La comunità ecclesiale di Palermo gioisce per la beatificazione del Servo di Dio Rosario Livatino, così come testimoniato dalle parole dell’Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice: «Non possiamo che salutare con grande gioia questo dono che la Chiesa oggi riconosce e che adesso ci riconsegna. Figure come quella del giudice Rosario Livatino possono arricchire l’oggi delle nostre comunità e delle Chiese locali, il loro mandato testimoniale: un annuncio gioioso e audace del Vangelo che genera una trasformazione sociale in termini di riscatto e di liberazione».
Nei mesi scorsi la Congregazione delle Cause dei Santi ha promulgato il decreto che riconosce il martirio “in odium fidei” del magistrato ucciso a 38 anni di età dalla mafia agrigentina, il 21 settembre 1990, lungo la strada che da Canicattì conduce ad Agrigento.
«Questo riconoscimento da parte della Chiesa – ha proseguito l’Arcivescovo – mette in luce chiaramente che la fede cristiana va incarnata nella vita ordinaria. È quanto mai attuale la celebre affermazione del giudice Livatino: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”. Come quella del Cristo la vita dei cristiani non può che essere un’esistenza messianica. E la professione, in particolare, è lo spazio naturale della testimonianza cristiana, l’altare dove si esprimere il culto della vita. Una vita interpretata come servizio, sulle orme di Cristo Messia-Servo. Per ciò che ha rappresentato e continua a rappresentare Rosario Livatino, la sua testimonianza è particolarmente significativa per la nostra terra che ha bisogno di ripensarsi a partire dall’alto valore della giustizia e della solidarietà nel bene. La nostra isola che conosce il gemito dell’oppressione del male nelle sue variegate, subdole e devastanti forme, necessita ancora di donne e di uomini ispirati dal Vangelo che permettano ad altri di diventare soggetti liberi.
È ancor più significativo, a tal proposito, che la beatificazione del giudice Livatino giunga in un momento storico in cui innanzitutto la Chiesa che opera in questa terra si trova a stare accanto a cittadini, famiglie, giovani che stanno attraversando le drammatiche ripercussioni economiche e sociali della pandemia, una condizione che si manifesta sempre più chiaramente come fertilissimo terreno per nuove e sempre più capillari forme di penetrazione mafiosa per profitti e speculazioni.
Nel comune sforzo che oggi come trent’anni fa viene chiesto a tutti noi, questa beatificazione ci chiama ad un “martirio dell’ordinario”, il martirio di quanti, così come ci ricorda il Vangelo, sono nella mitezza costruttori feriali di giustizia e di pace».