L’Arcivescovo di Palermo Lorefice: «Padre Puglisi e quelli che hanno donato la vita per la fede, esempi preziosi per chi è alla ricerca della propria vocazione»
I martiri parlano ai giovani di libertà, di accoglienza gioiosa del Vangelo, di ascolto coraggioso del proprio tempo e di capacità di prendersi cura degli altri. L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, non ha dubbi sulla «profezia» per le nuove generazioni di cui sono portatori i testimoni come il beato Pino Puglisi, così come tutti quelli che hanno donato la vita in nome della fede. Essi, sottolinea il presule, sono dei veri e propri maestri di vita, anzi, con il loro esempio possono «aiutare i giovani a trovare la propria vocazione». Un messaggio di speranza che guarda, quindi, anche alla 58ª Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni che sarà celebrata domenica 25 aprile.
Che modello di uomo e di cristiano offre oggi il beato Pino Puglisi alle nuove generazioni?
La figura di padre Puglisi è una figura attrattiva, serena, capace di relazioni feconde. Lo definirei proprio «uomo della relazione»: l’incontro con l’altro per lui era sempre un fatto serio, che si realizzava nell’ascolto, nell’incrocio di sguardi e nel tempo donato. In questo momento difficile, in cui abbiamo compreso con ancora maggiore consapevolezza l’importanza delle relazioni, specie per i giovani, Puglisi ci indica il senso del ‘noi’. E il ‘noi’ nasce dall’accoglienza dell’altro per quello che è. Egli, inoltre, è il volto di un cristiano che affascina perché ha vissuto il Vangelo non come ‘insieme di dottrine’ ma come relazione con Gesù, nella cui umanità egli vedeva concretamente la prossimità di Dio. È da questa consapevolezza che nasce la gioia del cristiano che accoglie il Vangelo nella propria vita, entrando così in relazione con un Padre carico di compassione che si prende cura di tutti e soprattutto dei più piccoli.
Che ruolo ha avuto per padre Puglisi questo mandato a prendersi cura degli altri?
Per lui il Vangelo era un’energia di vita e quindi non poteva non esprimere come uomo l’attenzione all’altro e come cristiano e presbitero la cura dell’altro, che significa farsi carico di tutta la persona, sapendo che, soprattutto nella Palermo del suo tempo, questo voleva dire elevare e riscattere umanamente, culturalmente e socialmente coloro a cui si faceva prossimo. Puglisi visse questa attenzione in modo particolare a servizio delle nuove generazioni, sia nel suo ministero nella pastorale delle vocazioni, sia in quello da parroco. Uno stile che egli mise in pratica sin da quando si trovava a Godrano e poi fino alla fine a Brancaccio. Perché dobbiamo ricordare che l’esito della vita di Pino Puglisi non è comparso dal nulla, ma è il risultato di tutta una vita pensata al servizio del Vangelo, dell’umanità e del riscatto delle persone.
Oggi abbiamo davanti agli occhi esempi continui di fondamentalismi ed estremismi. Ma che differenza c’è tra un martire e un fondamentalista?
Un fondamentalista segue un’ideologia sua personale o di gruppo e cerca di imporla agli altri con la coercizione, anche con la violenza, mentre un testimone del Vangelo annuncia una parola che chiama a una risposta libera e consapevole. Ecco perché per don Puglisi la dimensione della vocazione era particolarmente cara: il Vangelo è una chiamata cui si risponde liberamente e per amore, perché è una proposta di relazione che ti cambia la vita. La vocazione è un invito a realizzare la propria vita così come l’ha realizzata Gesù, è un mandato a realizzare i suoi stessi gesti, che sono quelli della cura, dell’accoglienza dell’altro, della capacità di compassione, di prendere su di sé il fardello degli altri. Oggi questo invito conserva un’enorme attualità e fascino per i giovani, perché il Vangelo, come ci ricorda spesso papa Francesco, è fonte di gioia vera. Questo è il patrimonio di padre Pino Puglisi, che la Chiesa di Palermo ha la responsabilità di vivere e trasmettere in ogni aspetto della propria vita di comunità. Un tesoro prezioso che siamo chiamati a donare in particolare alle nuove generazioni.