E’ online il sito https://www.camminosinodalepalermo.it/ : “L’auspicio – dice Don Giuseppe Vagnarelli, Direttore dell’Ufficio Pastorale diocesano – è che diventi uno spazio e uno strumento importante per la nostra comunità”. Il sito, sviluppato con il coordinamento dell’Equipe Sinodale diocesana, sarà uno degli strumenti principali per accogliere notizie, proposte, iniziative, spazi di confronto e di riflessione sui diversi temi del cammino sinodale fino al 2023; sarà anche lo spazio in cui verranno offerti i passi di cammino che la comunità ecclesiale palermitana sta costruendo.
SINODO, IL TEOLOGO CODA: “E’ L’AVVENIMENTO PIU’ IMPORTANTE DOPO IL CONCILIO”
“Per la prima volta in duemila anni viene coinvolto tutto il Popolo di Dio”. Monsignor Piero Coda, membro della Commissione teologica del Sinodo 2021-2023, commenta le parole del Papa nelle due giornate di apertura del percorso sinodale evidenziando che “la partecipazione non è cosmesi, ma questione di identità”
di Fabio Colagrande – vaticannews.va (https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-10/sinodo-sinodalita-coda-intervista-papa.html)
“Ribadisco che il Sinodo non è un parlamento, non è un’indagine sulle opinioni”, ha affermato Papa Francesco nell’Aula Nuova del Sinodo sabato 9 ottobre, nel suo discorso nel Momento di riflessione che ha preceduto l’apertura del Sinodo 2021-2023, dedicato al tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”. Lo stesso concetto è stato ribadito dal Pontefice l’indomani, domenica 10 ottobre, nell’omelia della Santa Messa che ha aperto il Sinodo sulla Sinodalità. Non deve essere una “convention” ecclesiale, un “convegno di studi” o un “congresso politico”, ha aggiunto Francesco, per sottolineare come si tratti di un evento di grazia, un “processo di guarigione condotto dallo Spirito”. Secondo monsignor Piero Coda, membro della Commissione teologica del Sinodo, e recentemente nominato segretario generale della Commissione teologica internazionale, le parole del Papa chiariscono come insistere sulla sinodalità, sulla partecipazion: “non sia una scelta di democratizzazione” ma “una questione di identità profonda”. Per il teologo, docente all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano, quello appena inaugurato in Vaticano è “l’avvenimento ecclesiale più importante dopo il Concilio Vaticano II”. “Per la prima volta in duemila anni di storia della Chiesa – spiega in questa intervista – un Sinodo è chiamato a coinvolgere tutto Popolo di Dio”.
Perché il Papa insiste così tanto sulla distinzione tra Sinodo e parlamento?
C’è il pericolo di un fraintendimento. Si rischia di pensare che far brillare la sinodalità nella vita della Chiesa significhi aprirsi a una sorta di democratizzazione, dove il gioco di maggioranza e minoranza è quello decide. Invece no, non è così. La Chiesa è un evento dello Spirito Santo e quindi il vero protagonista del Sinodo è proprio lo Spirito Santo che – come dice sempre Papa Francesco – armonizza le diversità, le riconcilia, le fa convergere nell’unità che è Cristo stesso, vivo e presente nella sua Chiesa. Quindi, mettere in atto una procedura sinodale significa mettere in atto ciò per cui la Chiesa è Chiesa: un Popolo di Dio in cammino, una sinfonia di diversità che però convergono nell’unità per servire il mondo.
Per questo il Papa insiste molto sulla necessità della preghiera di Adorazione, sulla necessità di mettersi in ascolto dello Spirito?
Sia aprendo i lavori del processo sinodale, sia nella Santa Messa inaugurale, il Papa ha affermato che andrebbe incentivata la preghiera di Adorazione. È una circostanza che mi ha colpito. Credo che Francesco voglia ricordarci che la vita in Cristo è essenzialmente e prima di tutto apertura del cuore e della mente di ciascuno all’ascolto della voce dello Spirito, all’adorazione del volto di Cristo che ci apre al mistero insondabile di amore del Padre. E questo significa “adorazione”. Cioè, essere aperti, essere grati, consapevoli che noi riceviamo tutto dall’amore del Padre, che egli ci ama per primo e che noi, di conseguenza, siamo chiamati ad ascoltare gli altri e a ridonare il suo amore agli altri. Ecco, questa è la radice della vita ecclesiale ed è la radice anche del processo sinodale.
Perché proprio un Sinodo sulla Chiesa sinodale?
