Il Signore accoglie il sorriso di Nino Barraco, “sognatore per vocazione”, voce libera a servizio della Chiesa. L’auspicio formulato due mesi fa: “Che la Chiesa di Palermo stia bene”

Giornalista, scrittore e poeta, aveva 92 anni. Ha vissuto e raccontato la Chiesa “nella realtà e nella storia”, l'Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice: "Sua l’audacia e la libertà di denuncia critica e di testimonianza profetica"

Un giornalista che “sognava per vocazione”. Nino Barraco è morto a Palermo all’età di 92 anni. Le radici di Lercara, gli studi dai Salesiani, la laurea in Giurisprudenza con il massimo dei voti e la lode, con la tesi sul “Rapporto tra il mondo giuridico e il mondo morale nel messaggio cristiano”. Giornalista dal 1953, un cammino professionale durato quasi settant’anni. Padre di quattro figli. Le esequie sono state celebrate nella chiesa di Regina Pacis, il rito è stato presieduto dall’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice.

Omelia di S.E. l’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice

Nella vita degli uomini e delle donne di ogni tempo ci sono dei parametri di riferimento chiari sui quali fondare la grandezza di una persona. Secondo i testi biblici appena proclamati, il criterio ultimo della grandezza, il senso decisivo della vita, è l’adesione alla volontà di Dio, al Dio che proferisce la sua parola, che ha per il suo popolo una “parola vicina”.  Anzi che si fa Parola incarnata. Il Logos che si fa carne, nella pienezza dei tempi. Parola che dice compimento. Pienezza. Futuro. «Sono venuto a dare pieno compimento» (Mt 5,17).

Compimento. Pienezza. Futuro. Termini costantemente declinati dalle labbra del cuore e dalla penna di Nino Barraco. Stava dentro la storia, mai attardandosi su sé stesso, scrutando le parole umane, i segni impressi negli eventi, come sentinella di un futuro di pienezza, del compimento salvifico di ogni frammento dell’intera vicenda umana nella casa comune che è la Terra, del suo travaglio, delle sue macerie, di suoi lutti e dei suoi drammi. Della sua attesa.

Una trasfigurazione della storia umana che occorreva accompagnare, quasi forzare: «Non possiamo ritrovarci come osservatori e basta. Abbiamo la responsabilità del futuro. Assieme agli altri. Anche a noi si chiede di costruire il domani dell’uomo. Al di là dei sistemi, dei gruppi che si contendono il mondo, è l’uomo, infatti, la terza strada del futuro» (Lettera: Giornalisti o profeti?, in Il Bollettino Salesiano 110 [1986] 3, 8). Un vero amico di Dio, un ricercatore imperterrito della volontà di Dio, non può non essere un amico dell’uomo.

«Manda sulla terra il suo messaggio: la sua parola corre veloce» (Sal 147). Nella sua professione Nino con il suo rigore professionale e con la sua lucidità mentale, sostenuto da una grande energia spirituale, ha saputo misurarsi «con uno sforzo di lettura e perciò di comunicazione, di annuncio della storia di ogni giorno, in chiave di rigorosa capacità intellettuale e di aderenza ai problemi dell’uomo» (Lettera: Giornalisti o profeti?, in Il Bollettino Salesiano 110 [1986] 3, 8). E per questo non ha avuto paura di «soffrire il travaglio e le inevitabili solitudini della verità». Soprattutto quando si sceglie di stare sempre dalla parte delle vittime, dei senza voce, dei piccoli, dei poveri, vero ‘asse della storia’.

Viveva con entusiasmo l’inenarrabile avventura dall’incontro tra la fede cristiana e la storia. Uomo dallo sguardo contemplativo era capace di uno sguardo panoramico. Nino non ha mai confinato la sua missione di giornalista cattolico «entro spazi a circuiti chiusi».  Né, tanto meno, si trattava semplicemente «di trascrivere la realtà», bensì di «contribuire a trasformarla», accompagnando «un progetto più ampio di speranza, una passione per il futuro, una fede nella riuscita definitiva dell’umanità». Da qui l’audacia e la libertà «di denuncia critica e di testimonianza profetica», nella consapevolezza che quello del giornalismo «non è lavoro di amanuense, ma frontiera di precursore» (Lettera: Giornalisti o profeti?, in Il Bollettino Salesiano 110 [1986] 3, 8).

Conservo gelosamente la nostra corrispondenza dove si evince un amore adulto e appassionato per la chiesa: «Che la chiesa di Palermo stia bene» mi scriveva all’inizio dell’anno (Lettera, 25 gennaio 2022). E per questo non voleva affatto che fosse «disincarnata dalla realtà storica, giacché la sua tenda è in mezzo agli uomini, dove gli uomini lottano, soffrono e sperano insieme» (Intervento al Convegno ecclesiale di Palermo, 28-30 dicembre 1976). La voleva capace di stare dentro la storia e partecipe de suo travaglio. La pungolava con amore filiale ad ascoltare l’oggi della storia. Ad ascoltare tutti. Libera. Povera e umile. Di farlo sinodalmente: «Sì, la chiesa è in Sinodo – mi scriveva ancora il 25 gennaio -. La grande emergenza di oggi è che Dio e le Istituzioni sono in crisi. Contestati! Mentre affermiamo la nostra fede, è doveroso capire, riconoscere, affermare che quanti non credono hanno le loro “buone ragioni”, tutte le ragioni umane inoppugnabili…».

