Commemorazione dei fedeli defunti, Cimitero S. Maria dei Rotoli, 2 novembre 2021, Omelia
Qui sopra, sul Monte Pellegrino, S. Rosalia, durante la peste del 1624, si fece incontro ad un povero giovane “saponaro” disperato, Vincenzo Bonelli, indicando il luogo della sua sepoltura.
In questo giorno, dedicato alla commemorazione dei fedeli defunti, proprio qui ai Rotoli, ai piedi di Monte Pellegrino, dove centinaia di nostri cari defunti da lungo tempo non trovano neanche una degna sepoltura a causa dell’incuria umana e dell’ignominia di chi vuole lucrare anche nel momento più decisivo e dirompente del mistero della vita che è la morte, si leva anzitutto un appello a renderci conto di quanto sia importante il corpo nella nostra esistenza.
Il corpo vivente, dal quale spesso siamo staccati, distanti. Abbiamo un corpo ma non sappiamo ascoltarlo, non sappiamo abitarlo. Eppure, nel corpo c’è una sapienza antica che la nostra fretta ha disperso e che la pandemia ci ha rimesso davanti. Come se ci avesse detto di tornare ai corpi, di ascoltare il nostro respiro, di proferire parole che trovino eco nelle profondità delle nostre viscere umane, di riconoscere i corpi, dei fratelli delle sorelle. Di non profanati, di non eliminarli. Come se volesse ricordarci che l’amore stesso di Dio narrato dai Vangeli è un fatto viscerale; che amare per Gesù significa vibrare nelle viscere, e se non le ascoltiamo siamo destinati a perdere il cuore della nostra umanità e quindi del nostro futuro. Lo abbiamo sentito nella pagina evangelica sul giudizio finale: «Venite benedetti del Padre mio, perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,34-37). Custodire i corpi. In vita e in morte. Sì, nel messaggio di Rosalia a noi Palermitani, anche il corpo in morte. S. Rosalia ha voluto che il suo corpo fosse recuperato, fosse presente in mezzo a noi e giustamente onorato. Ed è una cosa che ci tocca particolarmente oggi, mentre commemoriamo i nostri fratelli defunti e ci stringiamo ancora ai loro corpi in questo luogo di sepoltura.
Venendo qui stamattina, ci rendiamo conto come l’amore, il bene, l’affetto, non sia senza il corpo e come la cura del corpo morto dell’altro sia il fondamento stesso del nostro stare assieme. Siamo diventati umani quando, migliaia di anni fa, abbiamo cominciato ad onorare e a venerare il corpo senza vita, il corpo nella sua debolezza, nella sua assenza di relazione e dunque nella sua indigenza più grande. Siamo diventati umani quando abbiamo imparato a curare il corpo facendoci carico di ogni sofferenza e precarietà, di ogni povertà radicale e accarezzando e piangendo i nostri morti.
In questi mesi e anche ora, in tutto il mondo, tanti, tutti stiamo vivendo la tragedia di una morte solitaria, di una distanza terribile dal corpo caro che muore, e qui, a Palermo, addirittura anche il dramma di una mancata e degna sepoltura di tanti nostri cari concittadini defunti, nostri parenti e amici.
Non possiamo stare zitti. Questo è inumano. È impensabile che in una città possa accadere che i corpi siano violati, in vita e in morte. Ogni disprezzo dei corpi destruttura, abbrutisce e lacera la città umana. Nessuno può violentare i corpi, nessuno li può sfruttare per brama o per fini di lucro, a maggior ragione in un cimitero, luogo sacro per eccellenza, di memoria, di riposo e di attesa di vita eterna, di desiderio di comunione e di pace senza fine.
Prendersi cura dei corpi, custodirli, è compito primario di quanti sono preposti a servire la convivenza umana e a far crescere il bene comune nella città. I cimiteri sono città-giardino, accanto o dentro le nostre città, che con solerzia ed arte ci sono stati consegnati dai nostri avi per sostenere la speranza del ‘giardino’ e della vita eterna, della comunione senza fine nella città celeste, in attesa dei cieli nuovi e della terra nuova. Nella lettera ai Romani S. Paolo ricorda che «la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8,19-23).
Dobbiamo curare i nostri cimiteri che custodiscono i corpi dei nostri cari in attesa di questa redenzione, di vita e di pienezza di libertà. Li dobbiamo rendere accoglienti, fruibili, capienti. Nessuna trascuratezza, nessuna devastazione, nessun affare illegale, nessun interesse losco o criminale, deve profanare questi luoghi sacri e le coscienze di quanti hanno diritto a onorare i corpi dei propri defunti. Palermo ha bisogno di nuovi spazi cimiteriali dove si possano inumare o cremare i nostri defunti, per custodirli dignitosamente, visitarli, commemorarli. Mai più bare ammassate. È inconcepibile e soprattutto inspiegabile che l’impianto crematorio si guasti senza poterlo più riattivare.
Preghiamo perché si ponga fine a questo orrore che proprio qui ai Rotoli grida al cospetto di Dio e degli uomini; perché impariamo il rispetto della vita e della morte, la cura dei viventi e dei defunti. Perché siamo ‘umani’, fatti e impastati di humus, frutti e insieme custodi della Terra e dei nostri fratelli. Rimaniamo umani. Facciamo riposare degnamente e in pace i nostri defunti in attesa della resurrezione. In attesa di poterci riabbracciare nella vita eterna.