Messaggio di Pasqua dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice

"Maria di Betania e Maria di Magdala: l’eccesso dell’amore e l’audacia della speranza"

MESSAGGIO DI PASQUA

 

Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo

Maria di Betania e Maria di Magdala: l’eccesso dell’amore e l’audacia della speranza

 

          Carissime, Carissimi,

siamo entrati, dopo il cammino quaresimale, nella Settimana Santa che custodisce lo scrigno del Triduo pasquale, in cui facciamo memoria della passione, morte e resurrezione di Gesù. Questi giorni sono il tempo che Dio ha ‘sciupato’ per noi. A Pasqua la Chiesa sa di essere raggiunta dall’eccesso dell’Amore di Dio. È il tempo della manifestazione storica della sua makrothymia, della sua grandezza d’animo, dell’assoluta gratuità con la quale Egli ci ha amato in Cristo e continua a far germogliare la ‘nuova creazione’ che avrà il suo compimento e la sua pienezza nella venuta definitiva del Signore Gesù, nel giorno della Parusia. Lo aveva intuito Maria di Betania, con quello ‘spreco’ di nardo sparso sui piedi del Maestro che stava per donare liberamente e gratuitamente la vita anche per lei, per tutti (cfr Gv 12,1-11). Un «vero prologo della Settimana Santa» (M. Ferrari).

La Pasqua del Signore è anche la Pasqua della Chiesa, di noi discepoli del Crocifisso risorto. «Come diceva S. Agostino il transitus Christi (pasqua di Cristo) si compie e si rinnova nel transitus christianorum (pasqua dei cristiani). La comunità celebrante è parte integrante del mistero celebrato: con il Signore risorge anche la sua Chiesa, che raccoglie il Triduo tra l’ultima cena con Gesù e la prima eucaristia con il Signore» (A. Grillo).

Sentiamo un profondo bisogno di vivere il Triduo pasquale con questa rinnovata consapevolezza. Vi prenderemo parte, nella sua inscindibile unitarietà, sapendo che ogni giorno del Triduo è Pasqua.

Facciamo in modo di riservarci questo tempo perché possa continuare a essere il tempo dello ‘spreco’ salvifico di Dio per noi nella Pasqua del suo Figlio. Perché si rinnovi la nostra esistenza, in ogni suo aspetto, personale e relazionale, così da camminare «in novità di vita» (Rm 6,4), con l’energia trasfigurante deflagrata dal giardino di Gerusalemme in quell’inedito mattino di primavera.

Viviamo la Pasqua annuale, in tutta la sua interezza, nei tre giorni del Triduo e nella cinquantina pasquale, fino a Pentecoste. Certi che la Pasqua genera ed alimenta il mistero del Corpo di Cristo che è la Chiesa, la Santa Assemblea delle discepole e dei discepoli del Signore. Essa infatti, di domenica in domenica (Pasqua della settimana), annuncia la morte e la risurrezione del Signore nell’attesa della sua venuta.

Quanto più le nostre saranno comunità autenticamente pasquali, tanto più si edificheranno come cenacoli di fraternità e di sinodalità, vivificate dallo Spirito del Risorto, ricche di creativa corresponsabilità ministeriale, audaci nella testimonianza del Vangelo alle donne e agli uomini di questo tempo.

Ma sembra una contraddizione stridente formulare un pensiero pasquale in un tempo in cui la storia – dalla pandemia alla guerra in Ucraina – appare bloccata in un Venerdì Santo infinito, che ci fa sentire angosciati e impotenti, proprio come davanti alla croce. La tremenda piaga del Covid-19, la crescente sofferenza dei poveri, la morte degli innocenti e dei giusti, ogni sorta di barbara violazione della nostra umanità, «il vento gelido della guerra» che ci sembrava – lo ha detto Papa Francesco a Malta – solo il ricordo oscuro «di un passato lontano», tornano a farci sentire gettati nel mondo senza protezione.

