397° FESTINO DI SANTA ROSALIA, ECCO IL “CONTA PREGHIERE” DELLA PATRONA

Esposto in occasione del 397° Festino su iniziativa di Mons. Filippo Sarullo, parroco della Cattedrale

Dopo il ritrovamento del corpo di Santa Rosalia il 15 luglio 1624, le reliquie furono portate nella camera dell’Arcivescovo di Palermo, il cardinale Giannettino Doria. Le ossa, attentamente esaminate dai medici – che ne sancirono l’appartenenza ad un unico individuo di sesso femminile – nascondevano, sotto strati di calcare, alcuni oggetti, tra cui: una crocetta in lamina d’argento (sotto la mano sinistra), un piccolo crocifisso in terracotta, una ciotola in terracotta e una corona in pietra (sotto la mano sinistra) come si evince dal testo di Giordano Cascini (1):

“Parte dell’ulna del braccio, delle dita, e delle coste, e l’ossa della mano, dove si trovò appicciata la corona, tutto in una pietra (…) molte altre ossa delle medesime parti in un pietra, dove si vedono cinque Paternostri della corona, e altri ne restano coperti” (2). “Mentre ci studiavamo attorno a quelli anche più minuti pezzetti, venne a me fra le mani un ossicello, che a prima vista parve un sassolino. Sembrava una di quelle pallottole che noi portiamo in filza, per dir Paternostri e Ave Marie, perciochè era forata per lo mezzo; piacque al Signore e molte ne ritrovammo quasi infilzate, una fra gli altri più grossetta fra le dita, e la palma della mano, cosicchè, come nuove reliquie e carissime per esser cose spesso da lei maneggiate, (…) furon divotamente raccolte, cinque apparenti fra le coste del petto, e le dita della mano. Erano di varia grandezza e per lo più somiglianza d’un bottoncino, o di una picciola d’oliva di osso bianco, vestito di un sottil velo di pietra: questa fu il ritrovamento della corona, che apportò nuova allegrezza…”(3)

Alla luce di questi rinvenimenti, il gesuita Cascini, autore della biografia di S. Rosalia vergine romita palermitana, fece inserire la corona nelle tavole che raffigurano la vita di Rosalia, facendo diventare lo strumento di preghiera anche uno dei simboli iconografici della santa. Dodici grani della corona furono donati alle monache domenicane di santa Caterina, come reliquia insigne di un arcaico rosario di cui lo stesso ordine domenicano si fece promotore (4). La croce della corona, invece, fu donata al fondatore del monastero di Santa Rosalia allo stazzone, don Giuseppe Bonfante (5).

La piccola crocetta divenne emblematica per il monastero, perché fu utilizzata anche per l’abito delle monache che ne ripotavano l’effige. Per la distruzione del complesso (1922), le monache si trasferirono al monastero benedettino dell’Origlione, portando con sé la preziosa reliquia. In occasione del terzo centenario del rinvenimento delle reliquie di Santa Rosalia, nel 1924, i grani e la croce ritornarono nella Cattedrale (6) e, per volontà del Cardinale Lualdi, furono fotografati e divulgati con delle cartoline celebrative per l’anniversario. La corona di santa Rosalia è uno strumento di preghiera che trae origine dall’Oriente per tenere conto della ripetizione di preci e di varie formule rituali, di penitenza o di intercessione per un defunto (7); i conta preghiere consistono in un determinato numero di piccole sfere o grani di diverso formato e materiale (oro, argento, pietra, osso, legno, terracotta) che si congiungono ad una croce o un’immagine mariana, infilati su una stringa di pelle, una cordicella, un filo di seta o di altri materiali simili. L’esigenza di contare le preghiere nasce principalmente nei monasteri, dove la ricerca della comunione con Dio costituiva l’unica occupazione e la forma di preghiera più importante era la recita dei 150 Salmi. L’uso dello strumento conta-preghiere affonda le radici in epoca molto antica, tra il V e il VII secolo d.C., negli eremi degli anacoreti orientali.

In occidente la prima diffusione è dovuta a San Beda il Venerabile (673-735 d.C.), che lo consigliava specie in soccorso dei fedeli che, non conoscendo il latino, sostituivano la recita dei 150 salmi con quella dei 150 paternostri divisi in tre cinquantine, per tre momenti della giornata8 o con il saluto angelico (prima parte dell’Ave Maria).

