Festino Santa Rosalia Pontificale – Omelia del card. Paolo Romeo

FESTINO DI S. ROSALIA SOLENNE MESSA PONTIFICALE
OMELIA DI S.E. CARD. PAOLO ROMEO
ARCIVESCOVO METROPOLITA DI PALERMO
Cattedrale di Palermo, 15 Luglio 2011

1. Santa Rosalia ci sta davanti ancora una volta in questo giorno solenne nel quale la nostra Palermo ricorda, tra fede e tradizione, il ritrovamento delle sue reliquie e il loro miracoloso passaggio per le vie della Città.
In questa solenne Eucaristia, dinanzi all’Urna che la custodisce, ci lasciamo interpellare dalla Parola di Dio appena proclamata, sull’esempio della Santuzza che per prima lo fece, ascoltando la voce di colui che la chiamava ad una totale e generosa donazione nell’eremitaggio della Quisquina prima, e del Monte Pellegrino dopo.

2. Con la Parola forte, ascoltata nella seconda lettura, l’apostolo Paolo ci ha mostrato tutto il suo cuore di innamorato di Cristo. Egli attribuisce a se stesso persino la qualifica di “folle”: “Oh se poteste sopportare un po’ di follia da parte mia!”.
Perché l’apostolo si attribuisce questa “follia”? Perché è disposto a tutto pur di fare conoscere Cristo ai suoi fratelli e figli. Egli vede la comunità dei credenti, la Chiesa, chiamata come Sposa all’amore dello Sposo, chiamata cioè a quello stesso amore che lui stesso ha sperimentato nella sua vita.

È questo il progetto che custodisce con gelosia. Si dice “divinamente geloso”, con quella gelosia di Dio che desidera che per i suoi figli nessun ostacolo pregiudichi la felicità promessa: “Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo”.
Ma i sentimenti di San Paolo non sono forse anche quelli della nostra Santuzza nei confronti dei palermitani? Anche lei, che ha conosciuto l’amore di Cristo Sposo dal Cielo, desidera riservare la sua amatissima Palermo a queste stesse mistiche nozze. L’intercessione della Santuzza è primariamente a favore della santità dei suoi concittadini! Rosalia desidera prima di tutto che essi cerchino il regno di Dio, la giustizia, l’accoglienza, l’onestà, l’amore … Desidera – come Paolo – il meglio per la Città di Palermo, ossia che ogni palermitano abbracci sul serio Cristo e il suo Vangelo. Vuole cioè renderci tutti partecipi della sua esperienza  e per questo “ci promette tutti al Signore Gesù”, ossia ci sprona ad incontrarlo e frequentarlo, lasciandoci coinvolgere da lui all’abbraccio del suo amore.
Palermo deve essere certa che Rosalia ha a cuore la sua felicità e il suo bene. Guarda a lei come testimone autorevole di un incontro con Cristo che a lei ha aperto il cammino della santità, come anche può farlo per noi.

3. Abbiamo anche ascoltato, come prima lettura, una stupenda pagina tratta dal Cantico dei Cantici. Essa descrive bene l’amore sponsale con Cristo che Rosalia, vergine, ha vissuto.
In questa bella pagina si narra dell’incontro fra due amanti. La donna trepida per la venuta dell’uomo: “Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline”. Ella ne ascolta la voce, ne osserva l’avvicinarsi, e il suo cuore si dispone all’incontro con lui.
Ma anche l’amato, che la spinge ad alzarsi e ad accorrere subito per consumare l’incontro d’amore, le chiede di mostrargli il viso, di fargli sentire la voce: “Mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole”.
Uno scambio di voci, un ascolto reciproco, un incontro desiderato fino in fondo. È quello che Rosalia visse in modo radicale nella Grotta del Pellegrino. Per la giovane Sinibaldi lo scambio delle voci e il reciproco ascolto non potevano convivere con il frastuono della vita di corte, con le distrazioni dei fasti che il mondo proponeva. Rosalia si garantì per questo tutte quelle condizioni per ascoltare la voce dello Sposo e far sentire la sua voce di innamorata fedele.
Ci è di esempio, la Santuzza, per ricordarci la necessità del nostro rapporto orante con il Signore, ossia la necessità della nostra preghiera di figli dinanzi al Signore. La fede va coltivata e accresciuta non come un apparato di nozioni e di devozioni, ma come il rapporto con una Persona, Cristo Gesù, Risorto e vivente per sempre. 
Ci rendiamo conto che il chiasso della nostra contemporaneità distratta, rischia di privarci dell’ossigeno del rapporto profondo con la Parola di Dio? Rischia di allontanarci dalla preghiera autentica e vissuta, dal silenzio ricercato e gustato come intimo colloquiare con il nostro Dio?
Siamo tutti chiamati alla vita eremitica? No! Certamente! Non tutti! Ma tutti siamo chiamati a vivere la “grotta” della nostra interiorità con la volontà ferma di non cedere all’inganno di una società atea e materialista che relega Dio nel privato delle coscienze: “contemplativi nell’azione” come ci invitava ad essere il Beato Giovanni Paolo II, innamorati di Cristo e suoi frequentatori nella quotidianità del nostro dovere.
Come pensiamo di crescere nel rapporto con Cristo se non abbiamo frequentazione con la sua Parola? Se non ci lasciamo interpellare da una lettura attenta ed esistenziale del Vangelo? Se non garantiamo tempi e modi alla nostra preghiera, scavandoci queste nostre “grotte” nella frenesia del quotidiano? Come potrà rivivere quel vitale “scambio di voci” fra noi e Dio?

