XXXI anniversario della strage mafiosa di via D’Amelio

Omelia Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice - Chiesa di S. Maria della Pietà - 19.7.2023

Omelia

 

“Il Signore disse: «Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te”.

Gesù nel Nuovo Testamento è il Figlio di Dio uscito dal seno del Padre, fattosi carne, venuto sulla terra a far sue le sofferenze degli uomini amati da Dio. Egli è il Messia che salva scendendo e prendendo (condividendo) su di sé le sofferenze degli uomini, compreso il travaglio della creazione intera che anella ad “essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio” (Rm 8,21).

Lo stile di vita manifesta il sentire interiore e le sue motivazioni: il Gesù di questa pagina evangelica che innalza la lode al Padre perché la sua logica scardina quella umana, perché nasconde queste cose ai sapienti e ai dotti e le rivela ai piccoli (cfr Mt 11,25), è pienamente coinvolto nella vicenda, nelle angosce e nelle attese degli uomini, nonostante l’incomprensione dello stesso Giovanni il Battista. Rinchiuso in carcere da Erode invia i suoi discepoli a domandare a Gesù: “sei tu il veniente” (Mt 11,3). Ma anche nonostante l’ostilità e il giudizio della sua generazione, delle città di Corazin, Betsaida e Cafarnao dove lui aveva operato guarigioni e annunziato la bella Notizia del Regno dei cieli, nonostante la decisione del potere religioso e politico di eliminarlo. Ma lo sconforto e la rabbia – v. 21: “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida”, invettiva e lamento assieme, “guai” ed “ahimè”, è il doppio senso dell’esclamazione usata –, non impediscono a Gesù di rimanere dalla parte degli uomini, dei piccoli, degli affaticati e degli oppressi (cfr Mt 11,25.28).

È anche un grande insegnamento di umanità: non far finta che tutto vada bene, ingannando sé stessi e gli altri, venendo meno alla propria responsabilità, ma non smettere di operare e progettare il bene dell’altro, anche di chi non ascolta e non cambia.

L’incontro di Paolo Borsellino con il Dio “Totalmente Altro” e completamente solidale con la storia dell’uomo, ha trasformato e indirizzato tutta la sua vita. Siamo convenuti nella chiesa dove lui è stato immerso nelle acque battesimali, immerso nella fede nel Dio di Gesù Cristo. Tutta la sua esistenza – compresa la sua morte! –  è una risposta alla chiamata della fede. La fede è una conoscenza – nella Bibbia conoscere significa relazione, si evince nella pagina evangelica odierna: “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo” (Mt 11,27) – [la fede] non è uno snocciolare formule di preghiera o un’arida ripetizione di formule dottrinali. È una Presenza che accompagna e sostiene tutta la vita: «Io sarò con te» (Es 3,12). Una forza di vita che ti spinge dal di dentro. È la Presenza di un Dio che ascolta sempre il grido dell’oppresso e che si coinvolge in un’opera di liberazione umana. L’incontro autentico con Dio – la fede che fa amare Dio «con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente» – porta sempre all’incontro con l’uomo, affida una missione: «amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lc 10,27).

Di fronte a un Dio che ascolta il grido dell’uomo, se ne prende cura, scende per liberarlo, la fede, la relazione con Dio alimentata dalla preghiera – il libro dei Salmi sul comodino di Paolo Borsellino, la sua fedeltà alla messa domenicale, alla fractio panis, al gesto di Gesù che spezza il suo corpo per darlo come cibo di vita e di vita eterna, la sua costanza al sacramento della confessione, fino a pochi giorni prima di essere ucciso –  fa entrare in una dinamica proesistenziale l’intera vita (cittadino, sposo, padre, magistrato, amico). Essa, la vita, diventa sguardo ampio, ascolto profondo, responsabilità professionale indefettibile, cura attenta per l’uomo, impegno indefesso per una città liberata da ogni forma di esercizio e di concentrazione di potere. E, a scanso di equivoci, ogni esercizio di potere di uomini su altri uomini è mafioso e alimenta la mafia, è potere criminale, e si alimenta alla fonte degli intrighi e delle connivenze omertose, delle protezioni e delle impunità.

