GIUBILEO ROSALIANO / Le parrocchie del V e del VI Vicariato in pellegrinaggio in Cattedrale nel IV centenario del ritrovamento del corpo di Santa Rosalia

Le reliquie della Patrona continuano a visitare tutte le parrocchie dei sei vicariati dell’Arcidiocesi / OMELIA ARCIVESCOVO

Le parrocchie dell’Arcidiocesi di Palermo continuano a vivere l’esperienza del pellegrinaggio verso la Cattedrale per onorare santa Rosalia, a 400 anni dal ritrovamento delle sue spoglie mortali. Il “Giubileo Rosaliano”, indetto dall’Arcivescovo di Palermo Monsignor Corrado Lorefice per il quarto centenario dell’evento che salvò la città dalla peste, prosegue attraverso il programma definito dal Comitato Diocesano e che coinvolge i sei Vicariati: i fedeli delle parrocchie del V e del VI Vicariato il 29 maggio si sono recati in Cattedrale per la venerazione delle reliquie di Santa Rosalia e per la Concelebrazione Eucaristica presieduta dall’Arcivescovo. Da Porta Nuova una processione si è mossa fino alla Cattedrale. Qui, al termine della Celebrazione, l’Arcivescovo  ha affidato ai Vicari Episcopali i reliquiari di S. Rosalia che nelle prossime settimane saranno ospitati nelle diverse parrocchie.

 

 

 

 

       

       

 

Pellegrinaggio Rosaliano del V e VI Vicariato, Chiesa Cattedrale 29 maggio 2024

Omelia Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice

 Nel Triunfu pi Santa Rosalia alla nostra Patrona, tentata di desistere dalla sua scelta, si fa dire: «“ma iu sugnu maritata/ cu Gesù sugnu spusata/ e la robba nun è mia/ e di Gesù e di Maria”.  […] Ad unu sulu purtava l’amuri/ a Gesù Cristu nostru Ridinturi cunsidirava cu perfettu amuri/ cu’a lu Calvariu morsi crucifissu/ e a li peri di nostrii Signuri/ ci stava Rusulia sempri spissu» (Tratto dalla pubblicazione Essennu nata Santa Rosalia, edito dal Comune di Palermo in occasione del 377 Festino, curato su testi tradizionali da Fabrizio Lupo e Vito Parrinello).

La vita di Rosalia è un leggibile e nitido riverbero della pagina del Vangelo odierno. La nostra Santuzza ci chiede prima di ogni cosa di rimetterci con e come lei sulla strada di Gesù, «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6). «Mentre erano nella via (ἐν τῇ ὁδῷ)» (Mc 10,32).

Farci discepoli di Gesù. La sua via fa saltare i nostri criteri umani, fino allo sgomento, alla paura: «coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Gesù volgendo lo sguardo ai suoi discepoli aveva poco prima detto: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!» (Mc 10,23). Confidare nelle ricchezze è diffidare di Dio. Dare valore assoluto ad altro rispetto all’Unico, all’Assoluto, al Signore è la negazione della fede. È idolatrare qualcosa, qualcuno, ben lungi dall’amare Dio con tutto sé stessi (cfr Mc 12,30; Dt 6,5).

Confidare nel possesso dei beni significa essere nell’illusione della sicurezza, ed esserne schiavi al punto da non potersene più separare. L’immagine della cruna dell’ago e del cammello usata da Gesù (cfr Mc 10,25) ha una portata simbolica immediata: nessuno si può salvare se ha posto la sua sicurezza nel culto di sé, nel denaro, nell’avere, nella ‘roba’, negli affetti smodati. È come voler far passare un cammello per la fessura dell’ago. Ecco perché l’ingresso nel Regno è legato sempre al giusto riconoscimento degli altri, dell’Altro, al riconoscimento che la salvezza viene solo da Dio che vuole regnare nella nostra vita come Padre misericordioso e provvidente.

Ma non si tratta soltanto del possesso di beni materiali, quanto dell’atteggiamento di chi è saturo anche di conoscenze religiose, convinzioni, intelligenza, sicurezze umane, identità e stili mondani. Insomma, tutto quello che illude di essere autosufficienti costituisce un ostacolo al Regno di Dio.

Ecco perché sopravanza la paura e lo sgomento presso quelli che sentono: «Essi erano ancora più stupiti» (Mc 10,26). Insomma l’essere legati al vecchio mondo che viene invece contestato radicalmente dall’evangelo. Stupore e paura. Lo stupore per questa logica che sbaraglia quella umana e la paura per la prospettiva della morte imminente di Gesù, letta, secondo i criteri umani, come massimo fallimento.

