Cari amici buddisti, Questo Dicastero, precedentemente noto come Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, vi invia i suoi cordiali saluti in occasione del Vesak, un momento di festa in cui celebrate la nascita, l’illuminazione e la morte del Buddha. Possa questa festa ispirarvi ancora una volta a continuare la vostra ricerca di comprensione della natura del duhkha, delle condizioni che lo causano e di come si possa superare. La vita ha la sua parte di sofferenza e di ferite, e le occasioni di festa possono fornire la necessaria distanza dalla nostra routine quotidiana per affrontarle con una nuova consapevolezza. La maggiore capacità di comunicazione del mondo globalizzato di oggi ci ha reso consapevoli che i problemi che affrontiamo non sono isolati, ma sono il risultato di tensioni e mali che coinvolgono tutta l’umanità. Le ferite che affliggono il mondo sono molte: la povertà, la discriminazione e la violenza; l’indifferenza verso i poveri, la schiavitù derivante da modelli di sviluppo che non rispettano la persona umana e la natura; l’odio motivato e alimentato da estremismi religiosi e nazionalistici; e soprattutto, un atteggiamento di disperazione verso la vita che si esprime attraverso vari generi di ansia e dipendenza. Tutte queste realtà mettono dolorosamente a nudo la nostra comune vulnerabilità. La chiara consapevolezza di questa vulnerabilità condivisa richiede nuove forme di solidarietà plasmate dalle nostre rispettive tradizioni religiose, a cui guardiamo per trovare “risposte agli enigmi irrisolti della condizione umana che agitano profondamente il cuore degli uomini” (cfr. Nostra Aetate 1). Poiché siamo un’unica famiglia umana, siamo tutti legati gli uni agli altri come fratelli e sorelle, coabitanti interdipendenti della terra. Stiamo navigando sulla stessa barca, “dove i problemi di una persona sono i problemi di tutti”. Ancora una volta, ci rendiamo conto che nessuno si salva da solo; possiamo salvarci solo insieme” (Papa Francesco, Fratelli Tutti, 32). Per questo motivo riteniamo opportuno ricordare il potenziale delle nostre rispettive tradizioni religiose per offrire rimedi in grado di curare le nostre gravi ferite e quelle delle nostre famiglie, delle nostre nazioni e del nostro pianeta. Cari amici buddisti, voi offrite la guarigione incarnando karuna – la compassione verso tutti gli esseri, insegnata dal Buddha (Sutta Nipata 1.8, Sutta Nipata 2.4) o agendo in modo disinteressato come fece il Bodhisattva, che rinunciò a entrare nel Nirvana e rimase nel mondo per adoperarsi ad alleviare la sofferenza di tutti gli esseri fino alla loro liberazione. Il Buddha descrive così la persona interamente informata da karuna: “Dimora con la mente accompagnata dalla compassione, soffondendo una direzione. Anche una seconda direzione. Anche una terza direzione. Anche una quarta direzione. Così sopra, sotto, intorno, dappertutto, identificandosi con tutti, egli dimora soffondendo il mondo di tutti (gli esseri) con la mente accompagnata dalla compassione, estesa, sublime, illimitata, senza inimicizia, senza cattiva volontà” (Abhidhamma Pitakaya Vibhanga b). Coloro che dimorano con la mente accompagnata dalla compassione offrono un antidoto alle crisi globali che abbiamo menzionato, offrendo una compassione completa in risposta a mali diffusi e interconnessi.
Allo stesso modo, per i cristiani non c’è rimedio più efficace della pratica dell’agape (amore disinteressato), la grande eredità che Gesù ha lasciato ai suoi seguaci. Gesù offre ai suoi discepoli il dono dell’amore divino – l’agape – e insegna loro ad amarsi gli uni gli altri (cfr. Giovanni 15,13). Egli porta l’esempio di un uomo che si è dato da fare per curare uno straniero, nemico del suo popolo, che era stato vittima dei briganti: “Un samaritano, mentre camminava, giunse dove si trovava quell’uomo; e quando lo vide, ne ebbe compassione, gli andò incontro e gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo fece salire sulla propria cavalcatura e lo condusse in una locanda, prendendosi cura di lui” (Luca 10,33-34). Il samaritano dimostra una vicinanza concreta alla persona bisognosa. Vorrei ribadire l’appello di Papa Francesco a servire gli altri con compassione, ad amare concretamente, non astrattamente, con un amore che “è grazia, generosità, desiderio di prossimità, e non esita a donarsi e sacrificarsi per le creature amate. La carità, l’amore è condividere in tutto la sorte dell’amato. L’amore rende simili, crea uguaglianza, abbatte i muri e le distanze” (Messaggio per la Quaresima 2014). Allo stesso modo, l’enfasi posta dal Buddha sull’addestramento del cuore è particolarmente preziosa nel momento in cui procediamo insieme nei nostri sforzi per favorire la guarigione: “Sviluppate la meditazione sulla compassione; perché quando svilupperete la meditazione sulla compassione, ogni crudeltà sarà abbandonata” (Maharahulovada Sutta – MN 62).
Sforziamoci di vivere con maggiore amore e compassione e lavoriamo insieme per costruire un mondo più giusto, pacifico e unito. Possiate “irradiare amore sconfinato verso il mondo intero – sopra, sotto e attraverso – senza ostacoli, senza cattiva volontà, senza inimicizia” (Karaniya Metta Sutta, Sn. 1.8). E possiate godere, cari fratelli e sorelle buddisti, di abbondanti benedizioni e della gioia di contribuire alla guarigione delle ferite della società e della Terra, la nostra casa comune.
Dal Vaticano, 16 aprile 2023
Miguel Ángel Cardinal Ayuso Guixot, MCCJ Prefetto
Mons. Indunil Janakaratne Kodithuwakku Kankanamalage Segretario