Ogni incontro con Dio, al cuore della vita divenuta tempio della sua presenza (Es 3,1-2: «mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro… L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto»), richiede sempre obbedienza e piena responsabilità in un cammino carico di dovere e di oneri, in una missione. Ogni preghiera non è solo attardarsi “nel roveto di Dio”, ma è lasciare che questo roveto accenda tutta la nostra vita della stessa compassione di Dio. Di questo amore salvifico di Dio in noi. La fede di un vero uomo o di una vera donna – a maggior ragione di un magistrato o di un agente di polizia –  consacra alla giustizia, consacra a riscattare la vita della città umana da tutto quello che la disumanizza, la opprime, non la rende a misura dei piccoli e dei bambini.

Nel Salmo 11,3 si legge: «Quando le fondamenta sono state scosse, cosa può fare il giusto?». Quando i malvagi distruggono i fondamenti dell’umanità, solo l’azione dei Giusti può evitare che il loro disegno perverso possa avere successo. Per questo nel Talmud babilonese, parlando dei Giusti, viene detto che chi uccide un uomo è come se uccidesse il mondo intero, e chi salva un uomo è come se salvasse il mondo intero.

La Memoria che oggi rinnoviamo in questa data drammatica per il nostro Paese deve diventare sempre più misura del nostro vivere gli impegni umani e sociali e il nostro servizio alle Istituzioni che oggi rappresentiamo; e molto più, il nostro obiettivo educativo e formativo per le nuove generazioni, parte integrante del compito istituzionale che ci siamo assunti.

Teniamo desta la memoria dei Giusti, di questi nostri memorabili e amabili Giusti, uccisi nella strage di via D’Amelio 31 anni fa, che hanno dato la vita per una Sicilia libera dal maledetto, nefasto e antievangelico potere mafioso: Paolo Borsellino Emanuela Loi, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Agostino Catalano.  Oggi ci è chiesto di onorare questi nostri martiri della giustizia e della legalità con un rinnovato impulso di fedeltà corresponsabile di tutti agli impegni sanciti dalla nostra Costituzione e, soprattutto, dei «cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche” poiché «hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore» (Costituzione, art. 54). Lo dobbiamo anche ai familiari delle vittime.

Sul limitare del 1942, in uno scritto destinato agli amici più cari (Dieci anni dopo), Bonhoeffer traccia un bilancio di dieci anni di resistenza al regime di Hitler. Usa parole pesanti, maturate a contatto con l’esperienza della sofferenza, dell’ingiustizia e della morte. Ma anche piene di speranza che solo chi ha una fede grande può dare. Vorrei terminare dando la parola a questo martire della fede e della giustizia:

«Noi ci troviamo al centro di un processo di involgarimento che interessa tutti gli strati sociali; e nello stesso tempo ci troviamo di fronte alla nascita di un nuovo stile di nobiltà che unisce uomini provenienti da tutti gli strati sociali finora esistiti. La nobiltà nasce e si mantiene attraverso il sacrificio, il coraggio e la chiara cognizione di ciò cui si è tenuti nei confronti di sé e degli altri; esigendo con naturalezza il rispetto dovuto a sé stessi e con altrettanta naturalezza portandolo agli altri, sia in alto che in basso. Si tratta di riscoprire su tutta la linea esperienze di qualità ormai sepolte, si tratta di un ordine fondato sulla qualità. La qualità è il nemico più potente di qualsiasi sorta di massificazione. Dal punto di vista sociale questo significa rinunciare alla ricerca di posizioni preminenti, rompere col divismo, guardare liberamente in alto e in basso, specialmente per quanto riguarda la scelta della cerchia intima degli amici; significa saper gioire di una vita nascosta ed avere il coraggio di una vita pubblica. Sul piano culturale l’esperienza della qualità significa tornare dal giornale e dalla radio al libro, dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all’arte, dallo snobismo alla modestia, dall’esagerazione alla misura. Le quantità si contendono lo spazio, le qualità si completano a vicenda».