti da questa pagina biblica. Si ama con i fatti: «Libererò te e questa città dalla mano dell’oppressore; proteggerò questa città». Dobbiamo tutti emanciparci dalla schiavitù della ricerca di potere. Per il potere si asserve anche la legge, ci ricorda Gesù. Egli ci indica, che l’unica forza per combattere ogni forma di mafia, e dunque ogni forma di ricerca di potere, è l’amore, un cuore capace di compassione: «Se aveste compreso che cosa significhi: “Misericordia io voglio e non sacrifici”, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato» (Mt 12,8). L’amore dei martiri che oggi vogliamo commemorare in spirito e verità! Solo in spirito e verità!

Siamo qui oggi per scegliere l’impegno a costruire una città sempre più conformata al rispetto degli altri e delle regole della convivenza sociale, una città della solidarietà e della pace, una città generativa e accogliente, pronta a proporre un futuro di vita e di speranza alle nuove generazioni. E in particolare ai figli, e ai figli dei figli, dei martiri della giustizia.

 

(photo Tony Gentile / Sintesi)