Fu il primo attentato “libanese” di Cosa nostra, l’aggettivo accostava la Palermo martoriata dalla guerra di mafia dei primi anni ’80 alle strade di Beirut. In effetti, via Pipitone Federico a Palermo venne devastata alle 8 del 29 luglio 1983 dall’autobomba piazzata per uccidere il consigliere istruttore Rocco Chinnici. Con lui morirono i carabinieri Mario Trapassi e salvatore Bartolotta. Insieme a loro morì Stefano Li Sacchi, portiere dello stabile in cui il magistrato abitava; diversi furono i feriti. Rocco Chinnici, la cui eredità professionale venne raccolta da Antonino Caponnetto, fu l’ispiratore del pool antimafia presso la Procura di Palermo.
“La mafia -diceva Chinnici – è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione della ricchezza. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti pubblici, i mercati più opulenti, i contrabbandi che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi. La mafia è dunque tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza. […] La mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere”.