Santa Pasqua 2022
Omelia
Usciamo insieme, Signore, dalla notte
Nessuno ha visto, nessuno conosce il momento in cui il Signore Gesù è risorto. Neanche i Vangeli lo narrano. Lo conosce solo, e lo custodisce per noi, questa notte. Ognuno di noi è il destinatario del segreto che custodisce questa notte, ognuno di noi stanotte riceve il dono di essere testimone diretto di «quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo: queste ha preparato Dio per coloro che lo amano›› (1Cor 2,9).
Grazie alle letture bibliche di questa grande veglia, ancora una volta, il sepolcro vuoto può essere decodificato e ‘com-preso’. Abbiamo trovato anche noi, come le donne al sepolcro e come Pietro Giacomo e Giovanni nel giorno della trasfigurazione, due uomini in vesti sfolgoranti Mosè ed Elia: la Torà e i Profeti. Ci hanno fatto fare memoria. Ci hanno riconsegnato alla memoria biblica. Ed è esplosa la luce anche per noi.
Penso particolarmente a voi, carissimi Catecumeni e a voi carissimi fratelli e sorelle del Cammino neocatecumenale, che oggi gustate e rigustate la vostra prima Pasqua nelle acque battesimali.
È saggio quanto evidenzia O. Clement: «I vecchi asceti dicevano che il più grande dei peccati è l’oblio: quando l’uomo diventa opaco, insensibile, talora indaffarato, talaltra miseramente sensuale; quando diventa incapace di fermarsi un istante nel silenzio, di meravigliarsi, di vacillare davanti all’abisso, per l’orrore o per il giubilo; quando diventa incapace di ribellarsi, di amare, di ammirare, di accogliere lo straordinario negli esseri e nelle cose; quando insomma diventa insensibile alle sollecitazioni segrete, anche se così frequenti, di Dio›› (Il potere crocifisso, 69-70).
Ma stanotte, grazie alle Scritture che ci introducono al memoriale della Pasqua di Gesù, non è più notte, è l’alba del Giorno inedito che solo Dio poteva accendere. Ora non prevale più la paura che schiaccia a terra il nostro volto: «Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno”. Ed esse si ricordarono delle sue parole» (Lc 24,6-8).
Il travaglio della storia di ieri e di oggi, il macigno dell’odierna vicenda umana bloccata ancora al secolo passato con la sua terza guerra mondiale a pezzi sotto casa nostra, in Ucraina, e in altri angoli della Terra, converge e riparte dal sepolcro vuoto, dal Crocifisso risorto. Dall’Amore che vince ogni forma di male. Finanche la morte. Dall’Amore che riconsegna l’intera storia umana al giardino fecondo della Nuova Creazione dopo la desolazione del suolo arido provocato dell’orgoglio umano sollecitato dal grande seduttore di ogni tempo. Dal subdolo divisore che, privandoci della memoria della croce di Cristo, dell’albero della Vita, vuole sottomettere l’ordine mondiale e le nostre giornate umane ed ecclesiali alla menzogna del potere e della guerra fratricida, della divisione e del sospetto; il tentatore che istiga a edificare ancora Babele piuttosto che la ‘casa comune’ Terra sulla roccia della fraternità universale e dell’amicizia sociale, della pace e dell’inclusione, della legalità e della giustizia, del perdono e della riconciliazione.
Con la Pasqua di Gesù, da quel sepolcro spalancato, da quel cenacolo ‘riaperto’ alla città dalla potenza della risurrezione di Gesù, nasce e riparte continuamente la Chiesa, ‘ritaglio del Regno’, ‘villaggio dell’uomo’ in cui sperare insieme a tutti.
Riappropriamoci della nostra vocazione originaria. È questa la vocazione della Chiesa – una Chiesa giovane all’altezza di questo nostro tempo – che viene costantemente generata e «consacra all’amore del Padre» (Preconio Pasquale) dal Triduo pasquale, dalla Pasqua di risurrezione. Guardare il mondo attraverso le feritoie delle ferite del Risorto è la gioia e la responsabilità di noi discepoli. Intercettare nella nostra carne le attuali ferite sanguinanti del mondo, sentire nelle nostre viscere le sue contraddizioni, senza mai rinunciare ad unirci all’Exultet della Terra, a interpretare coralmente il sogno del mondo della vittoria della Luce sulle tenebre, dove la violenza e la guerra, le lacrime e il lutto siano aboliti per sempre.
Il sepolcro vuoto di questa notte, ci chiede di correre anche noi per gridare la gioia della risurrezione di Cristo nella quale è ormai chiaro che il sogno di Dio corrisponde al sogno dell’umanità di ogni tempo, di ogni uomo e di ogni donna di questo nostro tempo. Nel Crocifisso che ha vinto la morte è stata intercettata e accolta da Dio, per il suo immenso amore, ogni supplica, ogni grido, ogni lacrima (cfr Eb 5,7). Nella risurrezione di Gesù si sta realizzando il desiderio che accomuna Dio e gli uomini: il mondo trasfigurato, la deflagrazione della vita del mondo secondo l’immagine biblica della terra dove scorrono liberi i torrenti della giustizia e della pace, della convivialità umana e del banchetto gratuito di cibi succulenti e di vini raffinati (cfr Sal 71; Is 25,26). Sì, stasera il preconio pasquale, l’Exultet che è stato cantato, è preludio dei Cieli nuovi e della Terra nuova, quando ogni attesa ed istanza autenticamente umana troverà piena attuazione nello Shalom e nella Beatitudine senza fine.
Non dobbiamo fare altro che credere alla forza dell’amore che sprigiona in noi la fede nel Crocifisso Risorto. I cristiani ci siamo nel mondo per tenere viva con la nostra vita e le nostre parole la memoria di Gesù risorto: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv13,34). Non si tratta di fare grandi cose ma di avviare processi pasquali, dal basso, processi di risurrezione. Essere umili artigiani dell’Exultet della storia. Cantori e poeti del ‘nuovo’ che ogni giorno silenziosamente costruiscono i piccoli e i poveri, i tanti che ancora contribuiscono a non raffreddare l’amore sulla terra, nonostante il dilagare dell’iniquità (cfr Mt 24,12). Affidò alla parole di D. M. Turoldo il nostro comune impegno di risposta alla grazia di questa Notte di Luce:
«Io Vorrei donare una cosa al Signore,/ ma non so che cosa./ Andrò in giro per le strade/ zufolando, così,/ fino a che gli altri dicano: è pazzo!/ E mi fermerò soprattutto coi bambini/ a giocare in periferia,/ e poi lascerò un fiore/ ad ogni finestra dei poveri/ e saluterò chiunque incontrerò per via/ inchinandomi fino a terra./ E poi suonerò con le mie mani/ le campane della torre/ a più riprese/ finché non sarò esausto./ E a chiunque venga/ – anche al ricco – dirò/ siedi pure alla mia mensa,/ (anche il ricco è un pover’uomo). E dirò a tutti:/ avete visto il Signore?/ Ma lo dirò in silenzio/ e solo con un sorriso›› (O sensi miei, 364).