“Sono ormai trascorsi ben 23 anni dalla sua barbara uccisione per mano mafiosa, e nonostante il trascorrere del tempo, le sue idee, le sue parole e il suo esempio, sono da sprone per tutti noi, uomini e donne di buona volontà”. Lo ha detto il card. Paolo Romeo, nel corso dell’omelia pronunciata durante la celebrazione Eucaristica svoltasi in San Domenico, in quello che viene considerato il Pantheon degli uomini illustri di Sicilia, dove da martedì scorso riposano le spoglie del giudice Giovanni Falcone, ucciso nella strage di Capaci.
La pietra tombale, posta sotto il mausoleo di Emerico Amari é affiancata da due lapidi in marmo in ricordo della moglie Francesca Morvillo, del giudice Paolo Borsellino e degli uomini della scorta: Rocco Dicillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano.
La cerimonia di svelamento della sepoltura si è svolta al termine della messa a cui hanno partecipato i familiari del giudice ucciso dalla mafia 23 anni orsono e numerosi rappresentanti delle Istituzioni e della società civile. La manifestazione è stata organizzata dalla Comunità dei Padri Domenicani e dalla “Fondazione Giovanni e Francesca Falcone”.
“Questa messa viene celebrata in suffragio del giudice Giovanni Falcone, e di tutti gli uomini e le donne uccisi per aver servito lo Stato e la giustizia – ha proseguito l’Arcivescovo – ed oggi non possiamo dimenticarci di Paolo Borsellino, sia per noi non solo un mero ricordo, ma impegno concreto al servizio del vero bene comune”. Poi citando le parole del suo predecessore, il card. Salvatore Pappalardo, ha detto: “Non possiamo subire il male, non possiamo rassegnarci a quanto così gravemente deturpa l’immagine della nostra città, della nostra isola. È necessaria una profonda salutare reazione liberatrice da ogni potere criminale o mafioso, della cui attuazione non possono essere caricati o delegati soltanto alcuni determinati ceti o persone”.
Ed oggi, a distanza di 23 anni, cosa è cambiato nella nostra amata città di Palermo, nella nostra isola e nella nostra cara Italia? – Ha rilevato Romeo – Certo, molto si è fatto per il bene comune e per la società, e la nostra numerosa presenza oggi in questa chiesa, ne è testimonianza concreta. Credo, tuttavia, che ancora molto rimanga da fare, a tutti i livelli: a livello politico, civile, sociale, economico, religioso e umano. Abbiamo tutti una responsabilità comune, un impegno che sia scevro da ogni mero interesse di parte, ma aperto al bene di tutti e per tutti, nessuno escluso, secondo criteri di giustizia ed equità sociale. Tutti noi, non essendo delle isole, ma vivendo in una società articolata, abbiamo bisogno gli uni degli altri. L’uomo non è stato fatto per vivere da solo; questa autoreferenzialità lo porterebbe ad una rovinosa fine. L’uomo è stato creato, invece, per vivere felice in una comunità di fratelli, animati dal bene reciproco, nella pacifica convivenza e secondo il piano d’amore di Dio”.
Quindi, citando padre Pino Puglisi ha detto: “Così anche il Beato Giuseppe Puglisi, sacerdote della nostra città, che non si è risparmiato, fino alla fine, di cercare le forme e le vie utili per un riscatto integrale della persona, a costo della propria vita, ci ha dato un esempio concreto di come “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto. Ognuno di noi è chiamato a “fare” qualcosa; tuttavia, se questo “fare” non è permeato da un “essere” profondo, serve a poco, e si esaurisce in sola filantropia. Che il nostro fare sia spinto da sentimenti di vero bene, illuminati e permeati dalla forza del Vangelo, da una condotta di vita autentica e coerente”.
La pietra tombale, posta sotto il mausoleo di Emerico Amari é affiancata da due lapidi in marmo in ricordo della moglie Francesca Morvillo, del giudice Paolo Borsellino e degli uomini della scorta: Rocco Dicillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano.
La cerimonia di svelamento della sepoltura si è svolta al termine della messa a cui hanno partecipato i familiari del giudice ucciso dalla mafia 23 anni orsono e numerosi rappresentanti delle Istituzioni e della società civile. La manifestazione è stata organizzata dalla Comunità dei Padri Domenicani e dalla “Fondazione Giovanni e Francesca Falcone”.
“Questa messa viene celebrata in suffragio del giudice Giovanni Falcone, e di tutti gli uomini e le donne uccisi per aver servito lo Stato e la giustizia – ha proseguito l’Arcivescovo – ed oggi non possiamo dimenticarci di Paolo Borsellino, sia per noi non solo un mero ricordo, ma impegno concreto al servizio del vero bene comune”. Poi citando le parole del suo predecessore, il card. Salvatore Pappalardo, ha detto: “Non possiamo subire il male, non possiamo rassegnarci a quanto così gravemente deturpa l’immagine della nostra città, della nostra isola. È necessaria una profonda salutare reazione liberatrice da ogni potere criminale o mafioso, della cui attuazione non possono essere caricati o delegati soltanto alcuni determinati ceti o persone”.
Ed oggi, a distanza di 23 anni, cosa è cambiato nella nostra amata città di Palermo, nella nostra isola e nella nostra cara Italia? – Ha rilevato Romeo – Certo, molto si è fatto per il bene comune e per la società, e la nostra numerosa presenza oggi in questa chiesa, ne è testimonianza concreta. Credo, tuttavia, che ancora molto rimanga da fare, a tutti i livelli: a livello politico, civile, sociale, economico, religioso e umano. Abbiamo tutti una responsabilità comune, un impegno che sia scevro da ogni mero interesse di parte, ma aperto al bene di tutti e per tutti, nessuno escluso, secondo criteri di giustizia ed equità sociale. Tutti noi, non essendo delle isole, ma vivendo in una società articolata, abbiamo bisogno gli uni degli altri. L’uomo non è stato fatto per vivere da solo; questa autoreferenzialità lo porterebbe ad una rovinosa fine. L’uomo è stato creato, invece, per vivere felice in una comunità di fratelli, animati dal bene reciproco, nella pacifica convivenza e secondo il piano d’amore di Dio”.
Quindi, citando padre Pino Puglisi ha detto: “Così anche il Beato Giuseppe Puglisi, sacerdote della nostra città, che non si è risparmiato, fino alla fine, di cercare le forme e le vie utili per un riscatto integrale della persona, a costo della propria vita, ci ha dato un esempio concreto di come “Se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto. Ognuno di noi è chiamato a “fare” qualcosa; tuttavia, se questo “fare” non è permeato da un “essere” profondo, serve a poco, e si esaurisce in sola filantropia. Che il nostro fare sia spinto da sentimenti di vero bene, illuminati e permeati dalla forza del Vangelo, da una condotta di vita autentica e coerente”.