Un viaggio di speranza e pace nel Mar Mediterraneo: il progetto “Bel Espoir” ha preso il largo: la nave scuola della pace – dopo essere salpata dal porto di Barcellona e dopo la tappa a Palermo – raggiungerà le diverse sponde del Mediterraneo con l’obiettivo di costruire ponti di pace.
Promosso dalla Diocesi di Marsiglia, dall’associazione Bel Espoir-AJD, e dall’associazione Mar Yam, il progetto Med25, intitolato “Bel Espoir”, coinvolge circa 200 giovani provenienti da Palestina, Libano, Siria, Egitto, Marocco, Tunisia, Giordania, Spagna, Francia, Grecia, Italia e altri Paesi del Mediterraneo, giovani tra i 20 e i 35 anni che avranno l’opportunità di vivere un’esperienza formativa unica a bordo di una goletta a tre alberi, navigando lungo il Mediterraneo per otto mesi, da marzo a ottobre 2025.
Il veliero Bel Espoir, lungo 29 metri, solcherà le acque del Mediterraneo unendo le cinque sponde del bacino: Nord Africa, Medio Oriente, Mar Egeo, Balcani ed Europa latina. Il viaggio, che si concluderà a Marsiglia il 25 ottobre 2025, toccherà numerosi porti tra cui Barcellona, Palermo, Tetouan, Biserta, Malta, La Canea, Nicosia, Jounieh, Istanbul, Atene, Durazzo, Trieste, Ravenna, Bari e Napoli; ogni tappa, della durata di circa due settimane, viene dedicata a temi chiave come educazione, migrazioni, ruolo delle donne, dialogo interreligioso e tutela ambientale.
In continuità con gli Incontri del Mediterraneo di Bari (2020), Firenze (2022), Marsiglia (2023) e Tirana (2024), il progetto “Bel Espoir” si inserisce nel cammino di dialogo e riconciliazione voluto da Papa Francesco. Durante il suo incontro con i giovani a Marsiglia nel 2023, il Papa ha sottolineato l’importanza di “combattere il fatalismo e di osare un impegno concreto per la pace”. Le parole di Papa Francesco risuonano ancora oggi come un invito a non lasciare che i timori prevalgano sulle speranze, ma a lavorare insieme per un futuro di convivenza pacifica tra i popoli del Mediterraneo.
In questo contesto, il progetto mira a formare una nuova generazione di giovani impegnati per la costruzione di una pace duratura. A bordo, i giovani partecipanti prenderanno parte a formazioni sulla pace, conferenze e festival nei vari porti, vivendo un’esperienza immersiva di ascolto, scambio e cooperazione.
A Palermo, dal 29 al 31 marzo, il progetto ha offerto importanti occasioni di dialogo e incontro. Il 29 marzo, presso la Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia, si è tenuto il seminario “Educare alla pace e alla non violenza”, un evento aperto alla città con esperti e rappresentanti del Mediterraneo. La serata è proseguita con una cena comunitaria e una festa interculturale presso Epyc, un’occasione di incontro tra i giovani di Med25 e la cittadinanza. Domenica 30 marzo è stata dedicata agli incontri presso l’Ecomuseo Mare Memoria Viva, la Casa Mediterranea dell’Istituto Padre Messina e la celebrazione interculturale animata dalla Corale Arcobaleno dei Popoli.
Il 31 marzo, sempre alla Pontificia Facoltà Teologica di Sicilia, si è tenuto l’incontro “Approdiamo alle scuole e alle università!”, nel corso del quale gli studenti siciliani hanno dialogato con i partecipanti di Med25 per costruire una Rete siciliana dei giovani del Mediterraneo. Al termine, la visita alla parrocchia di Sant’Agnese e alla Fattoria sociale del quartiere Danisinni.
