Diversi anni fa, prima che iniziasse il processo diocesano che domani porterà a proclamare Beato Rosario Livatino, un racconto puntuale e commosso del magistrato ucciso ce lo fornì Ida Abate, sua insegnante al liceo; un racconto che inizia dall’agenda dell’anno 1990 che gli investigatori trovarono tra le sterpaglie del vallone dove Rosario Livatino trovò la morte. Nella prima pagina spiccava una sigla, “STD”. Cosa poteva significare? Certamente doveva avere un senso dal momento che era stata scritta dalla mano ferma del magistrato. Il pool investigativo scomodò persino esperti di enigmistica a Roma, nella speranza di trovare una soluzione a quello che fu definito “il giallo delle tre lettere”. Fu vano ogni tentativo di decifrazione. Alcuni mesi dopo il delitto, un giornalista svelò il mistero ricordando la figura di Rosario Livatino, “giovane magistrato indipendente, incorruttibile e trasparente, condannato a morte in quanto reo di essere pericolosamente onesto”. «Rosario Livatino – disse il giornalista – aderiva ad un partito che aveva una sigla, STD, Sub Tutela Dei: questo il partito del giudice Livatino, questo e non altri!». Quella STD si trova in tutte le agende del magistrato e ricorda le invocazioni con le quali, in età medievale, si chiedeva divina assistenza nell’adempimento dei pubblici uffici. Per il suo non facile compito di “amministrare giustizia”, Rosario Livatino chiedeva incessantemente la divina protezione.
Questo “piccolo giudice dalla faccia pulita” di 38 anni sosteneva che il compito del magistrato è quello di decidere; e decidere significa scegliere, scegliere tra numerose cose, strade, soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Rosario Livatino, dopo aver vinto il concorso in magistratura, iniziò a lavorare che doveva compiere 27 anni. Divenne in breve tempo un profondo conoscitore delle dinamiche mafiose dell’Agrigentino. «Di lui apprezzavamo il rigore, innanzitutto con sé stesso», dicono oggi i suoi colleghi magistrati che aggiungono come fosse coerente e “nemico” della superficialità e dell’approssimazione”. «Dinanzi all’Eterno non ci sarà chiesto se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili»: Rosario Livatino – sono sue queste parole – era credente e credibile e pagò con la vita il culto della verità e della giustizia. Ieri i Vescovi siciliani hanno voluto sottolineare la bellezza del rigore di fronte alle proprie scelte: «Dal Beato Rosario Livatino – scrivono i Vescovi siciliani –, annoverato oggi insieme al Beato Pino Puglisi nella lunga schiera di profeti e martiri del nostro tempo e della nostra terra, impariamo che la santità ha il sapore della speranza che non si arrende, della coerenza che non si piega e dell’impegno che non si tira indietro, perché ogni angolo buio del mondo – compreso il nostro – abbia l’opportunità di rialzarsi e guardare lontano». La scelta operata da Rosario Livatino e da Don Pino Puglisi, entrambi “Sub Tutela Dei”, è stata quella di essere operatori della promozione umana soprattutto con la parola del Vangelo.