Pontificale del Corpus Domini, stamani in Cattedrale presieduto dall’Arcivescovo, mons. Corrado Lorefice che al termine, uscendo dalla chiesa, ha impartito la benedizione alla città di Palermo.
Omelia Corpus Domini
Il pane della mensa della grande sala con i tappeti, al piano superiore della casa di Gerusalemme, dove Gesù ha voluto mangiare la Pasqua, è un pane confezionato con cura e amore, caldo, dorato, profumatissimo, fatto da mani che odorano di casa, amalgama di relazioni condivise, di attese e di speranze, di gioie e di sofferenze.
Gesù, in quella cena, prende il pane, insieme al calice del vino, e lo consegna ai suoi: «Questo pane è il mio corpo, questo vino è il mio sangue». Il pane che, grazie alla testimonianza degli apostoli, verrà spezzato e il vino che verrà condiviso, da quella sera in poi, ininterrottamente, in memoria del Signore.
Un pane ‒ quello condiviso nelle mense-altare delle nostre comunità cristiane ‒ che parla simultaneamente di terra e di cielo; della terra, abitata dall’uomo e del cielo, abitato da Dio. Un pane che porta la fragranza della vita dell’uomo e della vita di Dio, in una reciprocità e in uno scambio di feconda ‘inabitazione’. Il pane umano lievitato nella madia delle nostre case con il sudore dell’uomo e impastato con l’apporto, discreto e fedele, della mano paziente e provvidente di Dio.
Il pane che spezziamo nelle mense delle nostre chiese, il vino dei calici che deponiamo sui nostri altari.
Il pane, il vino e gli altari che ci sono mancati durante il lockdown, tempo di una dura ma proficua astinenza che ci ha costretti a discernere ciò che realmente portiamo nel cuore e a domandarci se viviamo veramente della Parola uscita dalla bocca di Dio (cfr Dt 8,2-3). Quel pane fatto di tanti chicchi macinati. Quel vino fatto da tanti acini torchiati. Quel pane che sparge il fragrante profumo di un’esistenza liberamente donata, quel vino che esala il profumo dell’unità e della comunione; quell’ostia e quel calice che fanno pregustare la felicità piena e definitiva delbanchetto eterno.
È la mensa e l’altare che gli apostoli di Cristo da subito hanno imbandito. Che i vescovi, successori degli apostoli, attraverso il ministero dei presbiteri, garantiscono alle comunità che si avvicendano tra le nostre case, lungo il corso degli anni e dei secoli. Affinché si continui ad annunziare la morte e la risurrezione del Signore, nell’attesa della sua venuta definitiva.
Su questa mensa e su questo altare le nostre comunità riconoscono il sacramento del Corpo e del Sangue del Signore. Le nostre comunità riconoscono se stesse. Nella Messa noi mangiamo il corpo di Cristo, ‘mangiamo Dio’, ma mangiamo anche il vincolo della nostra unità. «Perché ‒ come dice Gesù nel vangelo odierno ‒ la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui» (Gv 6,56). E mangiare il corpo del Signore, bere il suo sangue è mangiare e bere il vincolo della nostra unità: «Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane» (1Cor 10,16-17, ci ha appena ricordato l’apostolo Paolo.
Ieri Nino Barraco mi ha inviato da Lercara questo messaggio vocale:
«È il Corpus Domini. Ed è l’altare del vescovo. Sì l’altare del vescovo che ci fa comunione con Cristo, che ci fa Chiesa, Corpo di Cristo. L’altare del vescovo. Sì, non c’è comunione senza l’altare del vescovo. È il vescovo che nella potenza dello Spirito ci fa Chiesa, ci fa Corpo di Cristo.
Corpo e sangue di Cristo. L’impossibile che si avvera.La parola che confessa la sua impotenza. Certo, la parola è la dignità dell’uomo, ma è anche l’impotenza dell’uomo, l’incapacità di dire quello che abbiamo dentro, profondamente nel cuore. E di più: l’impossibilità, l’inefficienza di dire l’Inconcepibile, il Mistero;l’Inimmaginabile, l’Inesprimibile. Come fai, come fai?