Seguendo l’invito di Papa Francesco alle Rencontres Méditerranéennes di Marsiglia nel 2023 – “Siate mare di bene per far fronte alla povertà di oggi con una sinergia solidale; siate porto accogliente, per abbracciare chi cerca un futuro migliore; siate faro di pace, per fendere, attraverso la cultura dell’incontro, gli abissi tenebrosi della violenza e della guerra” – questo incontro ha rappresentato un passo concreto per rafforzare i legami tra le nuove generazioni del Mediterraneo e promuovere la costruzione di una comunità fondata sulla pace e sulla solidarietà.
(photogallery: Arcidiocesi di Palermo / Angelo Modesto)
MED 25
Bel Espoir – La bella speranza
INTERVENTO DELL’ARCIVESCOVO DI PALERMO MONS. CORRADO LOREFICE
Facoltà Teologica di Sicilia – 29 marzo 2025
“Educare alla pace e alla non violenza”
Cari giovani del Progetto Med25, care amiche, cari amici qui convenuti,
Vi saluto con amicizia e affetto fraterno in nome di una comune umanità che ci raccoglie qui, oggi, in quanto donne e uomini desiderosi di comunione e di futuro. Comunione e futuro. Perché senza l’esperienza del nostro essere raccolti in una koinonia, in una vita e in un destino che riguardano tutti, non siamo uomini e donne, non siamo umani. Senza l’attesa del futuro, senza quell’immediato, corporeo protenderci verso il domani che è tutt’uno con il nostro desiderio di vivere, l’umanità non esiste, l’umano non si dà. Siamo qui oggi interpellati da quanto c’è nella nostra esistenza di più lontano da questo orizzonte costitutivo, e cioè la guerra. Guardiamo al mondo scosso da guerre lunghe, drammatiche, spesso silenziose e incancrenite. Ho visto con i miei occhi e sentito con i miei orecchi i flagelli della guerra del Congo e della Siria.
La nostra Casa comune, sempre più piccola e interconnessa, rischia oggi di tradire la propria intrinseca vocazione di giardino armonioso di vita e di relazioni fraterne e pacifiche, di spazio di comunione e di futuro. Una Casa comune che sta per essere trasformata in un campo di battaglia ove tutti sono contro tutti.
Voi, cari giovani del Progetto Med25, siete espressione e segno della certa speranza di questo desiderio di comunione e di futuro. Voi provenite da diverse nazionalità, lingue, culture e religioni. Il vostro veliero Bel Espoir – che ha cominciato a solcare le acque del Mediterraneo – approderà e unirà le cinque sponde che vi si affacciano: Nord Africa, Medio Oriente, Mar Egeo, Balcani ed Europa latina. Siete segno di una feconda diversità generativa di comunione e di futuro di pace.
Il 27 ottobre 1986, in tempo di guerra fredda e di clima minaccioso, fu convocata da Giovanni Paolo II una Giornata mondiale di preghiera per la pace, ad Assisi, a cui presero parte i rappresentanti di tutte le grandi religioni mondiali: 50 rappresentanti delle Chiese cristiane e 60 rappresentanti delle altre religioni mondiali. Si trattò di un incontro che vide pregare per la pace i credenti di tutte le religioni mondiali nella città di San Francesco. L’uno accanto all’altro, di fronte all’orrore della guerra. Il 29 ottobre ad un gruppo di rappresentanti delle religioni non cristiane il Papa disse «Continuiamo a diffondere il messaggio di pace. Continuiamo a vivere lo spirito di Assisi».
