(di Nello Scavo / Avvenire, 25 gennaio 2022) – C’è un indice che non figura nei grafici della pandemia. E bisogna affacciarsi sulle vie dei quartieri più bersagliati per farsene un’idea. Come Brancaccio, che una volta era periferia della Palermo inquinata dalla mafia e oggi è una delle trincee dei guasti da Covid. Partiva anche da qui la gente che nel 2020 era disposta a prendere d’assalto i supermercati fuori città per avere di che mangiare quando tutto si era fermato. E per le vie della parrocchia di San Gaetano, quella del beato don Pino Puglisi ucciso da Cosa Nostra, don Maurizio Francoforte e i volontari della parrocchia si affrettavano a consegnare il necessario a quelle famiglie cui, altrimenti, avrebbe bussato il “servizio sociale” targato Cosa nostra. Perché la mafia da qui non se ne è mai veramente andata.
Don Maurizio è uno di quei sacerdoti che hanno diffuso «tanto bene » durante l’emergenza sanitaria, come ieri ha detto il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, ricordandoli ed elogiandoli durante la sua Introduzione ai lavori del Consiglio permanente. «La pandemia ci ha fatto fare passi indietro», afferma don Francoforte. Tocca alla parrocchia e al Centro Padre Nostro, nato per intuizione da padre Puglisi, fare quello che toccherebbe alle istituzioni. «Siamo come supplenti anche se in fondo chiediamo cose normali». Come un giardinetto attrezzato per far giocare i più piccoli. Oppure nuovi locali per dare casa alla creatività, alle idee, ai talenti. E tenerli alla larga dagli uomini del disonore. Don Maurizio è parroco da una dozzina di anni, e queste «cose normali » le chiede da dieci. Però è qui, dove lo Stato è presente per le commemorazioni e si fa desiderare quando occorre, che si sente quello che il sacerdote chiama «profumo dell’umanità». Se i locali, gli edifici, le sale riunioni non ci sono o non bastano, allora la Chiesa si fa itinerante. E va casa per casa. Tra quei bastioni di cemento armato che il sindaco mafioso Vito Ciancimino piantò al posto degli aranceti per affermare lo strapotere dei corleonesi di Totò Riina e condannare intere generazioni a dipendere unicamente dal favore dei boss.
«La crisi che la pandemia ha portato non è solo di tipo sanitario – osserva il parroco –. La ricaduta economica è stata ed è devastante per una periferia come la nostra». E anche solo aver dovuto limitare le attività pubbliche e i momenti di incontro ha ripercussioni visibili. «Perché vuol dire non riuscire ad incidere come si vorrebbe sul nostro territorio», aggiunge don Francoforte. Se poi si aggiunge «la mancanza e la perdita del lavoro, con famiglie che si ritrovano interamente paralizzate dalla quarantena e che hanno perso ogni possibilità di introito », si comprende con quale facilità si stia rischiando un ritorno al passato. La parrocchia non fa eccezione. Il bilancio del 2021 si è chiuso in deficit. «E se riusciamo ad andare avanti con le iniziative che ci sono consentite, lo dobbiamo ai benefattori e ai pellegrini che vengono sui luoghi di don Pino Puglisi». La mafia, intanto, fa affari su grande scala. Lontano da Brancaccio. Ma nel quartiere separato, non solo urbanisticamente, dal resto dalla città per via della vecchia strada ferrata, ritorna l’università di Cosa Nostra. Piccoli furti, qualche rapina, reati predatori motivati più dal bisogno di mettere insieme qualche soldo che dalla voglia di fare carriera criminale. Però è così che si comincia. «E noi questo non possiamo permettercelo. Le istituzioni devono capire che il bisogno è reale e il pericolo anche», denuncia don Maurizio.
La testimonianza di padre Puglisi però è forte. Ed è sempre dai suoi passi che i fedeli si rimettono in cammino. Cercando soprattutto di non perdere la speranza. Che però è facile da perdere, suggerisce il parroco: «Chi finalmente era riuscito a conquistare un tenore di vita dignitoso, adesso teme di essere di nuovo estromesso a causa della pandemia». E le seduzioni della “mafiosità” sono forti. Specie nel bisogno. «Ci capita di vedere persone che per avere una visita medica tornano a cercare gli amici degli amici, ripristinando un sistema clientelare che speravamo di avere messo all’angolo».