Messa Crismale 2018

Inizio salutandovi tutti con affetto.
A voi fratelli nel sacerdozio, a voi popolo di Dio, a voi donne e uomini di buona volontà: gioia piena e vita in abbondanza in questa Eucaristia e da questa Eucaristia Crismale!

Il Crisma ci restituisce l’odore di Cristo
Il fascino della celebrazione odierna consiste nella contemplazione del Corpo di Cristo consacrato, Lui, l’Unto per eccellenza, inondato del profumo di Dio.
L’unzione del corpo di Gesù attraversa già i Vangeli. Il gesto fisico è sempre di una donna. Nel vangelo di Luca a profumarlo è una donna peccatrice (cfr Lc 7, 36-50). Si tratta di un gesto di amore gratuito e riconoscente, fonte di scandalo per il fariseo che lo aveva invitato a tavola, sconvolto dall’intimità del contatto di questo rabbi di Galilea con una donna perduta e ferita, che nell’ungere e profumare il corpo del Signore incontra, forse per la prima volta, lo spazio di una alterità viva, accogliente, risanante: l’opposto di quelli che nella vita l’hanno disonorata e avvilita.
C’è un’altra donna, o forse la stessa, a Betania, nell’imminenza della passione. Per Giovanni è la Maria sorella di Marta e di Lazzaro (Gv 12, 1-8). Costei rompe una boccia di alabastro, piena di nardo di pistacchio prezioso, sul corpo di Gesù. A Betania il maestro si lascia andare a una rivendicazione fortissima, di fronte alle critiche di Giuda per il presunto spreco di olio e di balsami messo in atto da colei che lo inonda di nardo. Gesù dice che Lui è il Consacrato, l’Unto. Maria anticipa e dà vita col suo gesto al soave odore del corpo di Gesù, consegnato alla morte per la vita di tutti. È Origene a svelarci però il mistero e il senso più profondo di quanto sta accadendo; in verità è Cristo che profuma Maria: «il mio nardo – dice la sposa – cosparso sul corpo di Cristo, mi ha restituito l’odore di lui» (Commento al Cantico dei cantici, II, 1,12).
In Maria siamo adombrati tutti noi. Oggi è la festa dell’Olio e del profumo. Oggi celebriamo il Corpo di Cristo, l’Unto di Dio, che dona il proprio Olio e il proprio profumo al suo Corpo vero: la Chiesa. L’Olio che ci fa nascere, l’Olio che ci rende maturi, l’Olio che si prende cura delle nostre ferite. È lo stesso Olio che unge e consacra vescovi e presbiteri, per renderli ‘capaci’ di ungere il corpo della Chiesa. Siamo di fronte quindi ad una triplice unzione: unto è il Corpo di Gesù Messia, il Cristo di Dio; unto il Corpo della Chiesa; e, in essa, unto il corpo dei cristiani che presiedono alla celebrazione dell’Eucaristia, centro della vita comunitaria, dove il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue del Signore, e dove oggi l’olio frutto della terra e delle fatiche dell’uomo si tramuta in Olio crismatico di Salvezza.
Se l’Olio unge il triplice Corpo di Cristo, l’Odore che esso promana si diffonde in favore di tutti, raggiunge il mondo. In Cristo l’amore di Dio diventa effluvio soave che inebria l’umanità; in Lui la bellezza di Dio ci contagia. L’effusione di sé appartiene alla natura del profumo: ecco perché esso raggiunge ogni uomo che viene al mondo. Ma non solo. Il profumo si avverte con l’olfatto, con il nostro senso più arcaico, che rimanda sia all’intimità, sia allo spandersi lontano da sé. Ecco la nostra missione: unti per ungere il Corpo di Cristo che è la Chiesa, profumati di Cristo per espandere nel mondo il profumo della ‘Bella Notizia’.
Tutto riassunto mirabilmente dalla preghiera antica: «Accetta per te, Signore, e non rifiutare il mio alito, che io effondo tutto in te […]. Infondi in me il tuo, che profuma in tutto quello che è, affinché – per effetto della soavità del tuo – […] il tuo profumo dolce, o Dolcissimo, d’ora in avanti rimanga sempre in me» (Guglielmo di Saint-Thierry, Preghiere meditate VIII, 7). Come ci ricorda Papa Francesco: «È bene che ‘questa’ realtà ci porti ad andare là […] in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione – e non la funzione –, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù» (Omelia per la Messa Crismale, Giovedì Santo, 28 marzo 2013).