Gli eventi attuali della Casa comune registrano la volontà dei «grandi di questo mondo» di ritornare al vecchio secolo – in balia della brama di potenza secondo lo ‘spirito di Babele’ (cfr Gen 11,1-9) – con le sue logiche che hanno determinato due nefaste guerre mondiali. Desidero semmai, guardando al vecchio secolo, mettere in evidenza la valenza paradigmatica di quell’evento avvenuto ad Assisi nel 1986, quasi quarant’anni fa. Lo “spirito di Assisi” non presuppone la logica del “minimo comune denominatore”, e cioè «un accordo su una base comune da cui partire. […] il fatto di pregare assieme non significava questo […] il gesto di Assisi non comporta in primo luogo un’apertura, un dialogo o altro simile, ma una comunicazione nella differenza. Ad Assisi i cristiani e gli esponenti delle altre religioni hanno comunicato in quanto di più intimo c’è nell’esperienza religiosa, la preghiera, lasciando tuttavia intatta la differenza delle loro preghiere. I gesti comuni, il pellegrinaggio comune, il digiuno comune, la conclusione comune stavano lì a mostrare che ciò che era specifico di ognuno, la preghiera, non per questo era fatta senza l’altro o accanto all’altro, ma con l’altro. La differenza religiosa è stata celebrata in comune come prassi di pace» (G. Ruggieri, Cristianesimo, Chiese e Vangelo, 167.169).
Se siamo qui oggi è perché è aumentata in noi la «convinzione che la guerra sia una grande stoltezza e che il dialogo rappresenti la medicina dei conflitti. Ancor più di ieri, siamo convinti che la pace è un grande ideale che può ispirare politiche e vite personali. La pace è un ideale calpestato in troppe regioni del mondo: deve risorgere! La pace è il grande ideale per società svuotate e senza ideali» (A. Riccardi, Le parole della pace, 258-259). Custodiamo salda nel cuore la determinazione di «una comunicazione nella differenza», di un dialogo tra diversi come «prassi di pace».
Giorgio La Pira, Sindaco di Firenze, nato nella ridente città marinara di Pozzallo, in questa grande zattera galleggiante che è la Sicilia – come ci ricordava Papa Francesco a Marsiglia il 23 settembre 2023 – «leggeva nel Mediterraneo non una questione conflittuale, ma una risposta di pace, anzi “l’inizio e il fondamento della pace fra tutte le nazioni del mondo” (G. La Pira, Parole a conclusione del primo Colloquio Mediterraneo, 6 ottobre 1958). Disse infatti: “La risposta […] è possibile se si considera la comune vocazione storica e per così dire permanente che la Provvidenza ha assegnato nel passato, assegna nel presente e, in un certo senso, assegnerà nell’avvenire ai popoli e alle nazioni che vivono sulle rive di questo misterioso lago di Tiberiade allargato che è il Mediterraneo” (Discorso di apertura del I Colloquio Mediterraneo, 3 ottobre 1958). Lago di Tiberiade, ovvero Mare di Galilea, un luogo cioè nel quale, ai tempi di Cristo, si concentrava una grande varietà di popolazioni, culti e tradizioni. Proprio lì, nella “Galilea delle genti” (cfr Mt 4,15) attraversata dalla Via del mare, si svolse la maggior parte della vita pubblica di Gesù. Un contesto multiforme e per molti versi instabile fu la sede dell’annuncio universale delle Beatitudini, nel nome di un Dio Padre di tutti, che “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5,45). Era anche l’invito ad allargare le frontiere del cuore, superando barriere etniche e culturali. Ecco allora la risposta che viene dal Mediterraneo: questo perenne mare di Galilea invita a opporre alla divisività dei conflitti la “convivialità delle differenze” (T. Bello, Benedette inquietudini, Milano 2001, 73). Il mare nostrum, al crocevia tra Nord e Sud, tra Est e Ovest, concentra le sfide del mondo intero, come testimoniano le sue “cinque rive”».
Prima di essere un mistero, la guerra è una scelta. La cecità che la muove ha un motivo profondo, una sorgente occultata. Per intenderla e per attingere l’energia giusta al fine di contrastarla abbiamo bisogno di tornare al corpo, di tornare ai corpi. Ripartire dai corpi. Il corpo – lo sapevano già i Romani, lo sapeva Paolo – non vuole scissioni. Funziona solo grazie alle sinapsi che uniscono. E se l’Alzheimer è la scissione, la frantumazione delle sinapsi, allora chi decide la guerra ha una forma di Alzheimer. Nella sua mente le aree dell’accudimento e dell’amore si sono appiattite. E si sono scisse dalle aree della forza, che degenera per questo in violenza. Dobbiamo dirlo: la guerra nasce da una mente ammalata di una forma particolare di Alzheimer, un Alzheimer che fa dimenticare i volti dei bambini, la bellezza delle donne, il vigore degli uomini, la tenerezza saggia degli anziani. Fa dimenticare la fragranza di una mensa condivisa. La freschezza di un sorriso.
