Messaggio dell’Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice per l’Avvento 2024
in vista del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025
Carissime, Carissimi,
nel volto della Chiesa, comunità discepolare del Crocifisso Risorto, può e deve rifulgere sempre il suo desiderio più intimo e struggente: «Il suo sguardo passa oltre, al di sopra di tutto ciò, verso colui che solo essa ama, che solo essa cerca» (O. Casel), «Cristo Gesù nostra speranza» (1Tt 1,1).
Nel tempo liturgico dell’Avvento – che ancora una volta ci viene donato – si concentra particolarmente tutta la speranza di ogni comunità cristiana. La Chiesa che Gesù, il Figlio di Dio venuto nella carne, morto, risorto e asceso al Cielo, ha unito a sé come sua Sposa, infatti, vive nell’attesa dello Sposo, sicura della sua ultima e gloriosa venuta. Per questo, quando prega il Padre Nostro, fa sua con gioiosa consapevolezza l’invocazione: «Venga il tuo regno» e, celebrando l’Eucaristia, esclama: «Nell’attesa della tua venuta». Così, attraverso la preghiera liturgica, pregusta già tutta la gioia della Terra nuova e dei Cieli nuovi.
La Chiesa nel tempo liturgico dell’Avvento è contemplativa, mistica, capace di avere ‘visioni’ e parole di profezia che la animano nel travaglio del mondo: «Vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo» (Ap 21,1-2).
Desiderio e attesa, fiducia e speranza connotano il cammino dei credenti in Cristo nella storia. Nel desiderio e nell’attesa della Chiesa sono racchiusi la sofferenza, l’inquietudine e l’ardente aspettativa dell’umanità intera. Lo sottolinea Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025: «Noi, invece, in virtù della speranza nella quale siamo stati salvati, guardando al tempo che scorre, abbiamo la certezza che la storia dell’umanità e quella di ciascuno di noi non corrono verso un punto cieco o un baratro oscuro, ma sono orientate all’incontro con il Signore della gloria. Viviamo dunque nell’attesa del suo ritorno e nella speranza di vivere per sempre in Lui: è con questo spirito che facciamo nostra la commossa invocazione dei primi cristiani, con la quale termina la Sacra Scrittura: “Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22,20)» (Spes non confundit, n.19). I discepoli e le discepole del Crocifisso Risorto, l’Atteso presente e il Veniente già Venuto, diventano, con e come Maria, per quanti incontrano nel loro concreto cammino umano, «segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cfr. 2Pt 3,10)» (Lumen gentium, 68).
Il tempo di Avvento ci introduce nel nuovo Anno liturgico, ma anche nel Giubileo Ordinario, nell’ «anno di grazia del Signore» (Lc 4,19), che avrà inizio il 24 dicembre con l’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro in Vaticano. Nella Bolla di indizione, Papa Francesco indica la speranza come messaggio centrale del prossimo Giubileo. La Chiesa in questo cambiamento d’epoca – come afferma il Santo Padre –, ha il compito di contribuire a «rianimare la speranza». In un mondo lacerato da discordie, sopraffatto dalla paura per il rischio di una guerra totale, dove prevale la globalizzazione dell’indifferenza, la ricerca ossessiva del profitto e la cultura della morte, «abbiamo bisogno di “abbondare nella speranza” (cfr. Rm 15,13) per testimoniare in modo credibile e attraente la fede e l’amore che portiamo nel cuore; perché la fede sia gioiosa, la carità entusiasta; perché ognuno sia in grado di donare anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, sapendo che, nello Spirito di Gesù, ciò può diventare per chi lo riceve un seme fecondo di speranza» (Spes non confundit, n.18).
La domenica successiva, il 29 dicembre 2024, Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe, la nostra Comunità diocesana celebrerà l’apertura del Giubileo nella chiesa Cattedrale. Vi invito a partecipare e a convenire da tutte le Comunità parrocchiali e religiose e dalle Aggregazioni laicali nella gioia della comunione fraterna. Anche nel nostro territorio, nei nostri ambiti esistenziali e nelle nostre comunità ecclesiali abbiamo l’urgenza di «rianimare la speranza». Essa «rifà ciò che l’abitudine disfa. È la sorgente di tutte le nascite spirituali, di ogni libertà, di ogni novità. Semina cominciamenti là dove l’abitudine immette morte» (E. Mounier).
Per questo desidero consegnare alla mia e nostra amata Chiesa palermitana, come “manifesto programmatico” per l’Anno Santo, il prezioso, nonché sempre attuale, testo dell’A Diogneto. È un breve trattato (II/III secolo d. C.) che continua ad emanare fascino con la sua capacità di presentare in maniera vivida gli elementi essenziali del cristianesimo e l’icona di una comunità cristiana consapevole di sé, del suo compito e del suo destino, senza trascurare l’impatto umano, la parola sapiente, la forza comunicativa al di là di ogni steccato di appartenenza religiosa, di credenza e di cultura. E in particolare vorrei proporvi il capitolo V dove si evince quell’irrinunciabile aspetto “paradossale” che deve connotare la presenza della Chiesa nel mondo: «I cristiani infatti non sono separati da tutti gli altri uomini e non si distinguono da loro per territorio, per lingua o per vesti. Non abitano in città proprie, non usano un dialetto strano, né conducono un tipo di vita straordinario. Certo, l’insegnamento che essi hanno trovato non è frutto dell’invenzione di uomini esagitati, né difendono, come alcuni, una dottrina meramente umana. Sparsi invece fra città greche e barbare, come ciascuno ha ricevuto in sorte, seguono le abitudini del posto riguardo al modo di regolare la vita, di vestire, di mangiare e per tutte le altre cose. Nondimeno, essi hanno un modo di essere cittadini che stupisce ed è generalmente riconosciuto come paradossale. Abitano infatti la loro patria ma da stranieri; di tutto sono partecipi come cittadini e a tutto si sottopongono come forestieri; ogni terra è la loro patria e ogni patria è per loro terra straniera. Come tutti si sposano, e fanno figli, ma non abbandonano i loro nati. Condividono la mensa, ma non il letto. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. La terra è la loro dimora, ma la abitano da cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi, ma con la loro vita superano la legge. Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Sconosciuti, eppure condannati. Messi a morte, ma datori di vita. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto sovrabbondano. Sono infamati, e questa infamia è la loro gloria. Maledetti, e giustificati. Nel dileggio, benedicono. Nell’oltraggio, rendono onore. Pur facendo il bene, sono puniti come malfattori; castigati, esultano di gioia come chi porta la vita».
Il Signore è venuto nella carne, viene nell’oggi della storia, verrà nella gloria alla fine dei tempi. A Lui la gloria e la lode nei secoli. Ci trovi vigilanti nella preghiera, ferventi nella fede, operosi nella carità verso i poveri, fedeli al comandamento dell’amore fraterno, saldi nella speranza.
Vi benedico con affetto, certo della vostra preghiera e del vostro sostegno per il mio arduo compito di animatore tra voi della speranza della Parusia del Signore.
Palermo, 30 novembre 2024