“Finchè c’è tempo…”, il monito di Dossetti in questo snodo della storia segnata da guerre, squilibri e discriminazioni

All'Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice il "Premio per la Pace Giusppe Dossetti". La cerimonia nella Sala del Tricolore di Reggio Emilia. "Don Giuseppe Dossetti, un riferimento permanente nel mio servizio alla Chiesa". Il costante richiamo all'insegnamento del Vangelo e alla Costituzione

E’ stato assegnato a Monsignor Corrado Lorefice, Arcivescovo Metropolita di Palermo, i XIII Premio per la Pace intitolato a Giuseppe Dossetti. Mons. Lorefice è stato candidato al Premio dalla “Consulta per la Pace, la non violenza, i diritti umani e il disarmo” del Comune di Palermo insieme al Punto Pace Pax Christi e al Mir del capoluogo siciliano. Studioso di Giuseppe Dossetti (che fu esponente della Resistenza, giurista, politico e padre costituente, poi sacerdote e monaco cattolico) e dell’Arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro (dal 1952 al 1968), Monsignor Lorefice ha meritato il Premio “per la sua azione costante verso la pace, il dialogo interreligioso, la cura, la carità e l’attenzione ai poveri”.

La proclamazione del vincitore di questa XIII edizione del Premio – promosso da Comune di Reggio Emilia, Comune di Cavriago, Provincia di Reggio Emilia e Regione Emilia-Romagna – ha avuto luogo oggi a Reggio Emilia nella Sala del Tricolore alla presenza delle autorità istituzionali, dei componenti della giuria presieduta da Pierluigi Castagnetti e di diverse scolaresche.

Mons. Corrado Lorefice è autore del volume “Dossetti e Lercaro. La Chiesa povera e dei poveri nella propsettiva del Concilio Vaticano II (2011, Edizioni Paoline).

         

Dall’intervento di Mons. Corrado Lorefice (Reggio Emilia, 13 maggio 2022):

Quel monito di Dossetti, «finché ci sia tempo… finché c’è tempo…», che già tuonava anche nell’epocale discorso del Card. Lercaro, sono certo abbia continuato a risuonare nella coscienza di chiunque l’abbia riascoltato nel frangente di queste settimane. Proprio questa parola, «coscienza», ci accorgiamo essere quella che si illumina, si ripete, giunge fino a noi: a noi, uomini e donne del nostro tempo, che condividiamo questo decisivo snodo della storia.

Ringrazio commosso chi ha scelto proprio me come candidato a ricevere questo Premio, nel nome di una figura come Giuseppe Dossetti, a cui ho dedicato a lungo e con passione gran parte dei miei studi, una figura che ho citato in quasi tutti i discorsi, le omelie, le conferenze, le interviste della mia vita e a cui ispiro ogni giorno l’interpretazione del mio servizio pastorale. Ma non posso nascondervi i dubbi che mi accompagnano nel venire a riceverlo. Non posso fare a meno di chiedermi: cosa vuol dire essere destinatari un “Premio per la Pace” in un momento come questo? Con quale ulteriore responsabilità mi interpella? Verso quale tipo di testimonianza ancora una volta mi spinge? In che modo parla a me quel «finché c’è tempo…» che questo Premio giustifica?

Sono venuto qui convinto che la strada giusta sia quella di farci raggiungere insieme da queste domande, forti della possibilità di rispondere facendo leva sulla memoria e sui valori che ci accomunano innanzitutto come cittadini italiani. Chi mi conosce sa quanto spesso, proprio nel solco di Dossetti, mi piaccia citare la Costituzione insieme al Vangelo. E come non ricordare oggi che la Costituzione è stata frutto di quella «coscienza» che dolorosamente abbiamo maturato – come italiani, come europei – accettando di imparare dalla ferocia devastante che come popolo avevamo tragicamente subito!

Il 5 dicembre del 2015, nel mio primo discorso da Arcivescovo alla città di Palermo, nella piazza della Casa comunale, ho puntualmente, inevitabilmente direi, chiamato in causa il nostro caro don Giuseppe Dossetti, ricordando la sua ostinazione nella difesa dell’articolo 3 della Costituzione – «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» – e affermando lì, a Piazza Pretoria,  a ridosso dai Quattro Canti della città, che proprio come cittadini, ognuno nella propria responsabilità e nel proprio ruolo, siamo chiamati a renderlo reale quell’articolo 3 nella nostra pratica quotidiana, nella vita di ogni giorno.