Nei corpi si imprime anche il sigillo della ‘mancanza’ che genera violenza, che rende ammissibile, praticabile la guerra. Ma solo i corpi possono resistere. Solo ai corpi possiamo fare appello, perché nei corpi abitano le energie più profonde e curative delle ferite del creato. Il nostro compito di costruttori di pace, la nostra via di donne e uomini della pace è in fondo quella di non far sparire dalla terra il canto dolce dei corpi che amano e sono amati. Nell’inferno che viviamo, dobbiamo ricordare a tutti che nel cuore dell’uomo esiste la voglia di amare ed essere amato. Forse il nostro compito è quello di dire a ogni madre e a ogni padre: ama tuo figlio, amalo nella verità, nella pienezza, amalo tanto che il suo corpo diventi corpo d’amore. Ricordare che dove i corpi si mettono assieme per agire sulla società, per rappresentare le istanze altrui, per costruire ‘corpi intermedi’ lì si piantano i semi di una logica della mediazione opposta alla logica della guerra. Ricordare che dove i corpi si riconoscono e dialogano, a partire dalla loro verità, dai loro miti, dai loro racconti, ascoltati e rispettati, lì la guerra è impossibile. Le carezze materne e paterne, il gusto dello sguardo dell’amico/a%, le strutture intermedie umane, il dialogo tra i popoli, il dialogo tra le religioni costruiscono le premesse di un mondo nuovo che continuiamo a sperare, a sperare contro ogni speranza, e che continuiamo a ricordare. Il monte alto di Isaia, la città della pace è la nostra patria, non i campi di battaglia. Il suono degli uccelli e dei canti di amore ci appartengono e non il suono delle sirene, non il boato, il fragore delle armi.
Il cantiere della pace ha bisogno di audaci tessitori del dialogo, di costruttori di ponti di riconciliazione. Abbiamo bisogno di dialogo internazionale e di dialogo feriale.
L’invocazione che ancora oggi possiamo rivolgere ai «capi dei popoli belligeranti» può essere quella che Giorgio La Pira lanciava in suo articolo apparso nel dicembre 1967 dal titolo Per la pace in Medio Oriente, in «Note di cultura», 1968, pp. 55-60. Lo stesso articolo fu poi ripreso con il titolo Abbattere i muri e costruire ponti nel volume Unità, disarmo e pace, Cultura editrice, Firenze 1971, pp. 83-89. Sono parole di grande attualità non solamente perché avevano come riferimento il conflitto israeliano-palestinese, ma anche per l’odierna situazione di sfaldamento della comunità internazionale: «Perché – scriveva La Pira – non dare al mondo presente una prova del grande fatto che specifica l’attuale età storica: del fatto, cioè, che la guerra anche “locale” non risolve, ma aggrava i problemi umani; che essa è ormai uno strumento per sempre finito: e che solo l’accordo, il negoziato, l’edificazione comune, l’azione e la missione comune per l’elevazione comune di tutti i popoli, sono gli strumenti che la Provvidenza pone nelle mani degli uomini per costruire una storia nuova e una civiltà nuova?».
Vorrei terminare citando il Vangelo secondo Matteo: «Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato» (Mt 24,11-13).
Il vostro Veliero, cari giovani di Med25, fa profumo di salvezza, di futuro, di comunione. Grazie per la vostra perseveranza, per la vostra resilienza. Approdando a Palermo state contribuendo a tenere caldo l’amore nel cuore di molti. Di altri cuori perseveranti, resilienti. «In piedi, Costruttori di pace, beati, en marche evangelizzatori della pace!