Care Sorelle e cari Fratelli,
eccoci di nuovo qui a condividere nella gioia la passione per la nostra Santa Rosalia: una passione che in questi giorni si rinnova sempre, facendoci ritrovare insieme a riscoprire continuamente la grande ricchezza di cui il Signore ci ha fatto dono, affidando la nostra città di Palermo alla magnifica Rosalia, alla Santuzza, come sua custode e sua protettrice.
Per dirvi della nostra passione, stasera vorrei ritornare alla Sua passione: la passione che la nostra Santa ha sempre avuto e ha per Palermo. L’inizio della sua storia ci dà questa certezza: non siamo noi ad aver cercato Rosalia, è stata lei a venire a cercarci, a rendersi presente nella vita di Palermo e dei palermitani; è stata lei a cercare le donne e gli uomini di questa città, a visitarli, a salvarli, per dirci fino a che punto le stiamo a cuore.
L’inizio della sua storia, ve lo ricordo, è legato anche ad una donna di Ciminna che doveva adempiere al voto che le era stato raccomandato da Santa Rosalia stessa dopo esser stata miracolosamente guarita in ospedale. Intanto nel 1624, a Palermo arrivò la peste e Girolama si ammalò di nuovo. E la Santa, con la sua dolcezza di sorella e di amica, la guarì dalla ricaduta per darle la possibilità di adempiere al voto non adempiuto di quel pellegrinaggio che già un anno prima le aveva chiesto di fare.
Proprio come Girolama, anche noi corriamo il rischio di dimenticare il bene che abbiamo ricevuto. Ma Rosalia ci vuole raggiungere, vuole guarire le nostre ferite. Ogni santo – ogni discepolo di Gesù Cristo che vive la radicalità evangelica – ricalca la storia di Dio, del Dio della fede dei cristiani. Un Dio che non aspetta di essere cercato, ma che viene a cercarci, viene a ricordarci ciò che Egli stesso ha posto nell’intimo più intimo dei nostri cuori: la strada della felicità. «Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10): non dimentichiamo che Gesù è venuto a cercarci affinché la nostra gioia possa essere piena e la nostra vita sovrabbondante (non sopravvivere, dice lui, ma vivere in abbondanza!).
E io vorrei iniziare questo nostro dialogo con un invito paterno e fraterno alla gratitudine. Iniziamo con l’essere grati. In modi che comprendiamo e in modi che non comprendiamo, la storia ci insegna che Dio si prende cura dell’uomo, continuamente lo cerca e lo ricerca. Ad ogni calamità – e conosciamo bene la durezza di questa pandemia che sembra lasciarci eppure continua a minacciarci – Dio ci fa capire che abbiamo dimenticato la gratitudine e la vita nuova che Egli ci apre e ci chiede. Certo è difficile, ma la gratitudine è l’unica possibilità che ci è data di non vivere da pretenziosi dominatori, bensì da sereni contemplatori della bellezza che giorno per giorno ci è donata, solo che sappiamo aprire gli occhi.
Ed esattamente come i nostri giovani spesso danno ascolto con maggiore fiducia ai messaggi dei loro coetanei, allo stesso modo Dio manda a noi i Santi come compagni e maestri. Santa Rosalia, con la sua dolcezza di sorella e di tenera amica, è come se fosse stata mandata tra di noi per renderci più comprensibile, per invitarci ad accogliere il suo messaggio di amore e di felicità.
Ascoltiamo i messaggi di Rosalia che ci rendono più pronti ad ascoltare i messaggi di Gesù.
‘Salire in alto’. Rosalia ci invita intanto a salire sul Monte Pellegrino: un invito a lasciare per un attimo la nostra terra, le nostre cose, per salire da lei, per ascendere verso di lei. Lassù Rosalia ha molto da dirci: non per ammonirci, ma per renderci più felici. Salire al Monte Pellegrino: questa è la richiesta di Rosalia a Girolama che lo ha dimenticato. E dimenticando è ricaduta nel malessere. Anche noi spesso ricadiamo nel male dell’infelicità perché dimentichiamo i suggerimenti che abbiamo ricevuto. Ecco: di questa pandemia, che sembra lasciarci eppure continua a minacciarci, non dobbiamo dimenticare il cambiamento che ci ha chiesto e ci chiede. La proposta di Santa Rosalia è quella di ‘salire in alto’, accettare il rischio di guardare la nostra vita dall’alto per guadagnarne una visione nuova. Uscire per un attimo dal nostro piccolo mondo per guardare l’ampiezza della realtà nella quale siamo inseriti. Domani Rosalia ci farà alzare lo sguardo verso l’alto da dove ci visiterà – anche attraverso il frammento del suo corpo che domani sorvolerà in elicottero la sua e nostra Palermo – assumendo ancora il nostro dramma pandemico e sociale ma riconsegnandoci un forte e inderogabile messaggio di solidarietà e di speranza.