Provetto esperto di uno ‘sguardo altro’ che penetra l’orizzonte, come quelli di Israele, anche i suoi «occhi hanno visto» (Dt 4,9), l’Oltre, l’Altro, gravidi di memoria e di «“sogni” di fede» (Lettera, 9 marzo 2022).

Il credo di Nino Barraco, la sua appartenenza alla chiesa, non indulgeva di certo al fanatismo e al moralismo, ma conosceva tutta la passione e la tenerezza di una relazione sempre invocata e sempre accolta con il Dio narratoci da Gesù di Nazareth, il Verbo eterno fattosi carne nel grembo della Vergine Maria, amante degli uomini fino alla follia della Croce. «Amo credere – mi scriveva appena qualche giorno fa – nella preghiera di Gesù: “Padre, io voglio che anche quelli che tu mi hai dato, siano con me, dove sono io”. Bellissimo! Un Dio che prega Dio, che può dire “Io voglio”!!! Sì, siamo tutti dentro questa preghiera, di speranza, di pace, di futuro.. Lo Spirito “geme” per noi…» (Lettera, 9 marzo 2022).

Speranza, un termine a lui caro. Pur avendo consapevolezza del caro prezzo che comporta: «Si, è difficile sperare. E però siamo obbligati a farlo!» (Lettera, ottobre 2020).

Come faceva Nino, costringiamoci alla speranza. Simpaticamente. Trastullandoci con Dio, come lui stesso amava dire: «Mi piace scherzare con il Signore… dico che Egli mi piglia in giro… Ho novanta anni e passa… e mi fa incontrare con il Salmo (appunto) 91, che dice : “Tu mi dai la forza di un bufalo, mi cospargi di olio splendente!!… … La Madonna – che ho sempre amato – la Madonna che non capiva niente, ci aiuti a credere  nella speranza!» (Lettera, ottobre 2020). «La mia Madonna di Lercara, la Madonna della Neve, ci abilita, tutti, al sogno!» (Lettera, luglio 2018).

In questo tempo più che mai! Dal Tabor celeste, dove ora il Signore ti ha preparato una dimora, Nino amatissimo, fiocchi abbondante sulla terra martoriata dai tanti insensati focolai di guerra la neve refrigerante della pace.

Regina pacis, ora pro nobis.

 

Note biografiche (di Filippo Passantino)
Nino Barraco è stato direttore responsabile di diverse riviste, a partire dalla testata “Voce cattolica”. Presidente regionale dell’Unione cattolica stampa italiana. Docente di Etica professionale all’Istituto superiore di giornalismo presso l’Università di Palermo. Componente dell’ufficio stampa dell’Assemblea regionale siciliana. Relatore in numerosi convegni, autore di pubblicazioni, di diversi contributi, di una particolare rubrica “La lettera”. Il suo primo articolo “Il venditore di noccioline”, apparso su “Voce cattolica”, il 10 febbraio 1952, suonava già come una provocazione cui seguirà una vasta, ininterrotta pubblicistica: dalle pagine di “Poesia, amore, santità” (1960) a “Sognare per vocazione” (ed. Compostampa, 2005) nel 50° di giornalismo. Portavoce di una “notizia risorta”, è stato un grande estimatore di don Tonino Bello e padre David Maria Turoldo, che lo ringraziò per la pubblicazione del libro “Ho incontrato mio padre”.
Una vocazione laica di fede, vertenza e contemplazione. Leonardo Sciascia definì Nino Barraco “uomo di pace”. Un vescovo, monsignor Giuseppe Petralia, che gli era stato maestro di giornalismo, “un mansueto ribelle”. Grande la stima nei suoi confronti da parte del cardinale Salvatore Pappalardo, di cui ha pubblicato discorsi e scritti. La sua professione vissuta per “collaborare alla speranza”. La sua una parola e una visione profetica. Intervenendo al Convegno ecclesiale di Palermo (28-30 dicembre 1976) disse: “La Chiesa di Palermo non vuole essere a guardia dei cimiteri: non vuole essere a guardia di una fede disincarnata dalla realtà storica, giacché la sua tenda è in mezzo agli uomini, dove gli uomini lottano, soffrono e sperano insieme. Non vuole essere a guardia delle situazioni di privilegio, di potere, degli interessi, giacché Essa per prima, pur essendo povera, intende fare, ogni momento, il suo severo esame di coscienza per radicarsi nel cuore degli uomini come altare, comunione e servizio”. Nel 2015 il suo sguardo rivolto a Papa Francesco: “Grazie, Signore, per averci dato Papa Francesco, questa nuova Pentecoste della Chiesa, questo Papa piegato sui poveri e sulle loro ferite. Questo Papa che ci fa giurare sul futuro: ‘Lasciatevi sorprendere da Dio, abbiate il coraggio di essere felici!’”.