La Messa crismale, che il Vescovo concelebra con voi, cari presbiteri, questa messa durante la quale benedice il Crisma e gli altri Oli, è – a ragione – considerata una delle principali espressioni e manifestazioni della pienezza del ministero del Vescovo, in stretta unione con i ‘suoi’ presbiteri e diaconi. Nello stesso tempo, questa Eucaristia è la fonte da cui scaturisce l’Olio profumato con cui saranno unti coloro che nascono alla fede, coloro che sono dichiarati adulti nella fede e coloro che sono feriti nella carne: il profumo che dobbiamo trasmettere al mondo. Solo perché ‘unti e profumati’ da Cristo possiamo ungere e profumare il popolo il Dio. Per questo, secondo S. Giovanni della Croce, la Sposa nel Cantico dei Cantici chiede allo Sposo la divina seduzione dicendo: «Trahe me post te curremus in odorem unguentorum tuorum» (Cantico, 1,3), che significa: «Attirami dietro a te, correremo al profumo dei tuoi unguenti» (cfr Giovanni della Croce, Cantico spirituale).

L’olio è la ‘Buona Notizia’ che deve profumare il mondo intero
In questo senso, è chiaro che l’Olio è il segno stesso dell’Evangelo. Il Vangelo che annunciamo è l’Olio, l’unguento che penetra fin nelle strutture più intime del nostro corpo e delle nostre anime: è la ‘Buona Notizia’ che deve profumare il mondo intero. Nella scelta antica dell’olio e del profumo è significato che la parola di Dio deve penetrare sin nelle strutture più intime del corpo, delle esistenze umane, della storia tutta, per arrivare fino al povero e all’umile. Da presbiteri del popolo di Dio possiamo dire – e dobbiamo sapere – che il profumo della Messa crismale richiama ed assume l’«odore delle pecore» (Francesco, Omelia per la Messa Crismale, Giovedì Santo, 28 marzo 2013) a cui siamo inviati. La puzza delle pecore e il profumo crismale non sono infatti in contraddizione. Solo se siamo dentro la carne del popolo che serviamo, se ne facciamo nostro l’odore umano, l’essenza vitale e animale della vita di ognuno, possiamo essere gli inviati che versano sulle piaghe e la fatica degli uomini l’olio della Buona Notizia annunziata ai poveri.
La sua Bella Parola, il suo Evangelo è la Dottrina, la Verità nella quale siamo consacrati (cfr Gv 17, 15-19) e, come ricordava Benedetto XVI in una sua Omelia per la Messa Crismale, «Quando parliamo dell’essere consacrati nella verità, non dobbiamo neppure dimenticare che in Gesù Cristo verità e amore sono una cosa sola. Essere immersi in Lui significa essere immersi nella sua bontà, nell’amore vero. L’amore vero non è a buon mercato, può essere anche molto esigente. Oppone resistenza al male, per portare all’uomo il vero bene. Se diventiamo una cosa sola con Cristo, impariamo a riconoscerLo proprio nei sofferenti, nei poveri, nei piccoli di questo mondo; allora diventiamo persone che servono, che riconoscono i fratelli e le sorelle di Lui e in essi incontrano Lui stesso. […] In ultima analisi non veniamo consacrati mediante riti, anche se c’è bisogno di riti. Il lavacro, in cui il Signore ci immerge, è Lui stesso – la Verità in persona. Ordinazione sacerdotale significa: essere immersi in Lui, nella Verità. Appartengo in un modo nuovo a Lui e così agli altri, “affinché venga il suo Regno”. Cari amici, in questa ora del rinnovo delle promesse vogliamo pregare il Signore di farci diventare uomini di verità, uomini di amore, uomini di Dio. Preghiamolo di attirarci sempre più dentro di sé, affinché diventiamo veramente sacerdoti della Nuova Alleanza» (Omelia per la Messa Crismale, Giovedì Santo, 9 aprile 2009).
Così la Messa crismale – epifania della Chiesa, corpo di Cristo, organicamente strutturato, nei vari ministeri e carismi – esprime, per la grazia dello Spirito, i doni nuziali di Cristo alla sua sposa pellegrina nel mondo. La nuova fisionomia, attribuita dalla riforma post-conciliare a questa Eucaristia, rende ancor più chiaro il clima di una vera festa del ministero ordinato all’interno del popolo di Dio tutto sacerdotale, e orienta la nostra attenzione verso il Cristo, il «consacrato per mezzo dell’unzione», inviato alle pecore «del recinto» e a «quelle lontane» (cfr Gv 10, 16).

