19 giugno 2022 CS --50/22

Celebrazione della solennità del Corpus Domini, Omelia dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice

Alle 19.00, dopo la celebrazione dei Vespri, la solenne Processione cittadina dalla Basilica di San Domenico alla Chiesa Cattedrale

«L’eucaristia convoca il mondo intero. Dilata sempre la Chiesa, le nostre comunità cristiane, i nostri cuori. “La mia carne che io darò è per la vita del mondo” (cfr Gv 6,51), per la vita di questa nostra città, che conosce incuria, povertà, violenza, indifferenza. Di questa nostra città che unisce il sangue dei martiri della giustizia e della fede, che vuole e deve tornare ad essere spazio comune di legalità, di solidarietà e di convivenza pacifica; giardino e non mondezzaio; di questa città che vuole riconoscere e onorare ogni corpo, a maggior ragione quando viene deposto nei suoi cimiteri in attesa della beatitudine della vita e della convivialità eterna».

E’ l’ultimo passaggio dell’omelia pronunciata questa mattina dall’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice nel Pontificale da lui presieduto nella Basilica di San Domenico in occasione della solennità del Corpus Domini.

L’Arcivescovo ha usato parole chiare, nette, per esortare tutti i cittadini di Palermo a vivere, con spirito eucaristico e sinodale, la comunità e a costruire il futuro di questa città.

Ecco il testo completo dell’omelia:

 

Solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

Chiesa di S. Domenico – 19 giugno 2022

Omelia

Il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale che si celebrerà quest’anno a Matera (22-25 settembre) ha come tema Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale.

La fragranza del pane spezzato e condiviso narra i desideri più profondi che portiamo nel cuore noi umani, commensali della mensa della casa comune che è la Terra: vita e convivialità.

Vivere è gustare la vita che scorre dentro e fuori di noi, accanto a noi e in ogni anfratto di questo giardino che ci ospita con al centro l’albero della vita. Vivere è condividere con altri il gusto della vita. Nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nelle nostre città, nei luoghi di ritrovo, nelle strade, in montagna, in campagna, al mare. Il gusto ultimo del pane è la condivisione della vita, in ogni sua fase: dalla spensieratezza dell’infanzia, alla responsabilità dello stato adulto, alla gioiosa e sapiente eredità di memoria della vecchiaia.

Nei Vangeli Gesù spesso si ritrova in contesti conviviali dove condivide il gusto del pane. Ce lo testimonia questo episodio narrato dall’evangelista Luca. Gesù «prese a parlare alle folle del regno di Dio». La folla si accalca. Pende dalle sue labbra. Egli annuncia la bella notizia che Dio porta nel cuore ogni uomo e ogni donna come un autentico padre fa con i suoi figli, che il suo desiderio è che tutti abbiano vita in abbondanza. Proclama che Dio è felice di imbandire una mensa conviviale con tutti i suoi figli e figlie, ma proprio tutti; che conserva persino un posto a tavola anche per chi ha sbattuto la porta andandosene sperperando i beni di casa. Che la sua massima felicità è vedere riunita l’intera famiglia umana a condividere la bellezza e la gioia incontenibile di una fraternità compiuta. Narra con parole e segni che Dio ha viscere di misericordia per tutti i suoi figli e che si prende cura particolarmente dei più piccoli e dei più fragili. Luca infatti precisa che Gesù «prese a guarire quanti avevano bisogno di cure».

Gesù ‘prende’! Sempre! Si coinvolge con tutto se stesso. Fino all’eccesso divino apparso nell’eccesso umano di ‘prendere’ se stesso e farsi pane. Gesù supera l’evidenza della logica umana: «I Dodici gli si avvicinarono dicendo: “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”». Il Vangelo del Regno non è una nozione o qualcosa di astratto. Gesù non conceda mai nessuno. Piuttosto dà se stesso. In lui, il Regno di Dio si ‘in-vera’ nella vita degli uomini: «Voi stessi date loro da mangiare».

«Qui siamo in una zona deserta». Il gusto del pane è riverbero del bisogno di vita. Nel deserto la vita è messa alla prova. «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Il gusto del pane è riflesso della sete di convivialità e di cura: per noi umani è insopportabile l’isolamento.

Gesù Novello Melchìsedek, re di Salem, re di giustizia e di pace, offre fragranza di pane e convivialità, cibo essenziale che dà gusto pieno all’esistenza di chi si fa suo commensale. Dona un pane di vita e di convivialità eterna. Condivide se stesso: «Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. […] Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,51.54). Nel suo darsi c’è il darsi di Dio Padre nel Figlio unigenito fattosi carne: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

Si pregusta già qui a Betsaida quell’ultima cena pasquale di Gerusalemme, il gusto di quel pane che Gesù spezza e di quel calice che consegna e condivide ai suoi discepoli, anche a Giuda e a Pietro. Quella cena a cui fa riferimento Paolo Apostolo quando scrive alla comunità divisa di Corinto nonostante continui a ritrovarsi per fare memoria della cena del Signore, per celebrare l’Eucaristia, sacramento di amore e di unità: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”». Gesù si fa pane. Per dare ad altri il gusto della vita e della convivialità, si dona come pane. Fa diventare la sua vita pane, corpo spezzato e donato, condiviso.  «Date voi stessi da mangiare».

