Rosario Livatino non è stato un “giudice ragazzino”, era un magistrato esperto ed era un uomo che aveva scelto di dare un indirizzo ben preciso alla propria vita, ponendola Sub Tutela Dei (le tre iniziali erano presenti nelle agende trovate dagli investigatori dopo l’agguato).
«Il riconoscimento del martirio di Rosario Livatino da parte della Chiesa – ha voluto sottolineare l’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice in occasione della beatificazione del magistrato – mette in luce chiaramente che la fede cristiana va incarnata nella vita ordinaria. È quanto mai attuale l’affermazione del giudice assassinato: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”. Come quella del Cristo la vita dei cristiani non può che essere un’esistenza messianica. E la professione, in particolare, è lo spazio naturale della testimonianza cristiana, l’altare dove si esprimere il culto della vita. Una vita interpretata come servizio, sulle orme di Cristo Messia-Servo. Per ciò che ha rappresentato e continua a rappresentare Rosario Livatino, la sua testimonianza è particolarmente significativa per la nostra terra che ha bisogno di ripensarsi a partire dall’alto valore della giustizia e della solidarietà nel bene. La nostra isola che conosce il gemito dell’oppressione del male nelle sue variegate, subdole e devastanti forme, necessita ancora di donne e di uomini ispirati dal Vangelo che permettano ad altri di diventare soggetti liberi. Nel comune sforzo che oggi come trentadue fa viene chiesto a tutti noi, la sua beatificazione ci chiama ad un “martirio dell’ordinario”, il martirio di quanti, così come ci ricorda il Vangelo, sono nella mitezza costruttori feriali di giustizia e di pace».