4. La fede è un dono, certamente! Ma è un dono da far fruttificare al meglio, con un impegno costante e generoso. Rosalia ha saputo accogliere quella sapienza della fede di cui ci parla il brano evangelico delle dieci vergini. Si è saputa  collocare tra le vergini sagge, previdenti: ha saputo qualificare l’attesa dello Sposo.
Come si investe per incontrare il Signore? Rosalia ci è maestra nell’attenzione operosa, quella che opera il bene. Questa operosità accumula, la luminosità del bene in una scorta che, al momento opportuno, può rischiarare il buio delle crisi che il male sempre determina.
Accumulare l’olio per far risplendere la lampada della nostra vita è disporre i nostri cuori ad una conversione che sia tangibile, verificabile – luminosa appunto – nei nostri ambienti di lavoro, nelle responsabilità che vengono affidate, nelle relazioni che ci qualificano che ci provano.
Come Rosalia, i discepoli di Cristo, vigilano da servi operosi e responsabili. Questa operosità, nell’ambito della chiamata alla santità che è percorso di tutta la nostra vita, è svolgere quella missione che Dio ci consegna rendendoci figli nel Figlio. Quale, in particolare? Quella della carità! Ossia la missione di essere responsabili di quei fratelli e di quelle sorelle che a vario titolo ci sono stati affidati, di essere solleciti verso i loro bisogni, di trarre esempio dal Cristo che si china a lavare i piedi ai suoi, deponendo le vesti e donando la vita per gli amici.
Sull’esempio di Rosalia, l’“attesa” di Cristo, cui ogni buon discepolo si rivolge e si prepara, deve farsi “attenzione”ai fratelli, per vivere ogni giorno facendo una sapiente scorta d’amore.
Questa missione, questa dimensione della carità, va vissuta nell’essere membra sollecite le une per le altre, e rende visibile la Chiesa, come unica famiglia di Dio. La carità poi, è sempre luminosa, visibile, bella e diviene profezia anche per il nostro tempo, nella testimonianza coerente del Vangelo che – lungi dal disimpegno e dall’apatia – si fa, come ha affermato qui a Palermo dal Papa Benedetto XVI, “forza dirompente” per il cambiamento dell’uomo e della società.
Il cristiano vigila con quell’amore che Dio ha effuso nel cuore di ciascuno dei suoi figli, confrontandosi continuamente con  il comandamento di Cristo che è ogni giorno “nuovo” perché capace di interpellarci e di scomodarci, di scardinare le nostre convinzioni umane e di abbattere i muri delle nostre chiusura e della nostra indifferenza.

5. A Santa Rosalia, ancora una volta, affidiamo la nostra Città e la nostra Chiesa, soprattutto le membra più doloranti e indifese, le più escluse e le più infelici.
Alla sua intercessione ci rivolgiamo in questa Eucaristia che suggella ancora una volta le Nozze dell’Agnello con questa Chiesa, che vuole andare incontro allo Sposo con quell’ardore e quel desiderio che la vergine palermitana intende ancora testimoniarci e trasmetterci.