Allargare lo sguardo, lo sappiamo, spesso apre piste e soluzioni impensabili. E allargare lo sguardo sulla grandezza della nostra città, guardarla a lungo, potrà farci scoprire, oltre alle bellezze visibili che incantano, anche le bellezze invisibili, sofferte e germinali nascoste nelle periferie sociali e anche nelle periferie del male. Oggi si soffre nella povertà economica, si soffre e si fanno soffrire gli altri nella povertà di valori relazionali. Siamo chiamati a salire in alto per capire che dobbiamo costruire una città sempre più bella. Che la bellezza dell’arte e della cultura diventi anche bellezza della dignità, della responsabilità, del prendersi cura, del sacramento dell’amicizia! In alto, per sognare una Palermo sempre più bella in ogni uomo, in ogni donna, in ogni famiglia, in ogni quartiere, in ogni progetto. In alto, per non farci travolgere dalla rassegnazione, dallo squallore, dall’egocentrismo, dalla sfiducia. In alto, per progettare orizzonti nuovi, orizzonti che si trovano dentro il quotidiano, dentro la storia che viviamo, orizzonti che bisogna scorgere dal basso e dal basso far riemergere. In alto, non per raggiungere un punto di arrivo ma per saper poi tornare a casa, nella città, con gli occhi di chi ha intravisto dentro le piaghe e dentro le sofferenze le strade per creare qualcosa di nuovo, per compiere azioni capaci di costruire una nuova civiltà dell’amicizia: consapevoli che ogni gesto, anche il più piccolo, o aggrava i problemi o è un passo verso la loro risoluzione. In alto, per essere degni della nativa vocazione di questa Città: all’accoglienza e alla condivisione della meravigliosa ricchezza di calore umano, di cultura, di arte e di natura che la rende unica e attrattiva.
Nessuno è una monade. Siamo intercorressi. La Chiesa chiama questa rete comunione: Communio sanctorum. E la pandemia ci ha ricordato che viviamo tutti nella stessa casa. Siamo sempre tra corpi, tra case, tra quartieri: nessuno può sottrarsi dalla relazione nella quale è inserito. È dentro queste relazioni che dobbiamo guardare al presente per preparare il futuro. Perché – come sempre ci ricorda Papa Francesco – «il tempo è superiore allo spazio» (EG 222): significa che nello spazio dell’oggi si costruisce il tempo del domani. E il domani riguarda i figli dei nostri figli, quelli che si stanno preparando a venire in questa nostra madre Terra: che non la trovino distrutta, che non la trovino depredata, che non la trovino infuocata. Che sia una casa confortevole, piena di vita e di relazioni!
Dall’alto della montagna, dall’alto di Monte Pellegrino, si vedono orizzonti alti. È il bello delle isole: orizzonti più vasti e più lontani. Dall’alto della montagna, dall’alto di Monte Pellegrino, si vede il mare. E guardando il mare si vedono tante barche. Sono le imbarcazioni dei migranti, che navigano trasportando chi fugge dalla fame, dal dolore, dalla guerra, che vengono respinte, che affondano. Come dall’alto, minuscoli, si vedono i corpi galleggianti senza vita. Si vede questo nostro Mediterraneo diventato il cimitero dei fratelli e delle sorelle reietti. Non possiamo più dire, con il poeta, che «nel cuore nessuna croce manca» (G. Ungaretti) perché le croci trovano nel cuore il grembo umano che è il diritto di ogni corpo. Le morti di chi viene abbandonato in mare no! Sono morti senza grembo, senza cuori accoglienti, sono morti che si consumano in un silenzio disumano, in una indifferenza senza pari. Le morti in mare – così come le morti di chi è rimasto da solo negli ospedali – sono le ferite che oggi bruciano e violentano la condizione umana. Non è possibile continuare così! Questo mondo diviso, questo mondo dei ricchi e dei potenti che si difendono dai poveri e dai deboli, non ha futuro! Per fortuna che guardando il mare si vedono anche le navi dei ‘pescatori di uomini’. E mai come oggi diventare ‘pescatori di uomini’ è la missione urgente, indispensabile per restare umani. Perché non avanzi anche un’altra pandemia: la ‘sclerocardia’!
