I Chiaroscuri: Il Coronavirus e le responsabilità della politica

Tentare un bilancio

A due mesi e mezzo dall’inizio del contagio in Italia – i primi due casi di coronavirus in Italia (due turisti cinesi) sono stati annunciati dal presidente del Consiglio in una conferenza stampa del 30 gennaio scorso – è forse possibile fermarsi un momento a fare un bilancio del comportamento della nostra classe politica di fronte a questa crisi. Senza cedere alla tentazione – a cui purtroppo indulgono ampiamente alcuni giornali, quotidiani e settimanali – di istituire “processi”, più o meno sommari e unilaterali, a carico di questo o quel personaggio (per lo più sul banco degli imputati è Giuseppe Conte), ma non per questo rinunziando a mettere in luce precise responsabilità, da tutte le parti, di cui è bene prendere coscienza.

La prima attenuante: la novità della pandemia

A costituire un’attenuante fondamentale – per tutti: governo e opposizione – sono tre fattori, che spesso vengono trascurati nelle roventi arringhe degli accusatori.

Uno è che questa è la nostra prima (e speriamo ultima) pandemia. Non ne avevamo mai avute e non immaginavamo neppure di poterne fare l’esperienza nella nostra vita. Ci siamo trovati coinvolti in una catastrofe che, a detta di molti, è la peggiore dopo la seconda guerra mondiale e, in termini sanitari, dopo la “spagnola” di un secolo fa.

La seconda attenuante: la nostra ignoranza riguardo al coronavirus

Il secondo fattore riguarda le caratteristiche specifiche del morbo che ci ha colpiti. Il coronavirus per noi era uno sconosciuto. Non ne sapevamo nulla e ancora in larga misura non ne conosciamo le “abitudini”. Per esempio non si sapeva della fulminea rapidità con cui è in grado di trasmettersi anche solo per una prossimità fisica al bar o in un negozio. Non si sapeva che nella maggior parte dei casi si fa veicolare da soggetti asintomatici, per raggiungerne altri particolarmente fragili. E che quindi è del tutto inutile misurare la febbre o controllare la tosse di una persona, per stabilire la sua pericolosità per gli altri.

Le illusioni del governo…

Se non si tiene conto di questi due elementi, si sarà portati a considerare con severità il resoconto ufficiale della conferenza stampa di Conte, il 30 gennaio, in cui si dice che il presidente del Consiglio «ha rassicurato sul fatto che la situazione è sotto controllo e che le misure assunte sono di carattere precauzionale e collocano l’Italia al più alto livello di cautela sul piano internazionale».

Parole che oggi, alla luce di quello che è successo dopo, appaiono quasi patetiche, e rivelano l’assoluta impreparazione del governo a capire cosa stava per accadere.

… E quelle dell’opposizione

Ma non meno irrealistiche, per la verità, suonano le critiche del capo dell’opposizione, Matteo Salvini, all’indomani della sospensione dei voli tra Italia e Cina, annunciata nella stessa conferenza stampa del 30 gennaio: «Qualcuno nel governo ha perso tempo e ha sottovalutato quanto stava avvenendo». E ancora «Il governo verifichi ogni singolo ingresso via aerea, via terra e via mare. Altri Paesi hanno fatto in fretta, in Italia s’è dovuto aspettare le 10.30 di ieri per avere le sospensione dei collegamenti aerei».

Un errore marchiano

Qui l’ansia di accusare il governo appare assai maggiore della lucidità nel criticarne le mosse. Perché in realtà, ben lungi dall’essere arrivata troppo in ritardo, quella sospensione era un errore marchiano. Non era necessario essere dei geni o dei profeti per rendersi conto che i viaggiatori provenienti dalla Cina avrebbero aggirato facilmente il blocco, prendendo dei voli che facevano scalo in altri Paesi, per proseguire da lì verso l’Italia, mescolandosi così alla folla di passeggeri di quei Paesi. Col risultato di rendere impossibile un monitoraggio e una quarantena specificamente destinati a impedire  loro di diffondere il contagio.

Un nemico invisibile

Ma, ancora una volta, bisogna invocare per Salvini la stessa attenuante che vale per Conte: non sapeva di cosa parlava. Lo dimostra il fatto che, ancora il 21 febbraio, insisteva sui controlli alle frontiere: «Penso ai controlli di chiunque entra in Italia ed esce dall’Italia: evidentemente, qualcosa non funziona. Il Governo? Non do colpe a Tizio e a Caio: è fondamentale, se non l’hanno fatto da ieri, che da oggi, chiunque entri in Italia con qualunque mezzo di trasporto, dalla zattera all’aeroplano, venga controllato».

