(lp) Da 20 anni il mondo non è più lo stesso: gli attacchi aerei contro le Twin Towers, il Pentagono e la Casa Bianca, le oltre tremila vittime, la paura globale, l’intervento militare in Afghanistan, la cancellazione di prassi consolidate e di abitudini negli spostamenti da una città all’altra, da un continente all’altro, hanno disegnato una stretta curva nel cammino dell’umanità. Eppure la conoscenza dell’altro, il confronto e il dialogo restano gli unici antidoti alla paura e alla chiusura. Cosa ci insegna quell’11 settembre di vent’anni fa? «Di fronte alla barbarie del terrorismo, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco hanno richiamato l’umanità a percorrere la via dell’amore che vince ogni forma di odio e di violenza», ha recentemente ricordato Alessandro Gisotti, vice direttore dei media vaticani e direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede dal 2018 al 2019: «Il 12 settembre di vent’anni fa, durante l’udienza generale in Piazza San Pietro, la voce di Karol Wojtyla si incrina per la commozione quando afferma che l’11 settembre “è stato un giorno buio nella storia dell’umanità, un terribile affronto alla dignità dell’uomo”. Il cuore dell’uomo, soggiunge, “è un abisso da cui emergono a volte disegni di inaudita ferocia”. E facendo sua la domanda angosciante che molti hanno nel cuore, si chiede “come possano verificarsi episodi di così selvaggia efferatezza”. Tuttavia, il futuro Santo non lascia spazio ad una sterile disperazione. Anche nel momento più buio, ricorda che “il credente sa che il male e la morte non hanno l’ultima parola”, anche se “la forza delle tenebre sembra prevalere”. Pochi giorno dopo il Papa va in Kazakhstan e dalla capitale Astana lancia un appello affinché tutti, cristiani e seguaci di altre religioni, “cooperino per edificare un mondo privo di violenza, un mondo che ami la vita e si sviluppi nella giustizia e nella solidarietà”. “La religione – dice con parole accorate – non deve mai essere utilizzata come motivo di conflitto”. […] Sette anni dopo quel terribile martedì di settembre, il 20 aprile 2008, un Papa si reca a Ground Zero. Benedetto XVI sceglie di non pronunciare alcun discorso. Incontra i parenti delle vittime e i soccorritori, gli eroi di quel giorno. Accende un cero in ricordo di tutte le vittime di New York, di Washington e del volo United 93. Quindi, si raccoglie in preghiera al centro dell’immensa cavità dove un tempo si ergevano le Twin Towers. Sotto un cielo grigio, che contrasta con l’immagine del cielo terso del giorno degli attentati, il Pontefice in ginocchio – in un silenzio quasi surreale, rotto solo dal suono delle cornamuse dei Vigili del Fuoco di New York – invoca il Dio “dell’amore, della compassione e della riconciliazione”. […] Passano altri sette anni e questa volta Papa Francesco trova uno scenario completamente diverso rispetto al suo predecessore. Dove c’era il cratere di Ground Zero si trova ora il Memoriale dell’11 settembre, due immense vasche della dimensione delle impronte delle Torri Gemelle. Sui bordi, sono iscritti i nomi delle 2974 vittime di 90 nazionalità diverse. Qui, il 25 settembre del 2015, Francesco, visibilmente commosso, posa una rosa bianca prima di raccogliersi in preghiera. Il cielo questa volta ricorda quello della mattinata di 14 anni prima, ma a fare ombra non ci sono più le Twin Towers ma la Freedom Tower, il più alto grattacielo degli Stati Uniti, inaugurato solo pochi mesi prima della visita papale. Assieme al momento di commemorazione delle vittime, Francesco vuole lanciare – proprio da un luogo così simbolico – un appello affinché le religioni lavorino assieme per la pace e contro ogni strumentalizzazione del nome di Dio. Si rivive dunque lo spirito dell’iniziativa che San Giovanni Paolo II aveva promosso pochi mesi dopo l’11 settembre con l’Incontro dei leader religiosi ad Assisi».
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