L’Eucarestia è il centro della vita del discepolo e della vita della Comunità cristiana e deve sempre più diventare principio vitale e normativo di tutta l’esistenza dei discepoli del Signore Gesù.

Oggi, forse, dobbiamo ricominciare dal fatto di avere coscienza e di annunciare che il pane e il vino quando ci ritroviamo per l’Eucaristia sono il corpo e il sangue del Signore: «Questo è il mio corpo che per voi» (1Cor 11 24). «È per noi», di certo significa «sacrificato per noi», ma non va perso di vista che significa anche «è dato per sempre», «è a nostra disposizione per tutta la nostra vita», fino al nostro ultimo respiro e fino a quando non entreremo nell’Eternità di Dio. Ed essendo per noi e in noi per sempre, attiva in noi l’acqua zampillante dello Spirito. Nell’Eucaristia si attinge in maniera unica anche rispetto ad altre fonti lo Spirito Santo, primo dono del Crocifisso risorto ai suoi discepoli e al mondo intero. «La pienezza dello Spirito la riceviamo nell’eucaristia. È questa la via regale attraverso la quale lo Spirito di Dio si fa nostro spirito. […] solo lo Spirito che noi riceviamo attraverso il mistero del Cristo crocifisso e risorto può farci capaci di aspirare alla pienezza dell’incontro con Dio e della vita in lui» (G. Dossetti).

L’Eucaristia impianta in noi la vita in Cristo, secondo Cristo. L’eucaristia interpella l’essere e conseguentemente l’agire delle nostre comunità cristiane, di noi discepoli e discepole del Signore Gesù. Quel «date loro voi stessi da mangiare» in effetti, alla luce del corpo di Cristo che noi riconosciamo realmente presente dell’Eucaristia, dice a noi e alle nostre comunità: «date voi stessi come cibo da mangiare, donate anche voi il vostro corpo, la vostra vita, come faccio io. Fate questo in memoria di me». E a scanso di equivoci non si tratta di organizzare una presenza assistenziale, fare qualche opera di bene, di cosiddetta carità! È un comando che critica e contesta l’indifferenza e il paravento dell’impossibilità e della mancanza di risorse per poter far fronte al bisogno di vita e di convivialità che ogni giorno tocchiamo con mano sulle strade delle nostre città, nel pianerottolo del nostro condominio, nel territorio delle nostre comunità parrocchiali, nella Casa comune che rischia di diventare una selva oscura, un deserto, un campo di battaglia tra uomini e donne sempre più nemici e meno fratelli.

«Il comando evangelico urta, ieri come oggi, contro i parametri di buon senso, razionalità, efficienza che pervadono anche la chiesa. Paradossalmente, proprio la povertà che i discepoli vedono come ostacolo, è per Gesù lo spazio necessario del dono e l’elemento indispensabile affinché quel “dar da mangiare” non sia solo dispiegamento di efficienza umana, ma segno della potenza, della benedizione e della misericordia di Dio e luogo di instaurazione di fraternità e di comunione. Non a caso l’esito è sovrabbondanza, la sazietà di tutti: “Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste” (9,17). E questa eccedenza è segno del dono di Dio, della sua presenza, della sua benedizione, dell’agire messianico» (L. Manicardi).

Riconoscere dell’Eucaristia, il corpo e il sangue reale del Signore morto e risorto –   colui che è venuto nella debolezza, viene sacramentalmente e verrà nella gloria -, ci chiede di ritornare al gusto del pane. Di essere una Chiesa fraterna, eucaristica, sinodale, audace e concreta nell’annuncio della bella Notizia.

L’eucaristia convoca il mondo intero. Dilata sempre la Chiesa, le nostre comunità cristiane, i nostri cuori. «La mia carne che io darò è per la vita del mondo» (cfr Gv 6,51), per la vita di questa nostra città, che conosce incuria, povertà, violenza, indifferenza. Di questa nostra città che unisce il sangue dei martiri della giustizia e della fede, che vuole e deve tornare ad essere spazio comune di legalità, di solidarietà e di convivenza pacifica; giardino e non mondezzaio; di questa città che vuole riconoscere e onorare ogni corpo, a maggior ragione quando viene deposto nei suoi cimiteri in attesa della beatitudine della vita e della convivialità eterna.

Torniamo tutti al gusto del pane!