“Perché dalle ceneri e dal sangue rinasca la vita”

Le Chiese di Palermo e Monreale unite nella preghiera e nella speranza durante la preghiera sul sagrato della Parrocchia San Filippo Neri, Le parole degli Arcivescovi Mons. Corrado Lorefice e Mons. Gualtiero Isacchi / LIBRETTO VEGLIA / PHOTOGALLERY

(LP)  “Dal sangue e dalle ceneri può rinascere la vita”: il momento di preghiera offerto dalla Chiesa di Palermo e dalla Chiesa di Monreale sul sagrato della Parrocchia San Filippo Neri del quartiere ZEN a una settimana dall’uccisione del giovane Paolo Taormina ha rappresentato la volontà di essere insieme per realizzare una città degli uomini senza violenza, senza sopraffazione, senza realtà di marginalità e senza periferie esistenziali prima ancora che geografiche.

In centinaia – semplici cittadini provenienti da tutti quartieri del capoluogo, rappresentanti di gruppo, movimenti e associazioni, rappresentanti delle istituzioni – si sono ritrovati attorno a Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo e a Mons. Gualtieri Isacchi, Arcivescovo di Monreale (la città di Monreale, nei mesi scorsi, è stata teatro di una sparatoria in cui sono morti tre giovani). “La città di Palermo – ha sottolineato Mons. Corrado Lorefice – deve essere in grado di rifiutare la violenza, la cultura della morte, l’idolatria del denaro e del potere”.

Il quartiere ZEN, spesso raccontato solo per le sue ferite, l’assenza di servizi, il degrado, le tensioni, in questa occasione ha saputo farsi grembo di silenzio, preghiera e dignità: la veglia di preghiera è stata un momento di ascolto profondo e di responsabilità condivisa. Mons. Corrado Lorefice: “Non bastano gli eserciti. Dobbiamo assumerci la sfida di essere villaggio educante, accanto soprattutto ai più fragili e nelle periferie. Dobbiamo gridare ai giovani che le organizzazioni criminali non vogliono la loro felicità e dobbiamo ricordarci che il centro della città è dove è la persona. Dobbiamo cambiare stile, Palermo deve ripartire dal basso e avere la passione per tutti, specie per chi non è destinatario dei beni essenziali. Anche chi ha compiti istituzionali deve essere capace di coraggio, di ripartire dalla gente e dalle periferie esistenziali”. Ha fatto eco Mons. Gualtiero Isacchi: “La logica violenta della sopraffazione, tipicamente mafiosa, mira a cancellare la coscienza e la dignità umana, a spegnere la speranza e a condannare la persona alla rassegnazione. Il problema non è lo Zen, non sono le vie di Palermo e Monreale, la città appartiene agli uomini e alle donne di pace, a coloro che credono nella giustizia; dobbiamo vivere questo luogo con speranza. La gioia vera non sta nelle armi o nella sopraffazione ma nel sentirsi amati. Gridiamolo nelle scuole, sui social, raccontiamolo ai giovani. Lo Zen è casa nostra, casa di ciascuno di noi».

Entrambi i Presuli hanno poi evidenziato un aspetto fondamentale: “Non siamo venuti per condannare questo quartiere, siamo qui per dire che la vita è sacra, che ogni violenza è un fallimento, e che lo Zen può essere anche luogo di rinascita”.

“Il quartiere viene additato in maniera banale e violenta – dice il parroco, padre Giovanni Giannalia -. C’è tantissima gente disposta a fare il bene e farlo qui è più faticoso che altrove. La violenza giovanile preoccupa: tre morti a Monreale, uno a Palermo. La situazione è fuori controllo, un’emergenza. Certi personaggi non devono apparire come dominanti, altrimenti scatta l’emulazione. Io un prete di frontiera? Tutti i sacerdoti lo siamo. Ovunque incontriamo il male e dobbiamo combatterlo”.

Infine, l’intervento del magistrato Antonio Balsamo: “Totò Riina è uno che ha sprecato la sua vita, quando è morto non aveva nessuno accanto. Dal male nasce il male, Salvatore Riina è un falso mito”. Balsamo ha poi offerto una certezza: “Don Pino Puglisi oggi verrebbe allo Zen perché questo quartiere è Palermo e il futuro della città dipende da quartieri come questo. Sarebbe bello che un giorno da qui partisse un’esperienza collettiva”.

Non a caso l’Arcivescovo, introducendo la preghiera, ha citato il Beato Don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993: “Don Pino Puglisi nella relazione Mafia e Chiesa, parlando del Centro Parrocchiale “Padre nostro” da lui voluto a Brancaccio, affermava: «Io ci credo a tutte quelle forme di studio, di protesta, di corsi, perché logicamente questa è una diffusione di una cultura diversa, perché la mafiosità si nutre di tutta una cultura, quella della illegalità. […] è giusto che si parli, questa mi sembra un’opera che bisognerebbe portare avanti in modo più capillare possibile. […] si deve stare molto attenti, non ci si fermi alle proteste, ai cortei, alle denunce, che non ci si fermi a questo. Io non voglio dire che non valgono, valgono! Però se ci si ferma qui sono parole soltanto, perché le parole vengono convalidate dai fatti. Noi abbiamo quasi 50 anni di parole […] parole, belle parole […] non cadiamo anche noi in questo tipo di stile, attenzione quindi, il discorso che stanno facendo i volontari credo sia una cosa che deve essere un segno. […] il bambino capirà concretamente i gesti che si vanno facendo, capirà anche quei momenti di gioco, quei momenti di convivenza, vissuti con un determinato stile, in un determinato modo […]. Quello che importa […] è il vedere che due adulti qui si trattano con rispetto, che sono in sintonia tra loro, e questo dà a loro la possibilità di vedere le cose in modo diverso […]. Quindi è chiaro che diventa una controproposta anche per noi, perché per loro quello che conta è guadagnare ad ogni costo, anche se si smercia morte (droga). Una suora o un volontario che vanno lì con senso di gratuità […] per quel senso di solidarietà […] e anche di amore cristiano, già anche questa è una controproposta»”.

Photogallery: Arcidiocesi di Monreale, Live Sicilia, Francesco Citarda, UCSI Palermo

 

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