Oggi, in una data per me altrettanto significativa, coinvolgo ancora una volta il mio caro don Giuseppe richiamando invece la sua ostinazione per la difesa dell’articolo 11 della Costituzione – «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» – e invitandovi a riflettere insieme su come siamo chiamati a rendere reale questo ripudio nella nostra pratica quotidiana, nella vita di ogni giorno.

Rifuggo dalle facili ricette e dalle contrapposizioni manichee. Sono convinto della complessità della storia e della vita, nella quale come cristiani siamo chiamati a immergerci ben prima di giudicarla dall’alto di verità precostituite. Continuiamo insomma a interrogarci su come si faccia a tenere assieme la resistenza all’invasore, la differenza tra aggressore e aggredito (che non può essere sottaciuta o mistificata), e la ricerca necessaria dei passi di chi annuncia la pace, dell’orizzonte di pace in cui ogni azione autenticamente umana deve collocarsi, affinché giustizia e pace possano giungere a ‘baciarsi’ (cfr Sal 84,11) dentro la contraddizione cocente dei nostri giorni. So però con certezza una sola cosa, che ho imparato dall’altro dei miei ‘maestri’, e mi riferisco a Dietrich Bonhoeffer: non è possibile sfuggire alla dimensione costitutiva della responsabilità personale dentro la temperie della storia, all’assunzione del peso delle cose, anche della colpa propria e dell’altro, del coinvolgimento pieno e senza sconti nelle vicende tragiche della storia collettiva. Fino alla «sostituzione vicaria», all’assunzione della responsabilità dell’azione in luogo di un altro, secondo l’essere di Cristo, il quale è vissuto «solo come colui che ha assunto e porta in sé l’io di tutti gli uomini»: «il suo vivere, fare, soffrire, nella loro interezza, furono sostituzione vicaria» (D. Bonhoeffer, Etica). Senza questo moto sofferto e necessario, senza questo mettersi in gioco senza la sicurezza di posizioni precostituite, si rischia la sterile accademia.

Ai tanti giovani che sono qui oggi, ricordo che fu proprio Giuseppe Dossetti a volerlo, questo articolo 11 della nostra Costituzione: fu lui a convincere l’Assemblea Costituente a votarne all’unanimità la formulazione, lui stesso più avanti a sottolineare come portasse «l’impronta di uno spirito universale e in certo modo trans temporale» (I valori della Costituzione). Ma anche lui stesso, purtroppo, a sottolineare tante volte, soprattutto negli ultimi anni della sua vita, come ne fosse stato eluso lo spirito nella debolezza di scarse politiche preventive, nella timida diffusione di una nuova consapevolezza sociale, nella scarsa priorità data alla promozione di una vera cultura del dialogo.

Cosa accomuna l’articolo 3 e l’articolo 11 della Costituzione? Entrambi ci dicono che caratteristica essenziale della Costituzione Repubblicana è quella di disegnare un grande progetto di convivenza civile. L’articolo 3, stabilendo che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona, stabilisce la via per l’attuazione di questa convivenza nell’ambito dei nostri confini nazionali; ma l’articolo 11, nella stessa prospettiva, fondando e affermando la vocazione pacifista del nostro Paese, stabilisce questa via nell’ambito delle relazioni internazionali.

Oggi comprendiamo più che mai l’importanza del loro intreccio e della loro compresenza: non c’è contesto di violenza dove possano mai attecchire le condizioni per educarci a vicenda al rispetto dell’uguaglianza e della dignità umana.  E proprio con queste premesse – e guardando alla storia che si sta scrivendo davanti ai nostri occhi in queste ore – comprendiamo anche da cristiani fino a che punto tutto questo abbia a che fare col Vangelo, come questa stessa sia la forma del Vangelo che è chiamata a diventare sostanza viva nelle nostre vite, nelle nostre relazioni, nelle nostre scelte: scelte con le quali siamo chiamati anche individualmente a riconoscere ad ogni uomo che incontriamo il diritto di essere libero; scelte con le quali, al posto della miopia dei piccoli diritti esclusivi che preparano un futuro di dolore e di guerra, possiamo scrivere insieme l’unico grande diritto della pace, del bene per tutti, del rispetto di ogni vita. Il diritto e il dovere di abitare come fratelli e sorelle la ‘casa comune’ che è la Terra.

Ecco, le scelte con cui Papa Francesco ci ha guidati e accompagnati in questi anni del suo pontificato, ci indicano chiaramente in che modo la Chiesa debba cogliere questi segni dei tempi, facendosi veramente operatrice di pace nella grande città umana, in ascolto di tutti e accanto a tutti.

  • in allegato: “Finché c’è tempo…” – Intervento Mons. Corrado Lorefice XIII Premio Pace Dossetti
  • https://www.comune.re.it/premiodossetti