Il Corpo del Signore, la comunione con Cristo.Comunione da far dire a S. Paolo: “Vivo io, ma non sono io che vivo, è Cristo che vive in me” (Gal 2,20). Comunione di Mistero, comunione di Eucaristia, comunione di Messa; di quelle parole: “Beati gli invitati alla cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. “Ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1,29). Quell’ecco che fu di Giovanni il Battista, al fiume Giordano, quando vide là, sul sentiero, un Uomo. “Ecco, ecco”. Da millenni di anni luce si aspettava qualcuno che dicesse: “Ecco l’Agnello di Dio”. Adesso ogni Messa lo grida: “Ecco l’Agnello di Dio”. E ogni Messa ci chiama: “Beati. Beati gli invitati alla cena del Signore” (cfrAp 19,9).
Il Corpo del Signore. La grande processione del Corpus Domini, la processione di altri tempi. La nudità, la nudità di questo tempo che geme. Ma l’altare c’è. Il sepolcro vuoto. L’altare del Dio vivente. L’altare del vescovo, che ci faChiesa, Mistero, Comunione. L’altare del vescovo, che ci fa accoglienza, amore, concretezza, sangue per tutte le domande, le solitudini, le povertà, il marasma, le paure di oggi. L’altare del vescovo, che ci fa meraviglia e memoria del futuro, presagio del futuro. Il futuro di un Dio con noi e ‒guarda un po’ ‒ un Dio che già viviamo sulla terra.
Il Corpo del Signore. Sì grazie a te, carissimo vescovo Corrado. Grazie per il tuo altare che ci fa Chiesa. [Lercara ti ama. Grazie]».
L’Eucaristia, il mirabile e umile sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, parla della Chiesa, parla di noi. Della Chiesa,Corpo di Cristo. Della Chiesa che riflette sul suo volto la luce del Cristo. Della Chiesa che rende grazie. Che si fa compagna e serva della bella notizia dell’amore misericordioso e redentivo di Dio. Della Chiesa comunione, sacramento di unità per tutti. «E siccome ‒ come ci ammaestra il concilio Vaticano II ‒ la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano», [la Chiesa] riceve e attinge continuamente dalla e nell’Eucaristia «la propria natura e la propria missione universale» (Lumen gentium, 1).
L’Eucaristia continua a convocarci, a saziarci e ad inviarci, perché l’intera famiglia umana, radunata dai quattro angoli della terra, possa giungere ai «beni eterni».
Oggi non ci sarà la solenne processione esterna del Corpus Domini. Ma, come «l’anima è nel corpo, […] i cristiani sono dispersi nelle città del mondo» (A Diogneto). Se l’Eucaristia ci ha resi un solo corpo e un solo spirito nel e con il Signore Gesù, porteremo ugualmente, lungo le strade della nostra città ‒ come umile e silente lievito e non come un drappello di militanti ‒, il Corpus Domini.
Contribuiremo a «sostenere il mondo» (A Diogneto) per debellare la ‘pandemia del cuore’ che continua ad espandersi nonostante la chiara lezione della pandemia da Covid-19.
Nella nostra città, ancora troppa fame e incertezza, troppa aggressività e indifferenza, troppe ingerenze e prepotenze di organizzazioni malavitose e mafiose.
Nel Mare Nostrum, fino a ieri, troppi naufragi che incrementano il lungo elenco di donne, uomini e bambini morti e dispersi a causa di altri uomini empi e violenti.
Nel mondo predominano sempre più i potentati economici e ideologici, prolificano le guerre e ritornano gli odi razziali.
L’Eucaristia ci custodisca nell’orizzonte dell’amore, perché l’uomo, la città degli uomini e la casa comune non precipiti nel baratro.
«[O Gesù] Tu che tutto sai e puoi, /che ci nutri sulla terra,/conduci i tuoi fratelli/alla tavola del cielo/nella gioia dei tuoi santi» (Sequenza).