Una fervida vita spirituale perché si ravvivi in noi la fragranza dell’Olio di Cristo
Ma affinché l’Olio con cui siamo stati unti possa diventare vita nuova nello Spirito, e cioè «vita e gioia», è necessario che viviamo la vita spirituale dei discepoli, che viene alimentata dai tre sacramenti della presenza del Signore: la Parola, il Pane eucaristico, i Poveri. Presupposto fondamentale del servizio ministeriale che ha come fine di sostenere e far crescere nelle nostre comunità la consapevolezza del sacerdozio battesimale celebrato e vissuto nella concretezza della vita. È bene ricordarlo, con gioiosa riconoscenza, in questa Messa del Crisma che celebra sì il sacerdozio ministeriale, ma come intimamente radicato e dinamicamente ordinato al sacerdozio profetico e regale dei battezzati.
La vita spirituale altro non è che entrare sempre in comunione con il Corpo di Cristo per farsi penetrare dal suo Olio, per farsi travolgere dal suo profumo. Che compassione mista a tristezza Giuda! Non sente l’odore del nardo di Maria che genera l’odore di Cristo, e così dalla freddezza del suo cuore (e del suo corpo chiuso) si generano discorsi teologici e filantropici, utili solo a prendere la distanza dall’amore. È la stessa tristezza nostra, cari fratelli nel presbiterato e nel diaconato, quando – permettetemi di dire – facciamo diminuire in noi l’Olio di Cristo che ci dà forza e vigore. Come siamo tristi quando ci chiudiamo al profumo di Cristo che allieta i nostri corpi, le nostre anime, le nostre esistenze!
Accanto a Colui che è l’Unto di Dio noi ci impregniamo di olio e di profumo: riviviamo la bellezza della nostra ordinazione, gustiamo la pienezza dell’essere battezzati, sentiamo la forza della nostra confermazione, il sostegno per le nostre debolezze. Accanto all’Unto di Dio impariamo come ungere il popolo di Dio dell’Olio Santo. Apprendiamo come diffondere agli altri il profumo di Dio. Sant’Agostino, parlando dei presbiteri, scriveva: «E noi che cosa siamo? Ministri (di Cristo), suoi servitori; perché quanto distribuiamo a voi non è cosa nostra, ma lo tiriamo fuori dalla sua dispensa. E anche noi viviamo di essa, perché siamo servi come voi» (Discorso 229/E, 4).
Solo una profonda spiritualità – la comunione con il Signore – e un chiaro senso dell’appartenenza al sacramento dell’Ordine nell’unico presbiterio – la comunione presbiterale attorno al vescovo – ; solo una rilettura di noi stessi, degli altri e degli eventi alla luce del Vangelo può ridare fiducia ai credenti, renderli cristiani adulti e maturi, persone credibili la cui testimonianza possa essere autentica ed efficace in mezzo agli uomini e alle donne del nostro tempo.
Ecco perché il nostro ministero deve partire e tornare costantemente alla lettura pregata della Parola, al Gesto del pane spezzato e del sangue condiviso, a quel mettersi in preghiera di fronte al Signore che ci parla nelle Scritture, nel segno dell’Eucaristia e nel Volto dei più piccoli.
Come scrivevo nella Lettera pastorale Scrivo a voi Padri, scrivo a voi giovani: «È questa l’essenza della “pastorale”, come anche di ciò che chiamiamo “missione”: un movimento di apertura alla sorgente dell’acqua viva, che ci ricrea e ci rinfresca, e che senza soluzione di continuità lascia scorrere questa corrente, che non ci appartiene, incontro alle aridità della vita, alle asperità della storia, in una testimonianza umile e quotidiana della speranza che i discepoli di Gesù si portano dentro» (Lettera pastorale, 2017, 11 ).

Chiamati a custodire e animare nelle comunità una fraternità mistica, contemplativa
Ritorniamo al testo odierno di Luca. Se Gesù entra nella sinagoga e si alza a leggere la Parola è perché è stato unto, perché la Parola è il profumo di cui è stato inondato. Si è unti per nascere, per diventare maturi, per sostenere le sofferenze, e si è unti – parlo anzitutto a noi, cari fratelli nel sacerdozio – per profumare il mondo.
