Care Sorelle e cari Fratelli,
mi rivolgo a voi, grande comunità di uomini e donne che la storia ha posto sui solchi dolorosi ma fecondi scavati dalle orme di decine di martiri, i martiri della spietata violenza generata dalla sopraffazione della cultura mafiosa. Oggi varchiamo insieme la soglia del trentesimo anno dall’uccisione del Beato Padre Pino Puglisi e camminando ancora lungo quei solchi che il tempo non ha eroso né inaridito, ne ammiriamo i frutti, che siamo noi stessi, noi che tanto desideriamo vivere nel mondo come umili testimoni dell’esempio che abbiamo ricevuto e abbiamo accolto. L’esempio di Gesù alla lavanda dei piedi – «Li amò sino alla fine (eis télos)» (Gv 13,1) – si è rinnovato nel corpo di coloro che lo hanno imitato amando fino alla fine, cioè fino al compimento dell’amore.
Trent’anni dopo, il martire Giuseppe Puglisi continua ad accompagnare la sua e nostra Chiesa. Egli è ciò che la Chiesa deve essere, la conferma nel dono dello Spirito.
Mi viene in mente un Inno monastico dedicato ai martiri:
Colui che vive l’Evangelo
l’Agnello segue ovunque vada
rinnova e narra in mezzo a noi
il segno grande dell’amore.
Nel tuo Nome grande e santo
annuncia il Regno e dà la vita
perdona tutto ai suoi nemici
rimette a te il suo respiro.
Attorno al trono dell’Agnello
con gioia intona il canto nuovo
vicino a fonti di acqua viva
non soffre fame né ha sete.
(Innario di Bose – 200. Colui che vive l’Evangelo)
Vivere l’Evangelo è seguire l’Agnello ovunque vada: fino alla fine, appunto. Perché la Chiesa nasce dalla Croce, atto estremo di un amore folle, quello di Dio per gli uomini e per il mondo: per gli uomini e le donne che sono nel mondo. Un amore che continuamente rinasce perché rifulge sul volto del Crocifisso e traspare nella vita di quanti sono uniti alla sua Croce, di quanti la portano già per condizione, a causa del peso della vita umana, e di quanti la ‘con-portano’ per chiamata.
I martiri sono coloro che rinnovano con la propria vita l’annuncio del Regno, il segno grande dell’amore che feconda il mondo, per donare nuovamente a Dio gli spazi dell’esistenza attraverso sguardi trasfigurati, rivolti all’«eminente dignità dei poveri» (Jacques Bénigne Bossuet) e dei sofferenti.
Sono loro che narrano la verità del seme in terra, del sangue sparso che dona vita. Sono loro che indicano tra i fratelli e le sorelle, nella fatica e nel travaglio di ogni giorno, la via dell’amore, dell’ascolto dei segni dei tempi e della corresponsabilità ecclesiale. Ricordano alle nostre comunità di non perdere di vista la parte migliore, per essere continuamente rigenerate dall’ascolto del Signore, fondamento e forza dello stile sinodale.
«Victor quia victima» (Vincitore perché vittima), scrive S. Agostino nelle Confessioni (X,43). Chi è vittima per amore è colui che vince. Vince sul male, che si trasfigura. Vince sul nemico, che si converte.
Nel corpo di chi è vittima per amore il male raggiunge una momentanea, fragile e infine inconsistente vittoria: proprio quando il male sembra trionfare, viene invece sconfitto dal germogliare della vita nuova che inutilmente ha tentato di sopraffare.
La forza del nostro amato P. Pino germinava dalla Parola dentro di lui: la Parola come relazione con Dio che diventa relazione con l’uomo. A lungo Don Pino aveva cercato le strade per aiutare l’uomo. E alla fine era ritornato all’inizio, al principio: alla Parola di Dio e alla vita consegnata ai fratelli: «Vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del Vangelo, adempi il tuo ministero» (2Tm 4,5). Uno di noi, Don Pino, impegnato lungo le strade della vita a sopportare le sofferenze sue e dei fratelli, impegnato sulle strade della città ad adempiere con umiltà il suo ministero: ricordare agli uomini che sono perdonati dal Padre, amati nel Figlio, consolati dallo Spirito. Ricordare agli uomini che il senso ultimo dell’esistenza è anche per noi in questi verbi: amare, perdonare e consolare. Quant’è bella e attrattiva la sua testimonianza di prete. Quanta gratitudine ha il nostro amato presbiterio per questo meraviglioso compagno e fratello nel servizio del Regno!