Quali controlli? Oggi sappiamo che sono necessari una quarantena di almeno quattordici giorni e tre tamponi, per essere sicuri che una persona proveniente da zone infestate non è colpito dal coronavirus. Sarebbe stato possibile farlo con i viaggiatori provenienti dalla Cina, ma proprio questo il provvedimento di chiusura dei voli, che a Salvini è sembrato necessario, anche se tardivo, lo impediva…

La fine delle frontiere

E quali frontiere? Oggi sappiamo che, anche se il primo caso italiano è stato registrato il 21 febbraio, il coronavirus era in Italia già a gennaio. A differenza dei migranti, esso è invisibile e non si lascia bloccare ai confini di uno Stato, cosicché ha approfittato delle logiche della globalizzazione per circolare indisturbato in tutti i continenti e i Paesi del pianeta. Non parlava lingue straniere, parlava l’italiano. E le sole frontiere che si sono rivelate significative, per fermare la pandemia, non sono state quelle tra Stato e Stato, ma quelle tra regione e regione, tra comune e comune, tra casa e casa della stessa nazione.

Tranne che in qualche caso, in cui è sembrato di poter individuare un Paese come focolaio da cui tutti gli altri dovevano difendersi, come è stato quando molti hanno chiuso le frontiere e gli scambi con l’Italia… Ma anche questo si è rivelato preso illusorio.

La terza attenuante: l’eredità del passato

Ma c’è anche un terzo fattore, che deve costituire un’attenuante agli occhi di chiunque guardi con obiettività l’accaduto, ed è il fatto che gli attuali protagonisti della scena politica devono fare i conti con situazioni che hanno ereditato da altri e di cui non sono direttamente responsabili.

Si sente continuamente accusare il governo dei ritardi inaccettabili con cui la burocrazia gestisce concretamente gli aiuti alle innumerevoli persone che il coronavirus ha gettato nell’indigenza o comunque mette a rischio di fallimento.

Ma la farraginosità e l’elefantiasi della macchina burocratica sono, in Italia, una malattia cronica che non sarebbe giusto addebitare all’attuale governo o al quello precedente. Così come non possono esserlo la limitatezza delle risorse o i condizionamenti provenienti dai nostri  accordi con l’UE.

La fiducia degli italiani in Conte

È significativo che la linea di Conte, con errori e limiti di ogni genere, alla fine sia stata seguita da tutti gli altri Paesi, anche da quelli che in un primo momento l’avevano irrisa. Questo almeno hanno percepito gli italiani, i quali, malgrado i suoi errori di prospettiva (le fallaci assicurazioni di avere tutto sotto controllo), malgrado le disfunzioni e le incertezze della sua azione di governo, hanno avuto una crescente fiducia in lui. Anche se non è un bravo comunicatore – gli si addebita giustamente di parlare troppo e poco chiaramente, gettando spesso confusione –; ma sa che è importante cercare di rivolgersi ai cittadini, e lo fa continuamente.

Le svolte contraddittorie dell’opposizione

Del resto, francamente, non meno incerta ci sembra la linea dell’opposizione. Sfumata l’illusione di fermare il nemico alle frontiere, Matteo Salvini ha assunto posizioni diverse e fortemente contrastanti sulla politica da seguire. Il 27 febbraio – poco dopo che il 23 febbraio il governo, allarmato dal dilagare dei contagi, aveva approvato un decreto legge che prevedeva drastiche misure di contenimento per alcuni comuni del Veneto e della Lombardia, definiti “zona rossa” –, il leader leghista dichiarava: «Il Paese affonda, con i governatori leghisti concordiamo che occorre riaprire tutte le attività e ritornare alla normalità».

Una proposta francamente irrealistica, la quale ancora una volta sembra più ispirata a una logica oppositiva nei confronti del governo che a un vero progetto, e che infatti, davanti al precipitare della situazione, veniva rinnegata dallo stesso Salvini il quale il 10 marzo attaccava ancora la presidenza del Consiglio, ma per chiedere questa volta una maggiore rigidezza: «Fermiamo tutto per i giorni necessari. Mettiamo in sicurezza la salute di tutta Italia. Chiudere prima che sia tardi».

Ultimamente, il 16 aprile, un ulteriore drastico cambiamento di rotta ha portato il leader dell’opposizione a chiedere invece una riapertura delle attività produttive della Lombardia.

I diritti dell’economia e quelli delle persone

Sulla base, certo, delle esigenze reali dell’economia, che non possono essere sacrificate del tutto senza colpire anche le persone che da essa traggono le loro risorse vitali, ma col grande dubbio, sollevato da Saviano e da tanti altri, che dietro le politiche di “apertura a tutti i costi” – a lungo difese anche in altri Paesi occidentali –, ci sia il cinico calcolo che le vite umane in fondo valgono meno del buon funzionamento della macchina neocapitalista…

In mezzo al guado

La verità è che siamo in mezzo a un guado di cui ancora non si vede bene la fine. È importante, però, procedere con gli occhi aperti. Troppo spesso oggi la rabbia, la faziosità politica, la paura, offuscano lo sguardo. Siamo tutti chiamati a contribuire, da cittadini responsabili, a mantenere il dibattito pubblico su un piano di ragionevolezza. Che si sia d’accordo o meno con la mia analisi, spero di aver contribuito almeno ad alimentare un confronto civile.

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