Come non avere, in questo momento, un pensiero grato a Francesco, al Vescovo che guida la Chiesa di Roma e presiede nell’amore all’unità tutte le Chiese? Come non ricordare i confratelli che abbiamo incontrato nella nostra vita e quelli della nostra diocesi? Ed in particolare i confratelli ammalati nell’anima e nel corpo, i confratelli che oggi celebrano ricorrenze particolari? E come non ricordare accanto a loro i fratelli, i poveri più poveri, quelli che urlano o in silenzio abitano i luoghi dell’esclusione, i mari della disperazione e della possessione, gli ospedali, le carceri, le periferie di fame e di violenza? Come non cercarli nei nascondigli della vergogna e della miseria, per dire che il mondo è di tutti e non ci sono esclusi o clandestini nella vita, ma solo donne e uomini che per il loro stesso essere sono fratelli e cittadini del mondo? Tutti – per noi cristiani – figli dello stesso Padre e fratelli nel Cristo.
Ma perché questo accada dobbiamo essere uniti, nel senso più profondo della parola. Cari fratelli, cari figli, sentiamo forte oggi, in questo Giovedì santo, l’appartenenza al presbiterio, l’impegno tipico di chi è costituito a ‘ordinare’ – cioè a servire – la comunione ecclesiale proprio a partire dall’appartenenza all’unico presbiterio. Il vescovo, i presbiteri, i diaconi, come anche i Consacrati e le Consacrate per carisma proprio, siamo chiamati a custodire e animare nelle comunità «una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrappandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono. Proprio in quest’epoca, e anche là dove sono un ‘piccolo gregge’ (Lc 12, 32), i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cfr. Mt 5, 13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza evangelizzatrice in maniera sempre nuova. Non lasciamoci rubare la comunità!» (Francesco, Evangelii gaudium, 92).
Nella prima lettura (Isaia 61, 1-3a. 6a. 8b-9) si parla di stirpe, di discendenza. Dunque una unità! Si dice che gli altri popoli li riconosceranno come stirpe benedetta, ossia unta e profumata. È per noi, cari presbiteri, diaconi, sorelle e fratelli, l’effluvio che emana dal costante sforzo di perseguire l’unità attraverso la conciliazione di opinioni diverse; dalla capacità di ascoltare l’altro e di comprenderne le ragioni anche quando contrastano con le nostre convinzioni; dalla tensione a ricondurre costantemente le diversità di prospettive nell’alveo della ricerca di una maggiore obbedienza al vangelo e alle sue esigenze radicali.
Cari fratelli, facciamoci inondare della gioia di essere stati unti nel Battesimo! Cari fratelli nel ministero ordinato, cantiamo noi per primi la gioia dell’unzione che ci ha inviato. Quanta misericordia, quanto ascolto, quanta riconciliazione, quanto Pane eucaristico, quante parole di luce e di vita il Signore – attraverso noi e nonostante noi – ha donato ai nostri fratelli! Ringraziamolo per questo e sentiamoci uniti nel Cristo Unto e Messia, che annunzia il Regno di pace e di giustizia, che apre la storia all’evento incontenibile e incredibile dell’Amore di Dio, manifestato nella croce del suo Figlio.
Fratelli miei, il vostro Vescovo, da padre e da fratello vi augura, e augura alla sua amata Chiesa di Palermo, a tutti voi che siete qui con noi a celebrare questa Eucaristia, che l’olio dell’unzione e non venga mai meno, per profumare il mondo. Che riempia ogni angolo della terra del «soave odore» del Corpo di Cristo dato per noi. Come dice Paolo ai Corinti: «Siano rese grazie a Dio, […] il quale diffonde per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza nel mondo intero. Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Dio!» (2Cor 2,14-15).
Maria, «Madre del Signore, icona di ogni accoglienza radicale del dono di Grazia» (Corrado Lorefice, Scrivo a voi Padri, scrivo a voi Figli. Lettera pastorale, p. 25) che – come ogni madre – ha profumato il corpo del suo Figlio, ci accompagni sulla strada dell’accoglimento del profumo stesso di Cristo e della consegna di noi stessi alla carne delle nostre sorelle e dei nostri fratelli. Amen.