«La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte provenga. La sua via non è la neutralità, ma la profezia» (Cardinale Giacomo Lercaro, Omelia, 1 gennaio 1968). Un’omelia drammatica quella della prima Giornata mondiale della pace indetta da Paolo VI nel 1968 allorché cresceva sempre più l’inquietudine per lo scenario mondiale stremato dalla guerra fredda.
I discepoli di Gesù sono chiamati ad accogliere e ad annunciare l’Evangelo, la parola di Dio. Per questo più la Chiesa affina, lei per prima, il suo pensiero e il suo agire all’Evangelo, libera da ogni interesse politico e persino da ogni metodo analogo a quelli delle potenze di questo mondo, più potrà – umilmente, ma con audacia – contribuire a dare voce a quanti subiscono gli orrori della guerra e, in questo momento, della guerra che si sta consumando in Siria e in tante altre aree del mondo, come lo Yemen, il Congo, il Sud Sudan, la Terrasanta. È cosi darà voce anche a chi la guerra detesta e rinnega in nome della pace, l’unica via che ha la famiglia umana perché i più deboli non conoscano più prevaricazione, sofferenza, violenza, morte. Oggi c’è invece il rischio di confondere le coscienze proponendo false interpretazioni della pace o false giustificazioni della guerra e dei suoi metodi più indiscriminatamente distruttivi. Compreso l’utilizzo di armi chimiche.
Ancora una volta si è percorsa la via della deterrenza attraverso i raid aerei, utilizzando i sofisticati armamenti che imperterrite le industrie belliche continuano a produrre. Ancora una volta, per una concatenazione quasi fatale di pregiudizi, di ambizioni, di tragiche leggerezze, di fatalismo, ovvero per il meccanismo incontrollabile delle alleanze impegnate dai capi di questo mondo, la strada della guerra viene battuta senza remore. Ancora una volta la guerra viene presentata come l’unica opzione possibile per mettere fine a un conflitto. Ma le guerre ‘per la pace’ hanno solo alimentato altra violenza. In questi Paesi i civili, uomini e donne inermi, bambini, anziani, malati, continuano a morire, ogni giorno.
Non ha usato mezzi termini il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, mons. Georges Abou Khazen, nel commentare al Sir i raid aerei sferrati a Damasco e Homs: «Con questi missili hanno gettato la maschera. Prima era una guerra per procura. Ora a combattere sono gli attori principali. Sono sette anni, è iniziato l’ottavo, che si combatte sul suolo siriano e ora che gli attori minori sono stati sconfitti, in campo sono scesi i veri protagonisti del conflitto. Dopo questi raid sarà tutto più difficile. Intanto cresce la sofferenza della popolazione che chiede pace e in cambio ottiene bombe e missili».
Alienum est a ratione. È irrazionale! È l’annuncio chiaro a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, sgorgato dal cuore di Giovanni XXIII e consegnato alla Lettera enciclica Pacem in terris che porta la data dell’11 aprile 1962. «Pace in terra agli uomini di buona volontà». Questo è l’Evangelo, questa è la bella notizia che i cristiani condividono con tutti gli uomini e le donne, a maggior ragione con quanti vogliono custodire una retta e sapiente ragione. È irrazionale la guerra. Apporta una cattiva notizia nella vita degli uomini, non certamente un e-vangelo, una bella notizia. Sempre. Terrore, distruzione, morte, trauma, povertà; profitto per pochi, miseria ed emigrazione per molti. Ecco perché è anche intrinsecamente antievangelica. Ogni guerra ‘racconta’ che colui che la determina ha smesso di partire dalla ragione perché motivato da un interesse parziale. La guerra dice la rinuncia alla ragione, al dia-logo, alla intelligenza, al discernimento e dunque alla verità. Se smette la ragione subentra l’ideologia, una visione parziale e interessata, e in definitiva la menzogna. Solo la recta ratio, – e dunque solo il dialogo – consente di ricercare la verità in vista della convivenza pacifica delle comunità umane. È la ragione umana che grida no alla guerra e a ogni forma di violenza quando siamo raggiunti dalle conseguenze che genera nella vita di quanti vi sono coinvolti non per loro volontà ma per interesse di pochi, in particolare i bambini. È la ragione stessa che chiede un Evangelo. “Beati i miti. Beati gli operatori di pace”.
Ma mi si consenta però di dire qui che a chiedere la pace, oggi e sempre, ancor prima della ragione invocata da Giovanni XXIII, in quel documento ancora oggi così disatteso, [ecco, a chiedere la pace] è il corpo. Voglio dire che nell’uso del principio di ragione può nascondersi il tarlo della contraddizione, della mistificazione. Quanti ‘razionalisti’ – politici, filosofi, uomini di chiesa, giornalisti – sono pronti a trovare e a istituire una ragione che in base a calcoli e a motivi strumentali tenti di giustificare l’ingiustificabile, o addirittura si spinga fino a sostenere la necessità della violenza e della guerra! Ma se fondiamo il primato della pace nel corpo, allora tutto questo è impossibile. È il corpo infatti che rende ‘retta’ la ragione. Con la forza sorgiva del loro stesso esserci i corpi dei bambini, delle donne, degli uomini di ogni parte del mondo, di ogni colore o cultura, esprimono un desiderio di vita, di bellezza, di pace, gridano un voler vivere e un voler godere del tempo e delle relazioni, che è il nocciolo della nostra comune umanità, ed è ciò che sotto ogni cielo ci fa quello che siamo. Il corpo rifiuta la violenza e la guerra. Il corpo desidera vivere e abitare il mondo. È il corpo custodito, abbracciato e amato che ci fa dire ancor oggi, insieme a Paolo di Tarso, che non c’è «più giudeo né greco, schiavo né libero», ma tutti siamo una cosa sola, in Cristo Gesù, principio di una nuova umanità. Gesù incontrava e riconosceva il corpo, la persona che porta un nome: Maddalena la posseduta, Zaccheo il pubblicano, l’eretica Samaritana, Bartimeo il cieco, Giuda il traditore. Da Paolo, l’apostolo delle genti, l’Occidente ha tratto il suo pensiero di difesa dei diritti dell’uomo in quanto uomo, del diritto all’esserci e alla felicità di ogni vivente, pensiero che è stato e rimane il grande dono della nostra cultura alla storia mondiale. Di questo dono e di questo sogno noi oggi vogliamo essere i cantori, non i traditori, perché solo qui si fonda la pace, in quanto inalienabile diritto di ognuno e di noi tutti a vivere insieme in bellezza e in armonia, in giustizia e in verità.
Siamo qui per chiedere il dono della pace, per invocarlo da Dio. Siamo qui per riconfermare la scelta della non violenza che deve segnare ogni rapporto umano compresi i rapporti internazionali. Siamo qui per chiedere a quanti sono impegnati ad affrontare con la guerra la questione siriana o di altre aree belliche che impieghino energie e forze per risolverla con pazienza e dialogo. Siamo qui per chiedere con coraggio e determinazione a quanti hanno messo in atto questi eventi bellici che «questi attacchi non si allarghino anche in altri luoghi della regione perché sarebbe davvero pericoloso e tutto potrebbe sfuggire di mano. Serve una soluzione condivisa da raggiungere senza menzogne» (Georges Abou Khazen).