Quest’anno che comincia oggi non sarà solo di commemorazione ma – innanzitutto – di conversione: per questo voglio invitare voi tutti, Sorelle e Fratelli, ad incamminarci su un itinerario che ripercorra le sue vie. Proseguiamo su questo solco fatto di passione per la Parola e passione per gli uomini, rileggiamo con lui la teologia dell’Incarnazione: Cristo si fa uomo, affinché l’uomo diventi umano. Dentro questo mistero è il ministero del nostro P. Pino: lui che accoglie il martirio perché la città diventi più umana, il quartiere diventi più umano, ogni strada e il nostro modo di viverci, il nostro stile del convivere, diventino più umani.
Non posso non ricordare a me stesso e a tutti noi che in questo stesso giorno, quattro anni fa, Papa Francesco è venuto a inaugurare idealmente il nostro metterci in cammino sui passi di P. Pino. Lo ha fatto venendo a visitare le case di Brancaccio e indicandoci subito la sedia rotta nella saletta del nostro Beato: continua a dirci, P. Pino, che il luogo in cui dobbiamo collocarci non è una poltrona, non è una stanza chiusa, ma è fuori, tra le strade, là dove gli uomini costruiscono la storia, affinché sia una storia pienamente umana, secondo il desiderio di Dio.
Continua a dirci, Don Pino, che scoprire la gioia di questa fatica, la gioia della condivisione di questi passi, anche quando sono sofferti, e di questo pane, anche quando è misero, è ciò che scatena la ribellione del male che vuole invece, per il pane, mettere gli uomini l’uno contro l’altro: l’uno pronto ad usare l’altro, a distruggere l’altro, a praticare la fallace arroganza del dare la vita e la morte all’altro. Il male prova a blandirci, a insinuarci il dubbio che sarà questo a renderci felici: la mafia è stata ed è per la nostra Palermo, la più grande illusione di felicità.
Ma noi che abbiamo conosciuto P. Pino, sappiamo distinguere ciò che è vero da ciò che è illusorio, sappiamo che la vera felicità sta nel riconoscerci per quello che siamo: fratelli, umani tra umani, creature che nessun avere o potere renderà creatori.
Ecco che colui che vive l’Evangelo sostiene la Chiesa nel gridare: «Agli arroganti dichiaro: ora basta! Ai malvagi: non alzate la fronte!» (Sal 74,5). E allo stesso tempo sa riconoscere la fragilità dei suoi nemici, sa accoglierla e perdonarla. Trent’anni fa Don Pino, nel giorno del suo compleanno, riconobbe il suo uccisore e gli sorrise: chi è capace di sorridere se non chi è davvero felice? Sarebbe stato allo stesso modo capace di sorridere chi l’ha ucciso? O i suoi mandanti?
P. Pino Puglisi e con lui tutti i martiri della mafia in questa nostra città, in questa nostra diocesi, sono un dono per noi: intonano con gioia per l’intera umanità il canto nuovo − attorno al trono dell’Agnello −, il canto della Pasqua, che nasce dalla certezza che ogni vittima per amore vincerà sul male e sulla morte e ogni piccolo, ogni povero erediterà il regno dei cieli.
«Victor quia victima». Grazie P. Pino: il dono della tua vita e del tuo sorriso riapre alla tua amata diocesi di Palermo i cammini della speranza, della fede e della fraternità. Per essere Chiesa gioiosa e audace nell’annuncio dell’Evangelo; eucaristica nelle relazioni e messianica dinnanzi alle sofferenze e alle ingiustizie; partecipe del travaglio di questo cambiamento d’epoca, accanto a chi si impegna per un mondo giusto: casa fraterna per tutti, giardino fecondo e pacifico, ricco di esperti artigiani nel forgiare le spade in vomeri e le lance in falci (cfr Is 2,4).
Prepariamoci e viviamo con intensità questo trentesimo anniversario del martirio del Beato Giuseppe Puglisi. Segni la nostra Chiesa che fiduciosa invoca un rinnovato sussulto dello Spirito:
«Passi il tuo Spirito, o Signore,
come brezza primaverile che fa fiorire la vita e schiude l’amore.
Passi il tuo Spirito, come l’uragano
che scatena una forza sconosciuta e solleva le energie addormentate.
Passi il tuo Spirito nel nostro sguardo
per portarlo verso orizzonti più lontani e più vasti.
Passi il tuo Spirito sui nostri volti rattristati
per farvi riapparire il sorriso».
(G. Vannucci, Passi il tuo Spirito).
Vi abbraccio e vi benedico.
Palermo, 15 settembre 2022