All’inizio del secondo millennio i salmi vennero gradualmente sostituiti dallo stesso numero in miserere e questa usanza ben presto si diffuse ampiamente non soltanto presso gli analfabeti ma anche tra coloro che sapevano leggere. Con la recita dei 150 Padre Nostro si otteneva il cosiddetto “salterio paternoster”. Lo stesso nome della preghiera in poco tempo divenne sinonimo anche dello strumento conta preghiere: Paternoster (anche Cascini definisce con questo termine lo strumento di preghiera della santa).

Il conta preghiere trovato con i resti di Rosalia è sintesi di tutta spiritualità monastica orientale, basata sulla ricerca della solitudine e della pace contemplativa, segno tangibile di una vita di preghiera.

In occasione del 397° Festino, il conta preghiere, sinora conservato nel Tesoro della Cattedrale in due diversi reliquiari, contente uno i grani e l’altro la croce, è stato realizzato un reliquiario in argento per ricongiungere l’unico oggetto.

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1 Cfr. G. Cascini, S. Rosalia vergine romita palermitana palesata con libri tre dal m.r.p. Giordano Cascini della Comp.a di Giesu. Palermo.

2 G. Cascini, S. Rosalia …r.p. Giordano Cascini …. Palermo, 1651 p. 106

3 Ibidem p. 253-254

4 Cfr. J. Stiltingus, Acta S. Rosaliae Virginis Solitariae Eximiae contro pestem Patronae, Antuerpiae, 1748

5 Nel 1624, dopo il ritrovamento del corpo di S. Rosalia, molti animi si accesero di devozione per la santa romita, fra questi il sacerdote don Giuseppe Bonfante il quale, liberato dalla peste per sua intercessione, decise di fondare un conservatorio di fanciulle dedicandolo alla Patrona. Pertanto nel 1625 scelse un luogo detto di Vita presso la parrocchia di S. Giovanni dei Tartari e vi fondò tale pio istituto, l’anno successivo vi venne fondata anche una cappella per le devozioni. Il numero delle fanciulle aumentò a tal punto che fu necessario chiedere un contributo per il sostentamento al re Filippo IV che lo concesse con la condizione di festeggiare solennemente ogni anno la festa dell’Immacolata Concezione. Accanto a questo istituto alcune dame vollero fondare dopo pochi anni un monastero di benedettine ed esecutore della fondazione fu lo stesso Bonfante il quale ottenne che dodici fanciulle del suo Conservatorio passassero a vivere vita claustrale nello stesso monastero. L’approvazione della fondazione avvenne per Bolla pontificia di Urbano VIII nel 1634 nella quale si ordinava che le suore portassero sopra l’abito benedettino una croce di tela bianca che riproduceva la venerata reliquia della croce ritrovata tra le ossa della Santa (attaccata alla cassa toracica), donata da P. Giordano Cascini gesuita al fondatore Bonfante e da questi al monastero con proibizione che uscisse dallo stesso. Nel 1637 iniziò la costruzione, presso la chiesetta di S. Rosalia, del cenobio e fu necessario utilizzare anche le fabbriche del conservatorio per cui l’Arcivescovo Card. Doria concesse al Bonfante la struttura appena lasciata dalle carmelitane nel rione Trappetazzo (Ritiro di S. Pietro) per liberare del tutto il vecchio conservatorio nel luogo detto di Vita. Finalmente il 21 novembre 1675 l’arcivescovo Lozano ordinò che uscisse dal monastero della Concezione in via Porta Carini la Madre suor Maria della Croce Sitajolo e si portasse in questo di S. Rosalia per diventarne badessa.

Cfr. A. Mongitore, Storia delle Chiese di Palermo, (a cura di) Lo Piccolo F., Palermo 2009.

6 Come si evince dalle iscrizioni alla base dei rispettivi reliquiari dei grani e della croce.

7 T. Buric, I ritrovamenti più antichi di rosari in Dalmazia. Muzejski savjetnik Muzej hrvatskih arheoloških spomenika HR -21000 Split, S Gunjače.

8 F. Antonucci, Il Rosario Tesoro Semplice da Riscoprire, Foggia, Bastogi 2006.