I Dodici vengono convocati e Gesù dice loro che subirà una opposizione fino all’eliminazione. Per Marco è tutto il mondo e l’umanità – i capi dei giudei e dei pagani – che insorge contro l’inviato di Dio che qui presenta i tratti del Servo sofferente di Isaia (50,6), colui che presenta il dorso ai flagellatori. Per questo Marco arriva al parossismo, quando, dopo che Gesù ha preannunciato per la terza volta la sua passione e morte, mette sulle labbra di Giacomo e Giovanni la richiesta di privilegi: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,37). Essi pensano alla glorificazione della loro persona. A primati di potere. Ma Gesù li richiama a bere il suo calice e a immergersi nella sua morte. Calice e battesimo, metafora del loro destino che è il martirio, il dono della loro vita.

È l’occasione per Gesù di precisare in quale logica deve porsi chi lo segue. La logica del mondo e dei grandi del mondo si fonda sul predominio – come è sotto i nostri occhi in questo tempo di conflitti tra potenti e potenze disposti alla guerra totale –, ma secondo Gesù questi sono vittime di un errore perché dimenticano da chi l’hanno ricevuto il potere.  E, comunque, questa non può mai essere la logica della comunità dei discepoli che si fonda su un ribaltamento radicale dei criteri che guidano la vita. Chi vuole il primo posto significa che accetta di essere servo. Essere primi significa essere schiavi degli altri. È una logica paradossale ma è quella che ha preso corpo nel Figlio dell’uomo che è venuto «per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).

Il fondamento della nostra logica di discepoli è Cristo. La logica cristiana ha un fondamento cristologico. Chi appartiene a Cristo pensa e vive come Cristo. Cristo è il Messia. E Gesù ha questa concezione messianica, interpreta il suo essere Messia non secondo una logica di potere e di onnipotenza, ma di servizio e di debolezza.  Lo guida  è lo sostiene lo Spirito di Dio, non il ‘sentire’ mondano: «Tra voi però non è così» (Mc 10,43).

La sua è una presa di distanza da ogni forma di potere. È l’assunzione di una solidarietà piena con la miseria umana. Così Dio opera la salvezza nel suo Cristo. Il «riscatto per molti» ricorda Is 52,12: «È stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti». È la salvezza delle moltitudini che è in gioco.

È questa la nostra scelta decisiva. Si tratta di una scelta esistenziale sistenuta dalla fede in Cristo: o continuare a cercare di salvarsi da soli la vita, ma al rischio di perderla, o accettare che la si ritrovi nell’abbassamento del Figlio dell’uomo accolto e amato come Messia e Signore. Scegliere che la vita trovi senso in lui e che la nostra vita sia da lui riscattata. Questa è la fede per noi cristiani: rimettere la nostra vita nelle mani di Cristo, seguirne le orme. In un abbandono totale della nostra esistenza nelle mani di Cristo nella rinuncia da parte nostra a essere padroni della nostra vita. A Dio solo appartiene. Rosalia ce lo insegna!

Essa viene salvata solo quando è riscattata da Cristo. Questa è la testimonianza di S. Rosalia e proprio per questo la sua vita è stata capace di riscattare altri anche dopo la sua morte; per questo il suo corpo cristificato è capace di emanare salvezza, libera ancora energia messianica. Questa è la chiamata cristiana: la nostra vita appartiene a Cristo, il Messia. È lui che la salva e solo così può partecipare alla sua azione salvifica. I nostri corpi che non predano altri corpi, ma salvano, liberano, accolgono, curano, abbracciano, pacificano.  A Palermo e nelle nostre Città martoriate da violenza, lutti e povertà. Nella Casa comune che abitiamo, il Pianeta Terra, flagellata da devastanti guerre fratricide.

Questa è la fede cristiana che la nostra amata Santuzza ci vuole aiutare a rinsaldare, a rivitalizzare, a far fruttificare di opere degne del nome che portiamo: cristiani. Di opere messianiche. Rusulia ad unu sulu purtava l’amuri /a Gesù Cristu nostru Ridinturi cunsidirava cu perfettu amuri.

 

In allegato: Messaggio Arcivescovo per il IV Centenario del ritrovamento del corpo di Santa Rosalia