Ed è adesso che siamo chiamati a fare memoria di una pietra rotolata via da un sepolcro proprio quando sembrava non esserci più speranza. È il racconto del giorno di Pasqua a offrirci una parola e un’ispirazione per il nostro presente.

Nel Vangelo incontriamo una donna, Maria di Magdala, che si prende cura del corpo di Gesù: lo fascia, lo profuma, lo prepara per la sepoltura, corre al sepolcro per rimanergli accanto (cfr Gv 20,1; Mc 16,1-2). Lì si trova in quella mattina di domenica, in quel giorno di luce, e lì incontra il suo Signore. Interpellata dal dolore abissale della croce, la Maddalena non fugge e non si chiude, non si dispera, ma sceglie di rispondere all’appello della situazione. Lo fa in modo umanissimo, responsabile e creativo, ponendo le premesse di un cambiamento inatteso, come se la sua lealtà e il suo coraggio – il suo amore per Gesu! – l’avessero preparata all’evento di Pasqua, rendendola sensibile e aperta a riconoscere il Maestro.

Gli eventi da cui oggi siamo noi a sentirci interpellati potrebbero, allo stesso modo, metterci in cuore la tentazione di lasciarci andare, l’insidia della disperazione, il demone del rancore. Ma possiamo e dobbiamo resistere. Uno sguardo puro sulla nostra vita e sulla lunga durata della storia ci dimostra come la trama delle nostre esistenze sia intessuta ancora di gesti di amore e solidarietà che tengono assieme il mondo: li vediamo accadere proprio là dove divampa la guerra o nelle nostre città ritornate ad accogliere i profughi; li leggiamo come segni di quel bene che nel silenzio rende possibile il vivere e il durare. Ricordo di aver sentito tutto questo, intimamente, nei villaggi del Congo, per le strade di Damasco, dove ho imparato la lezione di tante persone toccate dalla povertà, dall’ingiustizia, ma capaci di vivere un contatto autentico, di godere dell’incontro, di sorridere alla giornata.

Questo enorme potenziale di fiducia e di relazione ha attraversato la storia millenaria degli umani, ci ha consentito, nel tempo, di percepire il valore immenso dell’esistenza, di condannare la schiavitù, di indignarci dinanzi a ogni forma di discriminazione e di disprezzo della vita, di operare la liberazione dei popoli attraverso l’azione nonviolenta.

Su questo Golgota dei nostri giorni assistiamo ancora alle conseguenze del potere delle armi, della spartizione e divisione del pianeta, del gelido realismo della geopolitica. Chiediamoci qual è la responsabilità che possiamo assumerci per contribuire a costruire davvero un nuovo ordine del mondo, un ordine di rispetto, di fraternità, di dialogo, di compassione, dove non vinca la logica della contrapposizione e della forza ma quella della cooperazione e della corresponsabilità. È tempo infatti di una ritrovata ‘co-responsabilità’. Perché oggi siamo ben consapevoli di cosa intendiamo quando diciamo che ne va del futuro di tutti e del pianeta che abitiamo. «L’essenza dell’ottimismo – come scriveva nell’imperversare della bufera nazista Dietrich Bonhoeffer – non è guardare al di là della situazione presente, ma è una forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tener alta la testa quando sembra che ogni cosa vada per il verso sbagliato, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per sé».

Risuonino in ognuno di noi le incoraggianti parole dell’Apostolo Paolo: in Gesù di Nazareth morto e risorto è stata confermata la fede di chi, come Abramo, ha creduto «sperando contro ogni speranza» (Rom 4,18). In ogni cuore il vento dello Spirito continui a spirare, a parlarci, a darci il coraggio dei miti e dei costruttori di pace di ogni tempo.

Buona Pasqua a tutti!

Palermo, 10 aprile 2022, Domenica delle Palme e della Passione del Signore