Vogliamo dare un senso anche al fatto che Girolama La Gattuta, suo marito e una coppia di amici siano saliti al Monte Pellegrino il giorno di Pentecoste. Possiamo dire: abbiamo bisogno di Pentecoste. Abbiamo bisogno di imparare a stare in relazione. Questa è la Pentecoste: unire tutti, comprendendo il linguaggio di ognuno. Ecco la sfida oggi, della casa e della città: nonostante la diversità di visioni e di interessi, ritrovare nuovamente la rete umana di cui facciamo parte. Essere interconnessi non è né un’imposizione dall’alto, né un precetto morale: è un’istanza di identità e di sopravvivenza. Restare in questa interconnessione, restare nella condivisione, è l’unica via per la vita piena. Questo per i cristiani è la Pentecoste. Lo Spirito unisce perché comprende e rispetta ogni lingua. Come quando si mette in atto la traduzione da una lingua all’altra che ha la stessa dignità della prima, così una comunione è vera se ad ogni lingua, ad ogni persona, ad ogni gruppo viene riconosciuta pari dignità.
«Troverete una Santa, un tesoro». Bellissime queste parole, nel racconto delle origini. Rosalia è un tesoro per la nostra Palermo. È il tesoro a cui attingere. Ci insegni a vivere i valori essenziali: l’interiorità, il silenzio, la fede in Dio con i suoi tanti nomi, l’attenzione agli altri, in particolare a chi soffre, ai ‘vinti’ della storia. Che questa festa, che ci fa vivere un viscerale senso di appartenenza, maturi e si trasformi in un’esperienza di condivisone, di collaborazione, di amicizia sociale. Certi che – come ci ricorda papa Francesco – «acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!» (EG 274). Oh, che bisogno ha la nostra città di scelte rinnovate, di un progetto per i bambini, per i poveri, per i giovani! Torniamo ai nostri tesori, inesplorati come il tesoro di Santa Rosalia, traiamo da essi il calore e la forza per una convivenza all’insegna della responsabilità del prendersi cura dell’altro, della città, del creato.
I protagonisti di quella vicenda scavarono con fiducia e con passione, senza perdere la speranza. Uno scavo paziente. Uno scavo – possiamo dirlo – in comunione: Girolama, suo marito, i suoi amici, i contadini, i monaci. Nella ricerca siamo tutti coinvolti, laici e cristiani, consacrati e presbiteri, tutti. Tutti assieme e con speranza. «Tutto ciò che è umano ci riguarda», scriveva Paolo VI nell’Ecclesiam suam. Loro iniziarono i primi di giugno e il 15 luglio trovarono le ossa, le spoglie della Santa. I morti non sono – per i cristiani – morti per sempre. Sono invisibili è vero, ma sono presenti secondo la logica del Risorto, in una vita che non finisce. Per la Chiesa anche la morte, la grande sfida, non mette fine alla nostra vicenda. La nostra vita, quella vita che amiamo sopra ogni cosa, non avrà mai fine e si trasformerà. Quelle ossa erano profumate. È il profumo che ci ricorda che la morte è stata vinta e che il bene, la speranza, la fede si diffondono in modo contagioso e ci fanno superare il limite dello spazio e del tempo. Il profumo non può essere incatenato. Quel bene, quella speranza, quella fede che hanno riempito la vita di Santa Rosalia non possono essere incatenati. Sono passati secoli e noi siamo qui e lo sentiamo ancora: quel profumo di una donna che attraversa il tempo per dare speranza ad ogni tempo. Come il profumo della donna di Betania che avvolge il corpo di Gesù (Cf. Mc 14, 3-9; Mt 26, 6-13; Gv 12, 1-8), esso arriva a tutti noi e arriverà fino alla fine dei tempi, per dirci di un Padre che ci ama, di amarci come fratelli, di custodire il creato come casa, di abitare la polis con creativa corresponsabilità. Per dirci che ogni uomo e ogni donna sono chiamati ad essere come un profumo: il dolore vissuto nella fede e nell’amore, lo smarrimento vissuto nell’umiltà e nel perdono, trasformano ogni nostra esperienza in un fiore da cui si spande il profumo di cui abbiamo bisogno per sentire l’odore vero della vita e, forse, di Dio.
Abbiamo un compito prezioso. Che il profumo di Santa Rosalia continui ad attraversare il tempo e diventi sempre più intenso. Il profumo di Santa Rosalia è quello di una Palermo in cui i nostri cuori si aprono e diventano accoglienza, quello di una Palermo che avanza nel cammino faticoso, lento ma deciso, di riscattarsi dalla bruttura del male per ritrovare e rinnovare la bellezza di una relazione capace di avere cura, di avere a cuore.
Ci dia speranza la certezza che Santa Rosalia ci viene a cercare sempre. Anche se ricadiamo nel male come Girolama, anche se disperati come il saponaro Vincenzo Bonelli. Lei ci viene a cercare. Questa certezza alimenti la nostra fede, rafforzi la nostra speranza, e dia concretezza e lungimiranza al nostro amore.
Nel nome di Santa Rosalia benedico e abbraccio tutti voi qui riuniti!