Io penso, e non vorrei essere troppo entusiasta, che questo sia l’avvenimento ecclesiale più importante, più strategico, dopo il Concilio Vaticano II. Il Concilio ci ha fatto riscoprire la Chiesa come è: unità nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, comunione e missione. Oggi, dopo tutto un cammino in cui abbiamo trovato nuove energie e fatto esperienza, siamo pronti a compiere un passo ulteriore. Oggi possiamo far diventare vita, in tutte le espressioni della comunione e della missione della Chiesa, quella partecipazione al mistero di Cristo in cui siamo inseriti in grazia del Battesimo. Quindi fare un Sinodo sulla sinodalità non vuol dire farlo su un tema come tanti altri, ma sull’identità più profonda della Chiesa come comunione e missione che diventa concreta, storicamente incisiva quando è partecipata da tutti. La Chiesa è tale, infatti, solo quando è portata sulle proprie spalle da tutti ed è condivisa nel proprio cuore da tutti, a servizio dei fratelli, soprattutto a cominciare dagli ultimi, dagli scartati e dalle periferie esistenziali e spirituali del nostro tempo.
A proposito di partecipazione, nel suo discorso inaugurale Francesco ha affermato che questa è “un’esigenza di fede e non di stile”. Perché questa precisazione?
Secondo me, perché il Papa voleva sottolineare che la partecipazione non è semplicemente un optional, non si tratta cioè di cosmesi ecclesiale, per far vedere che siamo “politically correct”, capaci di una certa misura di condivisione. Si tratta piuttosto di una questione di identità profonda. Noi, infatti, partecipiamo all’unico mistero di Cristo, siamo coeredi con Cristo – dice il Nuovo Testamento – del dono infinito di amore che il Padre ci fa nello Spirito Santo. Quindi, o la mettiamo in atto questa partecipazione alla vita di grazia di Fede e di amore, alla speranza di Cristo, oppure non siamo fino in fondo, ciò che dovremmo essere per la grazia del nostro Battesimo. Quindi è questione di identità e non semplicemente di cosmesi ecclesiale.
Il Sinodo prende atto perciò che, fino ad oggi, non tutti i battezzati hanno partecipato pienamente allo sviluppo della Chiesa?
La situazione è storicamente un dato di fatto. Nella Chiesa per lunghi secoli, nel secondo millennio, dalla riforma Gregoriana fino al Concilio Vaticano II, per necessità di crescita storica, di maturazione, anche di missione della Chiesa, in un mondo difficile, è prevalsa una visione principalmente piramidale, gerarcoentrica. Questo ha impedito spesso che venissero valorizzate tutte le energie dello Spirito presenti nel Popolo di Dio. Anche se ci sono stati grandi Santi, grandi movimenti di rinnovamento spirituale, si è trattato però di espressioni che non hanno coinvolto fino in fondo tutte le membra del Popolo di Cristo. Con il Vaticano II si parla della vocazione universale alla santità, tutti abbiamo la stessa dignità come Popolo di Dio, quindi il momento storico, il Kairòs, come dice Gesù nel Nuovo Testamento, cioè il momento di Dio, è proprio questo. Dobbiamo perciò cercare di aprirci all’azione dello Spirito che rende tutti corresponsabili in prima persona di questo grande evento di grazia che è il fatto stesso della Chiesa che sta nel mondo per la salvezza di tutti.
Questo è anche il primo Sinodo che si svolge secondo un meccanismo in cui l’ascolto del Popolo di Dio diventa strutturale…
Com’è definito dal documento Episcopalis communio, emanato da Papa Francesco proprio per il rinnovamento dell’Istituto del Sinodo dei Vescovi voluto da Paolo VI dopo il Vaticano II, questo Sinodo si sviluppa in una forma certamente nuova che prevede tre grandi fasi. La fase di coinvolgimento di tutto il Popolo di Dio, che si articola nella vita delle Chiese locali. Poi quella celebrativa del Sinodo dei vescovi vero e proprio, dove vengono raccolte tutte le istanze, le proposte che nascono dall’ascolto del Popolo di Dio. E poi la fase della ricezione con il ritorno alle Chiese locali e l’accoglienza e l’interpretazione creativa delle linee di fondo emerse. Teniamo presente che non solo è una novità per questa dinamica processuale di cammino, ma è la prima volta in duemila anni di storia della Chiesa in cui un evento di questo genere è chiamato a coinvolgere tutto Popolo di Dio. Quindi penso che dobbiamo ringraziare Dio, impegnarci con estrema responsabilità, perché nessuno stia a guardare dalla finestra e perché non sia un’occasione persa.