Lorefice: “Palermitani, alziamoci in piedi. È tempo di stare svegli”

“Cari Amici, non lasciamo in mano a nessuno il nostro destino, non lasciamoci manipolare, prendiamo in mano la nostra vita, la vita e il futuro della nostra Città. Chiunque ha a cuore tutto questo non cerchi risposte semplici, salvatori di comodo, cesari di passaggio. Da questo vascello guardiamo ai nostri testimoni, ai nostri martiri, che possono davvero indicarci le strade per soluzioni creative e partecipate. Lo sappiamo tutti: è il 25° anniversario della morte di don Pino Puglisi. Il suo messaggio deve risuonare a Palermo. Don Pino diceva che “è tempo di rimboccarsi le maniche”, di passare “dalle parole ai fatti”, di fare una proposta diversa rispetto alla “cultura dell’illegalità” promossa dai mafiosi, di adottare un nuovo “stile di vita”.

Ad affermarlo nel suo discorso inviato alla città in occasione della processione del simulacro di Santa Rosalia, l’Arcivescovo, mons. Corrado Lorefice, il quale ha aggiunto: “Mi rivolgo anzitutto alle giovani e ai giovani di questa piazza: ad aiutarvi nella verità non è il politico che vi promette favori, il prete che vi raccomanda, il potente che vi chiede in contraccambio il sacrificio della vostra libertà, non è chi vi dice che risolverà in modo semplicistico e sommario i vostri problemi. Ad aiutarvi è chiunque vi ricordi la bellezza di essere giovani, chiunque abbia rispetto e fiducia in voi, chiunque sia disposto a fare un passo indietro per cedervi strada, chiunque rinnovi in voi la forza dello stare assieme, la speranza di trovare vie nuove, la gioia di vivere passioni non tristi ma vibranti perché fatte di partecipazione e di dono. A darvi una mano sono coloro che vi dicono che un mondo diverso è possibile e che la forbice tra chi ha e chi non ha può essere annullata da un pensiero di autentica condivisione”.

Quindi ha invitato a non restare curvi “perché la nostra terra avrà un futuro se avremo la pazienza, il coraggio, la forza di costruirlo assieme. Questo deve significare ‘Palermo capitale della cultura’. Dobbiamo essere il baluardo della cultura, della nostra grande tradizione, contro l’anti-cultura della mafia che scommette sul fatto che la Sicilia, come temeva e gridava Leonardo Sciascia, sia “irredimibile”. Ma guardando il volto di don Pino (e dei tanti suoi fratelli ideali) facendoci carico della paura e del bisogno, mettendoci assieme, creando nuovi spazi di cura della polis, oltrepassando le secche dell’individualismo e della sfiducia, possiamo arrivare in porto. Coraggio”.

Mons. Lorefice ha quindi rivolto il suo pensiero ai migranti in cerca di una terra dove vivere serenamente. “È la miopia dell’egoismo politico, propugnato da governanti e da politici europei che spesso si vantano – soprattutto nell’Est – di costruire regimi privi delle garanzie e fuori dai confini minimi della democrazia. Di fronte a tutto questo, care sorelle e cari fratelli, la Chiesa non può restare in silenzio, io non posso restare in silenzio. Perché la Chiesa non ha alternative. Essa è stata collocata dal suo Signore accanto ai poveri e ai derelitti della storia, e tutte le volte che è uscita – e quante volte è successo – [è uscita] da quel posto per mettersi accanto ai forti, ai ricchi, ai potenti, ha perso il senso stesso del suo essere”. Il Vangelo rivela il suo DNA se diventa forma vitae, se diventa una carta dei diritti che garantisce la difesa degli ultimi. Ed è questo messaggio che stasera vogliamo lanciare dal vascello di Palermo verso le navi d’Italia e di Europa. Non è questione di accoglienza, non si tratta di essere buoni, ma di essere giusti. Non di fare opere buone, ma di rispettare e, se necessario, ripensare il diritto dei popoli. È in nome del Vangelo che ogni uomo e ogni donna hanno diritto alla vita e alla felicità, perché “non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero in Cristo Gesù” (Gal 3,28), perché il nostro Signore, morendo sulla croce, ha abbattuto – dice ancora Paolo – ogni muro di separazione tra gli uomini. È questa la forma di vita in cui il Vangelo deve incarnarsi per non perdere la sua concretezza storica, quella che gli viene da Gesù di Nazareth, figlio di Maria, custodito da Giuseppe. Gesù di Nazareth nostro fratello che è venuto ad annunciarci che Dio è Padre suo e Padre nostro e che ci ha donato il Suo Spirito, il vero amore che unisce ogni diversità”.